di Gian Carlo Zanon
15 giugno 2018 … la “questione romana” sta nel suo carattere papalino – che sì è diffuso ormai come una metastasi anche in buona parte dell’Italia del nord e sicuramente in Lombardia e Veneto – che a Roma (dove ho vissuto e lavorato a livelli direzionali per 37 anni) assume aspetti “assurdamente fantascientifici”. Potrebbe essere un ottima location caratteriale per un romanzo distopico.
Con l’aggettivo “papalino” intendo quel miscuglio inestricabile di arroganza greve, corruzione congenita, becero-furbizia, e soprattutto quel senso di inanità che pervade il pensiero del romano medio: il “ma lassa perde ch’è mejo” è la frase che contraddistingue tutto ciò. Far le cose “alla romanella” invece definisce un lavoro fatto tanto per far sembrare ch’è stato fatto… le buche di roma si aggiustano “alla romanella”, appunto.
Poco può fare Virginia Raggi la quale ai primi sonori schiaffoni si è adeguata allo status quo papalino e alle direttive di partito che ovviamente ora devono collimare perfettamente.
Ho frequentato per lavoro tutti gli uffici della capitale (Acea, Eni, Comune, Regione, Consip, Banca d’Italia ecc.) e so di cosa parlo. Ricordo la prima volta che andai per lavoro negli uffici della Regione Lazio, fu uno shock indimenticabile. Ancora ho l’immagine stampata negli occhi: centinaia di persone che confabulavano nei corridoi. Una bolgia infernale. Non voglio approfondire il discorso delle gare e degli appalti perché è allucinante.
Se parliamo del problema rifiuti, per esempio vorrei ricordare, che già nel secolo scorso Bruxelles aprì una procedura di infrazione contro la discarica di Malagrotta per violazione della direttiva-CE; quindi il problema rifiuti esiste almeno da 70 anni… ma basta vedere le epigrafi medievali che chiedono di non lasciare la monnezza abbandonata sparse a Trastevere per rendersi conto del problema secolare…