di Adriano Meis
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Pochi giorni fa avevo concluso la seconda parte di questo mio lungo articolo, che aspirerebbe ad essere nientepopodimeno che un tributo alla realtà, con questa domanda inquietante:
“ … perché proprio ora che l’occidente, liberatosi dalla schiavitù dei bisogni, stava raggiungendo un grado di civiltà e di pensiero che gli consentiva di rivolgere la mente alle esigenze umane, viene ricacciato nel tunnel di necessità materiali primarie come il lavoro, la casa, addirittura il cibo?”
Come avevo accennato ho dovuto ripassare nell’alambicco il primo distillato. Era troppo torbido per rendere decifrabile il condensato di realtà estratto dai dati inseriti nel calderone mefistofelico.
I primi risultati che si potevano desumere erano senza dubbio interessanti, ma rimanevano alla superficie del reale. I testi inseriti e codificati nell’alambicco mentale davano un distillato con cui il voto del 24 febbraio era interpretabile: più di otto milioni di italiani si erano resi conto, per molteplici motivi, che questa casta politica non era più in grado di arginare la bulimia della classe dirigente finanziaria che sta depauperando l’Italia.
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«Non c’è dubbio che i partiti hanno perduto il ruolo di mediatori della lotta politica tra il popolo e il potere, anche perché lo stato non c’è quasi più: il potere si è trasferito nella finanza internazionale o si è perduto a Bruxelles nei corridoi della euro burocrazia.»
Adriano Prosperi (su left 2 marzo 2013)
Le ragioni di questa presa di coscienza dei cittadini – e del voto che ne è l’espressione concreta – sono molteplici: a) una grande quantità di individui impoveriti dalla crisi economica creata e gestita dal potere finanziario; b) una possibilità di conoscenza che grazie a nuovi strumenti, la rete web innanzitutto, è in grado di bypassare l’informazione mediatica omologata al potere finanziario; c) la più o meno esatta percezione che questa crisi è sistemica, manovrata, e utilizzata dal potere finanziario per i suo fine ultimo: un nuovo ordine mondiale dove la democrazia partecipata non ha alcuna possibilità di esprimersi.
Ma ancora stiamo ancora alla superficie del problema. Manca ancora una domanda a cui è molto difficile rispondere: perché?
A questa domanda si può rispondere in modo razionale e utilitaristico in questo modo: “perché chi ha il potere di manovrare un’enorme quantità di denaro ha tutta la sua convenienza che questo accada. E quindi fa in modo che accada.”
La battaglia che si sta preannunciando avrà due contendenti: da una parte il potere finanziario con le sue truppe prezzolate: politici, propaganda mediatica, istituzioni religiose colluse, sindacati conniventi. Vale a dire tutti coloro che hanno il potere di confondere la mente ai cittadini con un notevole grado alcolico di alienazione religiosa che impedisce una loro totale e profonda emancipazione dagli idoli sui quali ha alienato parte del proprio Io. Queste persone purtroppo saranno le avanguardie inconsapevoli dell’esercito plutocratico.
Dall’altra parte, come successe durante la seconda mondiale in varie parte del mondo, saranno schierati i ribelli resistenti: gruppi eterogenei di persone da estrazioni sociali e culturali anche molto diverse tra loro con un comune denominatore: la certezza di possedere una realtà umana integra e non corruttibile.
Mi rendo conto che questa ultima affermazione può suonare quasi come una profezia metafisica. Provo allora a far parlare un homme révolté che con coerenza assoluta, anche di fronte alla morte, conservò dentro di sé «… il ricordo di un mare placido, di una collina indimenticabile, il sorriso di un volto caro».
Nelle Lettere ad un amico tedesco, scritte tra il ’43 e il ’44, ad un immaginario amico tedesco, diventato nemico per aver perduto la propria essenza umana, Albert Camus afferma l’esistenza della morte psichica nei nazisti, ma, anche, l’esistenza di immagini interne capaci di non far perdere, a chi ancora le possiede, un’umanità originaria non perversa: «Così, in mezzo ai clamori e alla violenza tentavamo di conservare nel cuore il ricordo di un mare placido, di una collina indimenticabile,, il sorriso di un volto caro. Era, infatti, la nostra arma migliore, quella che mai riporremo. Perché se un giorno la perdessimo, allora saremmo morti come voi».
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Dopo la guerra, buona parte vissuta in clandestinità nelle file delle Resistenza francese, Camus continuò, con gli strumenti a lui congeniali, la propria caparbia e solitaria lotta per la giustizia e la democrazia:
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«Ho cercato in particolare di rispettare le parole che scrivevo, giacché, per mezzo di esse, rispettavo coloro che le potevano leggere e che non volevo ingannare. (…) Dai miei primi articoli fino al mio ultimo libro io ho tanto, e forse troppo scritto, solo perché non posso fare a meno di partecipare alla vita di tutti i giorni e di schierarmi dalla parte di coloro chiunque essi siano, che vengono umiliati e offesi. (…) mi pare che non si possa sopportare quest’idea, e colui che non può sopportarla non può neppure addormentarsi in una torre. Non per virtù, ma per una sorta di intolleranza quasi organica, che si prova o non si prova. Da parte mia ne vedo molti che non la provano, ma non posso invidiare il loro sonno. »
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«Mi ribello dunque siamo»
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Con poche frasi di Albert Camus ho cercato di delineare la figura del resistente che coraggiosamente si opporrà alla distruzione della democrazia e della giustizia sociale auspicata da coloro che perduta la propria realtà umana passano la vita a distruggere quella degli altri. «Mi ribello dunque siamo» sintetizza perfettamente il suo pensiero mai separato da coloro che permangono nello stato di “umiliati e offesi”,
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Anche la storia, che dovrebbe essere maestra di vita, non è in grado di scalfire l’ottusità mentale dei più; non perché essa non sia conosciuta, ma perché gli è stato tolto il senso che è stato sostituito da quei binari fatali dai quali sembra impossibile uscire.
«Qualunque cosa si faccia e ovunque si vada, dei muri ci si levano intorno creati da noi, dapprima riparo e subito prigione».
Marguerite Yourcenar – “Archivi del Nord”
Con l’aforisma della scrittrice franco-belga, non vorrei proporre scenari apocalittici. Vorrei solo pagare un tributo alla realtà che si presenta ai miei occhi. In fondo sono un inguaribile ottimista. Penso al “Nuovo Corso”, il New Deal promosso da Roosevelt tra il 1933 e il 1937 allo scopo di risollevare l’America dalla grande depressione che aveva travolto il paese nel 1929 con il Big Crah di Wall Street.
Rileggendo le cronache di quegli anni, ma anche romanzi come The Grapes of Wrath di John Steinbeck, ci si rende conto che allora come adesso, una nazione devastata dal potere finanziario e sull’orlo della guerra civile, può avere la forza di risollevarsi. L’America lo seppe fare perché pochi politici coraggiosi tagliarono gli artigli ai plutocrati e a tutti coloro che cavalcavano la crisi per arricchirsi. Le immagini di allora sembrano copie anastatiche di oggi, come se, un’improbabile macchina fotografica spedita nel passato, avesse potuto fotografare uno scenario sociale, economico e politico, identico al presente.
Quante volte la storia dell’uomo, intesa come evoluzione del pensiero, si è dovuta fermare di fronte a forze avverse al divenire della conoscenza sulla realtà umana? Quante volte l’uomo piegato ha “ricominciato … da tre”?
Frontiere delimitate da muri invalicabili si sono sempre erette per nascondere nuovi orizzonti annunciati dalle aurore dell’intuizione. Gli esseri umani, non conoscendo l’invisibile pulsione di annullamento, alla prima perturbazione dell’Io tornavano sui loro passi trastullandosi col già conosciuto.
La carenza originaria non cauterizzata dall’amore dell’eguale, restava alla mercé degli agenti patogeni del sacro che obbligava la mente alla credenza in un dio antropomorfo funzionale al potere e plasmato da sciamani, stregoni … e filosofi.
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Dai limiti di cui si pasce l’alienazione religiosa nascevano i miti narranti di Colonne poste alla fine del mondo da Ercole figlio di Zeus. E furbi navigatori fenici, gelosi dell’argento tartessico, narravano di Scilla e Cariddi distruttori di navi, di Pitone ed Echidna mostruosi, di Sfinge e Medusa pietrificanti.
Il corpo e la mente, nati per andare ben oltre l’ignoto, scindevano la loro sostanza primigenia perdendosi su quiete strade parallele tracciate dai padri. Altri miti con parole sonanti narravano il momento del naufragio. Caino e Abele, la Torre di Babele, Eco e Narciso, Apollo e Dafne, raccontavano di una possibilità di realizzazione inabissatasi a causa di una crisi che non aveva saputo sfruttare l’opportunità data dalla frattura tra un nuovo pensiero emergente e l’abitudine al rito.
E così la storia dell’evoluzione del pensiero umano ha proseguito lentamente e a balzi. Il cammino dell’essere umano verso la conoscenza è proseguito nel buio dell’alienazione religiosa. In questo modo gli esseri umani hanno varcato i millenni muovendosi a tentoni e ritraendosi ogni qualvolta, spaventati da un nuovo sconosciuto, hanno ritenuto impossibile mantenere le bandiere delle proprie realizzazioni, piantate nei territori conquistati al nemico invisibile. Nemico che surrettiziamente ogni volta riconquistava il territorio perduto introducendo il cavallo di Troia del “non essere”. Molti ribelli, che non conoscendo né l’essenza dell’istinto di morte né la sua natura proteiforme, ritornavano sui loro passi sconfitti ripetendo l’antico ritornello del depresso: “Non posso, io non posso” .
L’arte del neolitico, l’età dell’oro cantata da Esiodo, i lirici greci, Tartesso e Ilio, Cartagine e Sibari, la cultura delle corti catare, il regno di Federico II e la poesia dei siciliani, l’Umanesimo di Marsilio Ficino, e Pico della Mirandola, , il pensiero di Giordano Bruno, sono piccole grandi utopie. Piccole grandi isole di pensiero da cui una nuova visione del mondo, – scaturita dal momentaneo riavvicinamento tra corpo e mente – avrebbe permesso al genere umano di costruire le fondamenta di nuovi porti futuri da dove salpare verso l’ignoto.
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Quelle isole di umanità e di ricerca della verità, che potenzialmente avrebbero potuto dar luogo a immensi continenti culturali, sono state sempre fatte inabissare da chi, morto alla vita, non poteva sopportare una società in cui poter realizzare la propria identità umana salvatasi miracolosamente dai marosi della dialettica con l’altro da sé.
«Voi siete quello che abbandonò se stesso,/la sua sembianza desiando in vano; (……..) Lasciate l’ombre et abbracciate il ver,/non cangiate il presente col futuro,/io d’aver dì meglior già non dispero;/ma per viver più lieto e più sicuro,/godo il presente, e del futuro spero:/cossì doppia dolcezza mi procuro.»
Giordano Bruno
Ora, lentamente per sfuggire all’embolia, riemergiamo dalla storia per camminare nelle strade di città piagate dalla crisi economica. Le ferite sono evidenti: saracinesche dei negozi abbassate, foglietti attaccati sui muri delle metropolitane che indicano stanze affittate per sopravvivere; migliaia di giovani inghiottiti dall’emigrazione dei talenti: una rete sociale che si sta inesorabilmente sbriciolando.
Che fare? Beh io continuo a fare ciò che ha fatto per una vita: resistere all’inumano dicendo tutti i no che la mia realtà interna si può permettere. E perché continuo a fare ciò che ho fatto per una vita cercando una forsennata e imprescindibile dialettica con l’altro … perché? Perché senza il rapporto con gli altri, noi esistiamo ma non siamo.
È la realtà. La realtà degli esseri umani che vogliono realizzare la propria realtà umana; è il loro tributo alla realtà … “mi ribello dunque siamo”.
10 marzo 2013
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I parte – Tributo alla realtà … alambicchi e distillati
II parte – Tributo alla realtà … la realtà del sogno
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Ivana
23 Novembre 2014 @ 09:52
Mi sono fermata alla prima domanda che ha usato per introdurre il discorso…..’liberi dalla schiavitù del bisogno?’ E da quando mi scusi si sarebbe realizzata questa utopia e dove? L’uomo mai è stato così schiavo dei bisogni come oggi! Esistono bisogni primari e bisogni secondari e bisogno indotti e bisogni inutili, fatto sta che tutto il sistema economico applicato si basa sulla continua creazione di bisogno che rendono necessari i prodotti che alimentano l economia per la crescita del Pil! Il bisogno e il desiderio e’ la leva ( indotta e creata) perché l uomo accetti questo sistema come l unico possibile! Sinceramente la sua premessa fa sorgere un sorriso ironico!
Redazione
23 Novembre 2014 @ 10:37
Ivana mi spiace che si sia fermata a cinque parole della frase e al loro mero significato letterale. Incollo la frase completa per poter poi dialettizzare con lei “ … perché proprio ora che l’occidente, liberatosi dalla schiavitù dei bisogni, stava raggiungendo un grado di civiltà e di pensiero che gli consentiva di rivolgere la mente alle esigenze umane, viene ricacciato nel tunnel di necessità materiali primarie come il lavoro, la casa, addirittura il cibo?”
Premesso che sono in buona parte d’accordo quando dice: “L’uomo mai è stato così schiavo dei bisogni come oggi! Esistono bisogni primari e bisogni secondari e bisogno indotti e bisogni inutili, fatto sta che tutto il sistema economico applicato si basa sulla continua creazione di bisogno che rendono necessari i prodotti che alimentano l’economia per la crescita del Pil!”, ciò che io affermo nella frase completa ha tutt’altro significato da ciò che la fa sorridere ironicamente.
Come può leggere io parlo di bisogni primari “necessità materiali primarie come il lavoro, la casa, (…) il cibo” , vale a dire ciò che toglie la sofferenza fisica agli esseri umani. Questo prima del 2008 in occidente era stato realizzato al 99%. In occidente (Europa occidentale, America del nord, Canada, Australia) escludendo pochissime persone che vivevano stentatamente, tutti mangiavano, tutti avevano un alloggio, la disoccupazione era al 9%. Quindi questa parte di umanità “liberatosi dalla schiavitù dei bisogni, (PRIMARI) stava raggiungendo un grado di civiltà e di pensiero che gli consentiva di rivolgere la mente alle esigenze umane”. Per esigenze umane intendo la possibilità di realizzare se stessi, la propria fantasia, la propria sessualità, la propria libertà, ecc. ecc..
Spero che lei, leggendo con più attenzione ciò che ho scritto, comprenda ora i contenuti delle mie affermazioni.
Non credo che tra noi vi sia molto distanza per quanto riguarda la visione della realtà sociale, le chiedo solo, se le interessa naturalmente, di cercare di capire meglio ciò che scrivo.
Grazie per il suo commento
A.Meis
Ivana
23 Novembre 2014 @ 17:35
Ma infatti non ho mosso critiche all’articolo intero ma solo sul piano dialettico alla frase che ho citato. Poi e’ chiaro che l’intento e’ percepibile dal resto e mi trovo concorde ma mi sono soffermata su quella frase per dare uno spunto di approfondimento che in effetti e’ stato realizzato dal nostro scambio di idee. Normalmente chi è avvezzo a certi ragionamenti va in profondità delle parole scritte ma sarà d’accordo con me che non è la normalità purtroppo e certe immagini sono indotte da una falsa percezione della realtà per questo ho parlato di ‘sorriso ironico’ ( mi viene in mente che per molti anche avere l’iPhone6 e’ un bisogno!). Con stima.