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Abbiamo pensato di invitare i nostri autori, ma anche i nostri lettori, a partecipare ad una ricerca sulla sinistra, focalizzando l’analisi sul periodo che va dalla fondazione del Pci, 1921, a tutt’oggi.
Per rimanere fedeli al sottotitolo del nostro sito – “Diario polifonico” – abbiamo pensato di proporre l’immagine di un “mosaico polifonico” in divenire, di cui ognuno può creare una parte partendo dalla propria esperienza-sapienza personale. Non pensiamo certamente a un mosaico compiuto in tutte le sue parti, ma un’immagine della sinistra osservata dal punto di vista di chi porrà le proprie tessere in questo scenario.
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Oggi pubblichiamo un articolo di
Gian Carlo Zanon
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Oggi ho letto l’articolo di Nora Helmer che conferma alcuni pensieri che mi girano nella mente da quando ho letto Mistero Napoletano di Ermanno Rea, un testo che mi ha donato molti spunti di ricerca sulla situazione politica italiana dal dopoguerra a oggi.
Per non creare strane incomprensioni dico subito che anch’io, come scrisse Camus nella frase che apre l’articolo di Nora, sono nato di sinistra e di sinistra morirò. Certamente Camus quando scrisse questa frase aveva ragione sul declino della sinistra. Ora però le cose sono cambiate e penso che nella sinistra, intesa come idea e utopia, vi sia una rinascita.
Nella realtà c’è un declino nei partiti e nei movimenti politici che, non incarnando più le idee primarie e le utopie della sinistra, hanno in larga parte disgregato quelle fondamenta su cui ora sarebbe difficile ricostruire una struttura sociale “resistente” e ritessere un welfare umano-compatibile. Si tratta ora di pensare su quali fondamenta si possa ricostruire la sinistra.
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Le idee della sinistra, molte delle quali inscritte nella nostra Carta costituzionale, si possono riassumere in poche parole: A) uguaglianza, intesa come possibilità per ognuno di realizzare la propria identità umana dando così la possibilità all’altro da sé di realizzare la propria; B) giustizia sociale, intesa in primo luogo come distribuzione equa della ricchezza ma non solo; C) libertà, intesa come «obbligo di “essere umani”»[1], vale a dire responsabilità e “presenza” umana nel rapporto con l’altro da sé e estensivamente con la società.
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Il “patto primario” stipulato alla nascita[2] dal neonato con l’umano dell’altro da sé è la matrice su cui essenzialmente si devono fondare le idee di sinistra. «Si nasce di sinistra, e solo poi si diventa di destra» disse qualche anno fa Silvia Scialanca, sintetizzando un pensiero fecondo: solo se l’individuo, per vicissitudini negative di rapporto con l’altro da sé, rinnega il “patto primario” con l’umano, diventa “di destra”. “Di destra” inteso come annullamento dell’umanità dell’altro che diventa “natura” da sfruttare e non più umano a cui rapportarsi. Il concetto homo homini lupus tanto caro all’utilitarismo illuminista e ai suoi epigoni contemporanei, è una sintesi perfetta di quel “difetto di pensiero” che è ancora culturalmente dominante. Difetto di pensiero che, come scrisse Andrea Ventura[3] è il paradigma dell’economia liberista alla Milton Friedman, a cui hanno ormai aderito anche i politici del maggior partito “di sinistra” del nostro paese.
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Il ritorno ad un naturale “stato di natura”, in cui vale solo “l’istinto di sopravvivenza” diagnosticato all’umanità dal vate della pseudo sinistra Eugenio Scalfari[4], è, secondo un credo razionale, sposato dall’economia, destino umano al quale è inutile opporsi.
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Questo difetto di pensiero, che definirei asociale, in quanto legittima di fatto una supremazia del forte sul debole, del ricco e del violento sul povero e sul non violento, dagli anni ‘80 in poi, si è innestato perfettamente nella globalizzazione. Globalizzazione che esclude qualsiasi forma di dialettica tra imprenditore e dipendente eliminando il rapporto umano tra le due parti, e, estensivamente, anche la dialettica tra le parti sociali che in qualche modo lo rappresentano. Questo naturalmente è stato un processo lento, complesso, sotterraneo e apparentemente implacabile, tutt’ora in divenire, che, qualora non si arrestasse, potrebbe portare ad un disastro antropologico di dimensioni inimmaginabili.
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In questo scenario, è inutile dirlo, le idee fondanti della sinistra che ho esposto all’inizio sono se non assenti perlomeno impotenti. In questo scenario in cui i bisogni primari (sanità, scuola, adeguata dieta alimentare, ecc.) sono stati in questi ultimi anni messi in discussione dalla crisi economica che ha creato una povertà sempre più pervasiva, le esigenze umane stanno per essere di nuovo messe in quarantena, e con loro anche le idee che fondano la sinistra. Non è un caso se “i soliti visionari complottisti” parlano di crisi economica creata “ad hoc”. Non è un caso se in Italia la maggioranza dei politici che siedono sugli scranni posti a sinistra degli emicicli parlamentari non hanno più … come dire … “sentimenti di sinistra”.
Generalizzando, certamente i parlamentari dell’area “di sinistra” parlano ancora di eguaglianza e di libertà, ma poi, seguendo gli imperativi categorici dettati dai poteri forti, approvano leggi anti libertarie, leggi che aumentano le diseguaglianze, leggi che legittimano la coercizione del più forte sul più debole. Coloro che votati dal popolo sovrano dovrebbero difenderne la dignità umana la svendono per un piatto di lenticchie.
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Sinistra: realtà e illusioni
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È inutile dire che le litanie di Scalfari o di Massimo Cacciari[5], altro non sono un coacervo di pseudo idee freudiane impastate di oscurantismo religioso e di fatalismo, che però purtroppo fanno parte integrante di una cultura ancora egemone. La verità però veleggia per altri lidi. Certamente non si può pensare alla verità come a qualcosa di monolitico e mi piace molto questa immagine proposta dalla Redazione di un mosaico in fieri. Mi piace pensare la verità come ad un mosaico mai compiuto. Un mosaico in cui le tessere ogni volta si ricompongono per dare alla verità una “impossibile” profondità tridimensionale legata al tempo. Un mosaico in divenire dalle tessere sempre più minute capaci di rappresentare una verità sempre più vera perché in movimento; un mosaico con contrasti e sfumature che rendano la verità viva e gli diano lo spessore della vita.
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Ma quale è stata la verità della sinistra nel nostro paese? Come ha già scritto Nora Helmer, la sinistra in Italia, dal dopoguerra a oggi, è stata cooptata e gestita dal Pci-Pds-Pd. Per molti anni sinistra e comunismo, declinato in stalinismo e/o togliattismo, furono sinonimi. I grandi sacerdoti del comunismo pontificavano dai loro pulpiti spiegandoci cosa essendo comunista era sinistra e cosa non lo era.
Prendo il caso emblematico di Giorgio Napolitano e cerco di dare forma ad una piccola parte di quel complesso mosaico che narra le vicende storiche del Pci:
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Nel 1956, all’indomani dell’invasione dei carri armati sovietici a Budapest, mentre molti dirigenti del Pci di primo piano lasciarono il loro partito, L’Unità definiva «teppisti» gli operai e gli studenti insorti. Napolitano seguendo le direttive dell’apparato elogiava le truppe sovietiche perché, secondo lui, sparando con i carri armati sulle folle inermi e facendo fucilare i rivoltosi di Budapest, contribuivano a rafforzare la «pace nel mondo».
Il 26 settembre 2006, a Budapest, Napolitano rese omaggio alle vittime della rivoluzione del 1956, da lui allora tanto esecrata: «Ho reso questo omaggio sulla tomba di Imre Nagy a nome dell’Italia, di tutta l’Italia, e nel ricordo di quanti governavano l’Italia nel 1956 e assunsero una posizione risoluta, a sostegno dell’insurrezione ungherese e contro l’intervento militare sovietico». Non una dichiarazione sulle responsabilità sue e dei suoi “compagni” di partito; non una richiesta di perdono alle 25 .000 vittime.
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«Napolitano non venga a Budapest. Con il Pci appoggiò i russi invasori» scrissero al presidente ungherese Laszlo Solyom un gruppo di magiari raccolti intorno a «56 Alapitvany» (Fondazione ’56) «Tardivo il suo ripensamento, chi pagò con la vita non vorrebbe essere commemorato da lui».
Laszlo Balazs Piri, uno dei nove firmatari dell’appello, che fu condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione per la sua ribellione, ha affermato: «Purtroppo i governi dei grandi Paesi occidentali non poterono aiutarci. L’opinione pubblica dei Paesi liberi era accanto a noi. Nello stesso tempo, però, in Paesi come Italia e Francia i Partiti comunisti erano allineati a Mosca. Furono d’accordo con questa resa dei conti sanguinosa contro la lotta di liberazione ungherese. Napolitano a quel tempo non era un bambino e aveva un’opinione. (…) La comunità dei veterani del 1956 sente che quest’uomo non deve partecipare alle commemorazioni del ’56 ungherese. Chissà cosa direbbero quelli che sono stati impiccati in seguito alla repressione».
E sì Napolitano “non era un bambino ed aveva un’opinione” anche quando, come racconta Ermanno Rea in un suo libro[6] già citato, nel 1956 dalle pagine del L’Unità liquidò con asprezza le velleità dei compagni di partito che si erano illusi dopo la destalinizzazione, iniziata da Nikita Khruščёv al XX Congresso del PCUS, svoltosi a Mosca nel febbraio-marzo del 1956, di rompere la gabbia dell’apparato togliattiano in cui erano costretti dalla fine della guerra civile.
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Mistero napoletano: viaggio agli inferi
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Il Pci narrato da Rea in Mistero napoletano altro non è che il microcosmo del macrocosmo degli accadimenti politici degli anni che vanno dal dopoguerra ai primi anni ’60. Lo scenario è quello della redazione di Napoli de L’Unità: i personaggi, tutti reali e nominati per nome e cognome, sembrano usciti da un libro di Fëdor Dostoevskij: tanto sono dolorosamente umani, Renzo Lapiccirella, Francesca Spada, Renato Caccioppoli, quanto sono grottescamente disumani, Salvatore Cacciapuoti e il suo protettore Giorgio Amendola.
Tra i molti meriti, il libro di Ermanno Rea possiede quello di scavare nel privato, nelle virtù e nelle miserie personali del Pci partenopeo che senza dubbio riflettono ciò che accadeva all’interno del partito di cui Palmiro Togliatti fu padre e padrone. È importante anche perché le testimonianze raccolte nel volume dovrebbero servire ai comunisti italiani per fare definitivamente i conti con il loro passato di cecità/anaffettività[7], nei confronti di ciò che accadeva nelle sedi di partito e soprattutto nei rapporti umani con i compagni e le compagne di partito. Traghettare la propria storia e la propria identità fuori dai gorghi della cecità di quei giorni, serve a tutti noi per salvarci dal naufragio e dalle derive ideologiche e totalitarie che portano direttamente dal Pci togliattiano al Pd di Renzi.
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Ancor oggi alcune mie compagne e miei compagni di strada si affannano per dare un senso ai loro trascorsi politici passati nelle sedi del partito a discutere “democraticamente” di ciò che in realtà era stato già deciso dall’apparato. Oggi nelle sedi del Pd accade la stessa cosa. Un primo passo sarebbe riconoscere, dolorosamente riconoscere, che per molti di noi la “sede del partito” fu il rifugium peccatorum dove nascondere i propri fallimenti affettivi, il luogo dove dimenticare le proprie castrazioni dovute alla mancata realizzazione della propria identità umana, o se preferite il locus amoenus in cui rifugiarsi per tenere a bada le proprie angosce distruttive alienando il proprio essere nei facondi esponenti del partito. C’era, è vero, una difficoltà oggettiva, una impossibilità di separarsi da un vissuto che comunque, fino alla fine degli anni ‘60, era il migliore che si potesse avere, ma di fatto il maggior partito di sinistra era la panacea al nulla che incombeva dentro noi stessi; era la risposta salvifica: la rivoluzione marxista, il sol dell’avvenire.
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«Nel 1972 viene pubblicato “Istinto di Morte e Conoscenza”, opera di uno psichiatra italiano, Massimo Fagioli. Attraverso le osservazioni cliniche, l’interpretazione dei sogni, e un’accurata metodologia deduttiva vengono formulate proposizioni teoriche ponenti al centro dello sviluppo mentale il processo trasformativo occorrente alla nascita, ossia l’emergenza del pensiero umano dal substrato biologico in seguito alla stimolazione luminosa della rétina. Pensiero che si caratterizza per l’immediato rifiuto del mondo inanimato e contemporaneamente per l’emergenza di una speranza certezza dell’esistenza umana .
Si definisce in ciò il senso, ovvero la direzione entro cui può svilupparsi l’identità dell’essere umano, e con essa il senso della vita umana: stabilire rapporti umani fuori da ogni concettualizzazione e teoresi frutto di categorie razionali. Una dinamica universale questa, inerente la nascita di tutti gli esseri umani, dunque garante della loro naturale uguaglianza indipendente da ogni codice etico imposto.»[8]
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Il 1972 fu per la sinistra italiana uno spartiacque: le idee che fondavano la sinistra da questa data ebbero un fondamento scientifico che affondava le proprie radici nella “teoria della nascita” di Massimo Fagioli.
È per questo che penso che oggi nella sinistra non vi sia un alcun declino. Oggi, come non mai, esiste una vera possibilità di realizzare quelle idee rimaste finora senza possibilità di essere e di divenire prassi di vita.
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Gian Carlo Zanon
10 maggio 2014
[1] Massimo Fagioli – Left 2009 «La libertà è l’obbligo di essere “esseri umani”» nell’articolo vengono ben delineati i concetti di libertà, di giustizia sociale e di uguaglianza, da me brevemente riassunti, a cui faccio riferimento. http://www.avvenimentionline.it/content/view/259/205/
[2] Mi riferisco alla “teoria della nascita” di Massimo Fagioli esplicitata sia sui libri ora pubblicati da L’Asino d’Oro edizioni, sia negli articoli che dal 2006 appaiono sul settimanale Left.
[3] Andrea Ventura – La trappola, Radici storico e culturali della crisi economica – L’Asino d’Oro edizioni
[4] Eugenio Scalfari. «Perché andiamo a caccia del potere» – L’Espresso, 28 aprile 2014 – http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2014/04/23/news/perche-andiamo-a-caccia-di-potere-1.162494
[5] «… un partito deve funzionare come una multinazionale economica, che sa dove investire e come». «Vero: non amo più la parola sinistra. Evoca uno smottamento, un fallimento. Un vecchio blocco sociale. La vecchia sinistra non c’è più, quel mondo non c’è più. Il nome evoca l’antico». Massimo Cacciari – L’Unità 8 settembre 2013
[6] Ermanno Rea – Mistero napoletano – Einaudi editore – ediz. 2002 , pag. 358
[7] «Un’attrazione senza motivo mi conduce a prendere il libro di Saramago Cecità. “Finalmente si accese il verde… finalmente riesce ad aprire lo sportello. Sono cieco… è come se fossi caduto in un mare di latte… la cecità dicono sia nera, Io invece vedo tutto bianco…”. Ora i piccoli segnetti sono nomi che, come la parola ossigeno, dicono di una cosa invisibile. Leggo le parole accostate l’una all’altra con una punteggiatura strana, come a voler dire che le lettere percepibili non hanno senso. Corro a guardare dietro le cose perché sento e so che, raccontando il fattaccio di una comune epidemia virale, le parole dicono di una realtà umana invisibile. Non è cecità fisica, non è nera, è bianca. Io vedo nuvole bianche; Saramago descrive i comportamenti quotidiani degli uomini, ma una linea invisibile fa un movimento senza suono che, forse, non è linguaggio perché non si comprende.» Massimo Fagioli: «Cecità…anaffettività» http://www.avvenimentionline.it/content/view/3450/205/
[8] Il senso della vita umana – Intervista allo psichiatra Beniamino Gigli – http://www.igiornielenotti.it/?p=16142
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silvia scialanca
29 Luglio 2014 @ 16:25
Caro Gian Carlo, quel che a me il libro di Rea ha confermato, è stato il grande INGANNO operato dal PCI ai danni di tanti giovani e giovanissimi che si erano avvicinati e/o iscritti al partito perchè in esso avevano creduto esserci la possibilità del NOI. Fare insieme, pensare insieme, discutere appassionatamente insieme e insieme cercare le risposte, per trovare un nuovo modo di vivere e di essere esseri sociali, come diceva Marx. Che terribile delusione! Tutto era pensato, deciso e detto altrove, e ci si ritrovava esclusi, ci si sentiva stupidi perchè non si era capito non si era stati astuti… e non si erano prese in considerazione le Esigenze del Partito!
Il Noi diventava solo una etichetta, un ubbidire e basta.
In altri luoghi, credendo forse di dar vita ad un altro Noi, si finiva nel delirio del terrorismo…
Non c’è stato solo un rifugiarsi consolatorio nelle sedi di partito, quelli che cercavano quello, spesso sono rimasti. C’è stata per tanti una delusione enorme, una ferita inferta con cattiveria e stupidità ad una speranza, forse cieca, ma sincera e vitale di vivere con altri, con dei Compagni, un sogno insieme.
Molti hanno avuto la forza di cercare ancora e di trovare…. di creare L’ Analisi collettiva!
Io se non l’avessi trovata dove sarei andata a curarmi le ferite?
Un abbraccio, Silvia