• Shoah: pulsione di annullamento e ribellione

      0 commenti

    shoah-milano

    ROMA – Come ogni anno il 27 gennaio viene celebrato come ‘giorno della memoria’. Tutto giusto, niente da dire, sicuramente questa giornata di riflessione è necessaria per cercare di capire il significato della Shoah e per ribadire il rifiuto assoluto a un pensiero delirante che ha permesso questo dramma immane.

    Il momento di ricordo storico è necessario ma certamente non sufficiente a colmare il sentimento di orrore che ogni anno incrina le nostre ‘certezze’ sulla capacità della ragione di essere il baluardo della pazzia e del disumano.
    Neppure parole come l’ebraico ‘shoah’, ne tantomeno ‘olocausto’(sacrificio), possono servire per narrare alla nostra mente la verità sull’orrore di quegli anni. Certamente il termine verbale ‘shoah’, che sta per ‘desolazione, catastrofe, disastro’, non è in grado di rappresentare la verità su quella realtà così mostruosa da risultare assurda ed incomprensibile.

    Servirebbero altre parole capaci di evocare meglio e di più i volti di circa sei milioni di ebrei, e almeno altri due milioni di esseri umani tra, omosessuali, seguaci di Geova, dissidenti politici, slavi russi, italiani, persone psichicamente malate o con handicap fisici, ecc., fatti letteralmente sparire dalla faccia della terra servendosi dei forni crematori. Servirebbero altre parole che contengano un riferimento all’umano che la parola ‘shoah’ non ha: i vocaboli ‘desolazione, catastrofe, disastro’ non si riferiscono a realtà umane. Per dare un’immagine più definita basterebbe far seguire le tre parole dall’aggettivo ‘umano’. Ma ancora non sarebbe sufficiente per far apparire la verità vera.


    majdanek

    Si rimane sempre lì ascoltando il suono di queste parole a chiedersi perché è successo? Perché tutti – le gerarchie cattoliche ne sono un fulgido esempio – o quasi tutti in tutto il mondo hanno voltato la faccia dall’altra parte per non vedere? Qual è stato il virus invisibile che, come nel romanzo di Saramago ‘Cecità’, ha causato un’epidemia che ha accecato milioni di esseri umani consentendo queste atrocità?


    E poi altre domande dovrebbero seguire: ciò che è successo è servito per creare per sempre un antidoto? Abbiamo i mezzi razionali, civili ed etici per far in modo che l’orrore non si ripeta mai più? Possiamo essere certi che non possa più accadere che esseri umani, legittimati dalle istituzioni e dalla stragrande adesione morale di milioni di cittadini, uccidano sadicamente e facciano sparire altri esseri umani?

    1

    Sappiamo che la risposta a queste ultime domanda è negativa, lo dicono centinaia di accadimenti che sono sotto gli occhi di tutti noi. Basti pensare alla tragedia che ci è più vicina, così vicina che nessun politico ne parla e che è nascosta dai media: i campi di concentramento nel deserto libico ‘creati’, in aperta violazione della Convenzione di Ginevra del 1954 oltre che della Costituzione Italiana, dagli accordi del precedente governo con e la Libia, o meglio tra Berlusconi e Gheddafi. La legge sui ‘respingimenti’ ha fatto in modo che in territorio libico, si ricreassero, pagati da tutti noi contribuenti, veri e propri campi di concentramento che hanno causato morte e sofferenze inaudite a coloro che, spogliati dalla qualità di umano, venivano e vengono tuttora definiti sommariamente ‘clandestini’.

    Se si vuole realmente onorare i milioni di esseri umani uccisi vilmente dai loro simili ci si deve  necessariamente chiedere i motivi della cecità anaffettiva che ha generato, genera e continuerà a generare queste mostruosità . Per non rendere vano e depauperare, ritualizzandolo, ‘il giorno della memoria’ si deve necessariamente andare a fondo cercando le intenzionalità inconsce che presiedono alle motivazioni coscienti, razionali e culturali che hanno permesso e continuano a permettere epurazioni ‘razziali’, eccidi ‘tribali’, pogrom ‘religiosi’, genocidi ‘etnici’, sparizioni di massa, che, se sono per le proporzioni inferiori a ciò che successe in Europa tra il 1939 e il 1945, certamente non sono inferiori per atrocità, né sono diverse nelle loro motivazioni inconsce. Si è voluto virgolettare gli aggettivi ‘razziali’, ‘tribali’, ‘religiose’, ‘etnici’, perché sono falsi e fuorvianti. Sotto queste parole si nasconde la ‘percezione delirante’ che ‘trasforma’ fantasticamente il diverso da sé, in un essere diseguale ed inferiore, non appartenente alla ‘razza’ di colui che agisce la pulsione di annullamento. Pulsione di annullamento che è inconscia e che nega la realtà umana dell’altro da sé.

    Ciò che ha detto a Lipsia il 18 marzo 2011 la psichiatra Hannelore Homberg presentando ‘Todestrieb und Erkenntnis’, l’edizione tedesca di ‘Istinto di Morte e Conoscenza’ di Massimo Fagioli, può aiutarci a capire l’eziopatogenesi di questa malattia psichiatrica che quando assume ‘forme epidemiche’ porta, come accaduto durante il nazifascismo, alla distruzione fisica di milioni di esseri umani ‘colpevoli’ di non rispondere ai requisiti di coloro che si ritengono una ‘razza eletta’. Secondo la Homberg questo libro, pubblicato la prima volta nel nel 1972, dà risposte ai tanti che in Germania fanno ancora i conti con il raccapricciante fenomeno del nazismo: «Le radici pulsionali dell’anaffettività, scoperte da Fagioli, potrebbero dare una risposta estremamente importante e innovativa alla loro domanda “come è potuto accadere”, evitando però ogni pessimismo su una natura umana sempre pensata come necessariamente malvagia ed aggressiva.(…) Solo se è privo di vitalità, – ha continuato la psichiatra tedesca – l’essere umano attua la pulsione di annullamento che è potenziale causa di lucidità distruttiva».
    Queste “ricerche scientifiche importantissime – dice la Homberg – di cui questo libro coraggioso è espressione fondamentale” spiegano il farsi nell’essere umano malato di una ‘percezione delirante’ che deforma le qualità umane dell’altro da sé. Una volta annullata la realtà umana l’altro non è più un essere umano ma un animale da sfruttare fino alla morte come facevano i nazisti – che chiamavano gli ebrei ‘scarafaggi’ – e come vorrebbe fare il neoliberalismo modello Marchionne e Ikea.

    image022

    Parafrasando un famoso aforisma di Brecht si potrebbe dire: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perché rubacchiavano. Poi respinsero i clandestini e stetti zitto perché avendo il colore della pelle diverso dal mio non erano esseri umani come me. Poi tolsero il lavoro agli operai e ne fui sollevato perché i loro scioperi mi erano fastidiosi. Poi licenziarono anche i quadri impiegatizi, quei ‘Quarantamila’ che, rompendo, nell’ottanta, il fronte sindacale, permisero che Romiti generasse Marchionne, ed io non dissi niente per non mettere a repentaglio la mia carriera. Poi, un giorno vennero a prendere anche me, che facevo il giornalista ed avevo sempre coperto queste sparizioni e assecondato il potere economico …e non c’era rimasto nessuno che mi potesse aiutare.”

    Esagerato? Forse, ma è meglio preoccuparsi prima che fingere di meravigliarsi poi. Non ci deve dimenticare che dietro i nazisti della Germania hitleriana c’erano capitani di industria come i Krupp, e industrie come la Tyssen, e che dietro il governo fantoccio di Vichy c’era fabbriche importanti come quelle di automobili della stirpe Renault, le quali utilizzavano i prigionieri politici , gli ebrei, i prigionieri di guerra e i deportati delle nazioni dominate, come manovalanza a bassissimo costo. Il film ‘Schindler’s List’, diretto da Steven Spielberg, racconta molto bene queste ‘consuetudini industriali’.
    La pulsione di annullamento scoperta da Massimo Fagioli di cui parla la psichiatra Homberg, se non viene denunciata come malattia della psiche che può venire curata, finisce per essere legittimata ed utilizzata da coloro che si servono del disumano per i loro affari più sporchi in nome della ragione utilitaristica.

    Se, in tutto il globo, non si fermano i mandanti della finanza e i politici loro complici, che ‘vedono’ l’umanità solo come quel numero marchiato a fuoco sugli avambracci degli ebrei, i prossimi campi di concentramento non saranno più pieni di categorie ‘razziali’ o ‘etniche’ o “religiose” ma serviranno a richiudere e poi a far sparire coloro che saranno espulsi dal ‘sistema neocapitalista’. Come scrisse nel lontano 1997 Viviane Forrester, nel suo saggio ‘L’orrore economico’: «Una quantità sempre crescente  di essere umani non è già più necessaria al piccolo numero che, plasmando l’economia, detiene il potere. Una folla di esseri umani si ritrova così, secondo la logica imperante, senza una ragionevole ragione di vita in questo mondo dove sono comunque nati. Per ottenere la facoltà di vivere, per averne i mezzi, dovrebbero poter rispondere ai bisogni delle reti che governano il pianeta, a quella dei mercati. Il fatto è che i mercati non rispondono più alla loro presenza e non hanno bisogno di loro. O di pochissimi e di sempre meno di loro. La loro vita non è più “legittima” ma solo tollerata. Fastidiosa …».
    E questo ‘fastidio’ per gli handicappati, per gli ebrei, per gli zingari e per coloro che non producendo Pil non rispondevano al paradigma nazista e capitalista, fu creato culturalmente dalla propaganda mediatica di quei governi che poi eliminarono questi ‘esseri fastidiosi’ facendoli letteralmente sparire nei forni crematori.

    “Nomina sunt consequentia rerum“: solo chiamando le cose con il proprio nome, cioè chiamando il ‘neocapitalismo globalizzato’ nuovo razzismo di classe sociale, legittimato dalle leggi dalla Casta politica, collusa con il potere forte di turno, ci si può ribellare e rifiutare il disumano mascherato da ragione utilitaristica e da ragion di stato, fermando così una ennesima catastrofe umana che è inscritta in questa ‘logica razionale’ che  insegue la massimalizzazione del profitto, costi quel che costi.
    Per fare questo ci deve curare dalla pulsione di annullamento che investe i nostri simili cancellandone l’uguaglianza primaria tra esseri umani ricevuta in dote dalla dinamica della nascita. Per non vedere mai più sorgere quelli che venivano chiamati ‘campi di lavoro’, dove sui cancelli c’era scritto “Il lavoro vi renderà liberi”, ci si deve prendere la responsabilità non solo dei nostri atti ma anche delle nostre intenzionalità inconsce e dei nostri sogni.

    Gian Carlo Zanon

     –

    26 gennaio 2012

    articoli correlati

    Scrivi un commento