di Gian Carlo Zanon
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Dodici donne uccise in due mesi. Undici uomini che hanno ucciso freddamente dodici donne. Un fatto destabilizzante che manda alla malora tutti i discorsi artificiosi fatti dai politici, tutti, quasi tutti, sulla sicurezza in Italia.
Sui giornali e televisioni vengono chiamati esperti, psichiatri, sociologi, antropologi, criminologi, ai quali viene chiesto il perché di questi efferati delitti. A parte una psichiatra, Elena Pappagallo, intervistata su TG3 Linea Notte di lunedì 13 luglio, che ha parlato di malattia e cultura dominante, quindi occidentale e cristiana, e Michela Marzano, che su La Repubblica di oggi, 14 luglio,ha parlato di cultura patriarcale, uscendo così dai soliti clichés mediatici, il resto degli “esperti” non hanno saputo dare risposte chiare, coerenti e quindi convincenti.
Queste due risposte, al femminile, che parlano di crimini contro le donne come espressioni patologiche e culturali, convincono, perché è proprio la cultura occidentale, patriarcale – ma anche quella mussulmana patriarcale – che rende congruo l’annullamento dell’umano, prima, e l’omicidio, poi, delle donne.
La cultura occidentale, che è essenzialmente patriarcale, nasce da un connubio tragico, tra filosofia greca, fondata sulla ragione, e religione giudaico-cristiana, che ha come cardine sociale l’annullamento dell’identità femminile. Ancor oggi la donna che osa trasgredire le regole silenti di questo antico modello sociale, paga con la vita la propria ribellione.
Questa cultura assolutamente misogina ha reso legittima e continua a legittimare una dinamica psichica presente negli uomini, malati psichicamente: la pulsione di annullamento verso l’altro da sé, verso chi pur essendo giuridicamente uguale è “creduto”, delirantemente non umano, oppure, come diceva Aristotele parlando delle donne, “un’anomalia della specie”. Gli uomini, malati, hanno sempre creduto che le donne non appartenessero al genere umano e la cultura lo confermava. Quindi, seguendo questo modello delirante, le donne andavano, e vanno, tenute sotto controllo, vendute e comprate, e se si ribellano, uccise come i cani. (è di oggi la notizia dell’uccisione in Afganistan di tre donne “colpevoli” di ballare sotto la pioggia – 2 luglio 2013)
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Le donne, per la cultura cristiana, non hanno e non devono avere il desiderio: “non desiderare la donna d’altri” recita il comandamento … e il desiderio delle donne? Inoltre non avendo la ragione debbono stare buone e ubbidienti chiuse in casa:
«Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia.» Nuovo Testamento, Prima lettera a Timoteo, 2:12–15, di Paolo di Tarso, noto anche come San Paolo.
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Questi sono i pilastri e i paradigmi della nostra cultura: “le donne sono un’anomalia della specie” e quindi non appartengono propriamente alla specie umana, Aristotele; devono sottostare alla brama degli uomini gli unici a possedere il “desiderio” V Comandamento; La donna è perversa, colpevole di trasgressione, e deve “curarsi” restando schiava dell’uomo e partorendo figli, con dolore naturalmente, sennò i credenti non si divertono: San Paolo.
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Questa è la terribile cultura che fa da sfondo e rende congrui i delitti che accadono in questi giorni di fronte all’assoluta indifferenza anche degli organi preposti per la protezione ai quali, quasi in tutti i casi, le vittime si erano rivolte denunciando per stalking, quelli che sarebbero in seguito diventati i loro assassini.
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Certo non si può, e non si deve parlare di “delitti culturali” sarebbe fuorviante. Un omicidio di questo genere, di solito, scatta quando il delirio di un malato di mente, reso congruo da questo tipo di cultura, viene messo in crisi da una donna che pone un fermo rifiuto a questa “pazzia razionale” che a poco a poco la fa morire dentro. Quando una donna si oppone al pazzo-normale che la vuole annichilire, che la “ama” e la vuole tutta per sé, quando dice no, basta, perché ha acquisito un minimo di speranza che gli permette di sapere che al di là di quel rapporto malato esiste la possibilità di una vita migliore dove poter realizzare la propria identità femminile, quando si separa, allontanando da sé la personificazione dell’istinto di morte, allora, in quel momento, il malato si sente perduto e uccide; uccide perché la donna non conferma più la sua “normalità” , perché vede in lei una speranza alla quale egli non può più accedere, e così pensieri, sogni ed affetti violenti tenuti celati da una “normalità” vengono in superficie … ed è l’assassinio brutale e lucido. Pazzia lucida, perché anche quando vengono uccise dopo un diverbio, l’assassino aveva portato con sé l’arma del delitto.
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Questa è la pazzia del “normale”, del vicino di casa che “ sembrava tanto una brava persona”. Questa è malattia di rapporto con l’altro da sé, resa visibile dall’omicidio, e resa congrua da una cultura che confonde gli affetti, chiama questi delitti passionali, perché il movente sarebbe il “troppo amore”. Infatti c’è un proverbio spagnolo che, forse ricordando il Don José della Carmen, dice “Hai amor que matan”, ci sono amori che uccidono. Ma l’affetto di Don José, come quello di tutti gli uomini che uccidono le donne, non è certamente amore è solo voler possedere un essere umano dove alienare ed occultare la propria pazzia.
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Articolo apparso su AgoràVox nel giugno del 2010