–
di Gian Carlo Zanon
–
«La dedica a Basaglia?” In seconda media, alla scuola italiana a Parigi, ci dissero sarebbe arrivato colui che aveva chiuso i manicomi in Italia. Nel mio immaginario infantile vedevo questi malati che uscivano per strada…Poi c’è stato l’incontro con Basaglia, importante, reale. In La pazza gioia il rapporto con le vere pazienti è stato una ricchezza, un soffio di verità”.»
–
Questo è un paragrafo che stamattina ho stralciato da un’intervista di Arianna Finos a Valeria Bruni Tedeschi, apparsa oggi su R.it.
–
La vincitrice del David di Donatello come miglior attrice per il film La pazza gioia di Virzì nel suo discorso aveva ringraziato lo psichiatra che negava l’esistenza della malattia mentale: «Ringrazio Franco Basaglia che cambiò radicalmente l’approccio della malattia mentale in Italia.»
E le famiglie che si devono prendere cura dei familiari “con qualche problema relazionale” ringraziano.
–
Certo che ne sa la Valeria Bruni Tedeschi della realtà vera della malattia mentale. A lei, come si evince dall’intervista, sin da piccola gli hanno inculcato la legenda basaglientis, in cui si narra del prode psichiatra armato di concetti heideggeriani che abbatte i muri dei manicomi e libera delle persone sanissime che stavano male solo perché erano state rinchiuse lì dentro dicendo che si dovevano rinchiudere perché erano malate di mente. Poi la sua immaginazione ha fatto il resto.
–
Non che non accadesse mai che venisse internato nei manicomi un sano di mente, ma un particolare non è la verità di un tutto. Lo sanno bene gli addetti ai lavori che cercano di curare l’oligofrenia. Ma la malattia mentale grave e la sua cura è un’altra cosa. Chi ha o ha avuto a che fare con un familiare gravemente malato di schizofrenia sa di cosa sto parlando. (per approfondire la figura di Franco Basaglia e il tema del basaglismo leggi Qui e Qui)
–
Ma che ne sa della malattia mentale la Valeria Bruni Tedeschi che ringrazia il suo secchion … pardon la sua “povera psicanalista” che ieri ha ringraziato pubblicamente.
«E la povera psicanalista? – domanda nell’intervista la giornalista. E la Valeria Bruni Tedeschi risponde – “Mi metto nei suoi panni, è sempre la stessa: ascoltare le lamentele di una persona per decenni deve essere noiosissimo”.»
–
Se fosse vero questo quadretto del setting analitico delineato dalla Bruni Tedeschi, il suo sarebbe un classico tipo di psicanalisi in cui la professionista serve solo da secchione della spazzatura, ben pagato, in cui vomitare le proprie lamentele… ma la psicoterapia non dovrebbe curare? Così dice una nota sentenza della Corte di Cassazione del 2011 in cui si definisce il metodo psicoterapeutico.
La psicoterapia deve essere quindi un’attività diretta alla guarigione di vere e proprie malattie. Ma, sempre assumendo per reale il quadretto descritto da Valeria Bruni Tedeschi, forse il setting proposto dalla psicanalista dell’attrice non ha nulla a che vedere con la psicoterapia. Sarà solo una “amica parafulmine” a cui ci si rivolge, spero gratuitamente, per avere un po’ di conforto amicale, liberandosi così di quei “fastidiosi disturbi dell’umore” che ora vengono chiamati dagli squallidi epigoni dell’antipsichiatria con nomi fantasiosi.
–
29 marzo 2017
–
Francesca
22 Luglio 2018 @ 08:13
Da “addetta ai lavori” , trovo questo articolo impreciso, superficiale e confuso.
Dalla Redazione
3 Agosto 2018 @ 16:26
… magari, dato che lei afferma di essere una “addetta ai lavori”, se entra nello specifico potrei capire cosa vi sia di “impreciso, superficiale e confuso.” altrimenti potrei pensare che questo è il solito attacco ideologico di bassa lega… a lei la parola
Giulia D.B.