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di Luigi Scialanca
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Dire di un libro che in esso ho sentito la mia storia entro la storia dell’Umanità, e che ogni lettore e ogni lettrice potranno trovarvi la propria, ognuna diversa, individuale, ma ognuna anche simile – storie sorelle! – e tutte partecipi di un’immensa vicenda collettiva di gioia e dolore, ricerca e delusione, scoperta e smarrimento… è quel che di più alto posso dire per invitarvi a condividerne l’esperienza. Ma non è troppo, per il “Demone Divino” di Gian Carlo Zanon.
“Nei secoli che anticipano l’era cristiana e la continuano – scrive Zanon – gli esseri umani, per aderire a una credenza religiosa che prevede una divinità invisibile ed astratta condivisa, devono privarsi delle loro precedenti credenze e della loro identità magico/religiosa animistica. In questo passaggio fatale durato secoli, uomini e donne cadono in una alienazione religiosa molto più esasperata della precedente in quanto la religione monoteista nega il valore assoluto del vissuto affettivo individuale, della memoria intima, della realtà psichica unica e originaria che fonda l’identità umana e il rapporto con l’altro da sé (…) Riferendosi ogni comportamento al dio unico, e parallelamente rinnegando le divinità ctonie, cioè interne alla natura, L’INVISIBILE CHE ANIMA LA REALTÀ non è più da investigare; la realtà umana, non più contenuto umano da decifrare, è solo un vuoto da colmare interiorizzando l’anima immortale delle religioni” (p. 45).
Ma fin dalle prime pagine, opponendosi a quel “passaggio fatale” con sapienza e con forza, Zanon riesce invece a ritrovarla, quella umana realtà, e mirabilmente a FAR SENTIRE, al lettore o alla lettrice, il fascino, la gioiosa-dolorosa bellezza del di lui o di lei “Demone Divino” che per millenni e negli anni della sua vita – negli anni di TUTTE le vite – la religione e la ragione non hanno fatto che perseguitare e tormentare tentando di renderlo inesistente e mai esistito per sostituirlo con la loro dogmatica, spiritual-razionale uniformità identica per tutti.
Leggendo che “il mito biblico della Torre di Babele, che narra della disgregazione di un leggendario linguaggio preverbale in migliaia di idiomi incomprensibili, è forse nato per evocare un’utopica ETÀ DELL’ORO nella quale l’espressione verbale, ancora fusa alla mimica del corpo e alla fisiognomica del volto, veniva usata per una franca dialettica con l’altro da sé e non per alzare muri invalicabili come invece accade con <il linguaggio legato alla religione della logica>” (p. 67), come non provare NOSTALGIA, benché senza poter averne un ricordo cosciente, per quell’età che è stata in ognuno e in ognuna e per tutta l’Umanità il primo anno di vita ancora preverbale? Io l’ho provata quasi sùbito, leggendo “Demone Divino”, e da quel momento non ho potuto che continuare a leggerlo fino all’ultima pagina cercando – e TROVANDO – sempre nuovi empiti e nuove conferme di questo sentimento.
“Nessuno aveva in mente un’immagine mentale del ‘daímòn’ e quindi questa entità demonica non è mai stata rappresentata nell’arte pittorica e plastica. […] Il ‘daímòn’ era un essere ‘indeterminato’, un ‘dio personale’ e INTIMO” (p. 90). E alla ricerca di questo “DIO” UMANO in noi, dell’intima, profonda, biologico-psichica “divinità” che dobbiamo soltanto all’evoluzione della nostra specie, e che le religioni monoteiste e la ragione di quasi tutti i filosofi hanno negato o annullato fin quasi a farne perdere la sensazione alla maggior parte dell’Umanità, Zanon ci accompagna in un vertiginoso viaggio nel tempo che, lo ripeto, è anche un viaggio nelle nostre vite che pian piano ci fa ritrovare anche in noi quel “simulacro aereo simile alla nostra immagine che vediamo riflessa nello specchio delle acque” cantato da Omero (p. 54); quello “atai”, “spirito/anima degli indigeni melanesiani” ricordato da Ernesto De Martino (p. 55); quel “tirannico essere interiore che si manifestava a Socrate per impedirgli qualsiasi comportamento legato unicamente a un gretto utilitarismo e/o al pragmatismo politico” (p. 111); quel Dióniso delle “Baccanti” di Euripide che “da duemilacinquecento anni ci suggerisce che non è la ‘parte demonica’ degli esseri umani, ovvero l’irrazionale, la causa del ‘caos degli affetti’, ma una realtà inconscia malata celata sotto la maschera del perbenismo che usa i paludamenti della religione e della ragione per mascherare una pericolosa dissociazione interna” (p. 127); quel “senso interno”, quello “interno spirito” di cui Giordano Bruno colse segni che “non hanno una forma certa e definita, ma [che] chiunque, a seconda di quanto detta il suo furore, sperimenta [come]determinate forze che non sperimenterebbe con nessuna eleganza di discorso, con parole o scrittura elaborata” (p. 62); quel “duende” che in Andalusia è ancora oggi “qualcosa che ci viene da dentro, dall’interiorità, […] e la cui genesi si dovrà attribuire a una propria realtà e a una propria spontaneità, […] e che difficilmente potrà essere rimpiazzata, in modo favorevole, da una volontà cosciente, ovvero dalla ragione” (p. 109)…
È impossibile dar conto, nel breve spaziotempo di un post, di ogni tappa del viaggio affascinante in cui “Demone Divino” ci accompagna attraverso la storia spesso tragica della cultura alla ricerca di quel che in ognuno e ognuna di noi è più autentico e proprio e insieme anche più connesso all’intera Umanità: leggetelo, perdetevi e ritrovatevi nelle sue pagine dalla prima all’ultima, e anche se talvolta vi sembrerà di smarrirvi di nuovo vedrete che alla fine, con la sua guida, uscirete dal labirinto sentendo di aver vissuto una grande esperienza! Di esservi riaccostati, insomma, a quel “daímòn” che “per il pensiero greco è il SENTIRE inesplicabile e irrazionale che poco ha a che fare con la pura percezione sensoriale – quel sentire che nasce nell’intimo e che si mescola alla percezione e al discernimento – quel sentire, spesso inconsapevole, sempre presente, che potremmo anche definire SENSAZIONE INCONSCIA, ovverossia una capacità di avvertire, in forma di sensazione, ciò che i cinque sensi lasciati soli non sono in grado di elaborare – quel SENTIRE che veniva pensato come un ‘alter ego’ più sensibile degli umani che vive negli umani – quel COMPAGNO SEGRETO che ci avverte, attraverso le sensazioni corporee, di quanto accade nella realtà non percepibile – quell’essere interiore che non possiamo tradire negando la sua esistenza, altrimenti, pur vedendo la realtà oggettiva delle cose, diverremmo ciechi e incapaci di decodificare la profondità e i contenuti del reale…” (p. 97).
Quella “capacità di sentire i Greci la chiamavano ‘daímòn’, io” scrive Gian Carlo Zanon, “preferisco definire questa capacità, tutta umana, realtà psichica” (p. 97).
Luigi Scialanca
Gian Carlo Zanon, “Demone Divino – racconti, miti, leggende e pensieri sulla natura umana”, Castiglione dello Stiviere (Mantova), presentARTsì, 2020, pp 288, euro 17.
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