di Gian Carlo Zanon
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«Mamma non mi piacciono queste storie con una morale già stabilita da altri, che poi io devo trovare e mettere in evidenza nel compito che mi ha dato la maestra. Vorrei poter leggere a scuola storie senza morale»
«Perché?»
«Perché voglio trovare la mia morale in ciò che vivo»
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Questo dialogo tra Arielle, una alunna che frequenta la V elementare, e la madre – posto all’inizio del capitolo Creatività ed educazione della psicologa e psicoterapeuta Emanuela Atzori – basterebbe da solo per mostrare la complessità e la densità dei pensieri sulla realtà umana che si possono trovare in questo nuovo libro curato dalla psichiatra Ludovica Costantino, e redatto da vari specialisti: psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, docenti di diritto, giudici, insegnanti, scrittori, sociologi.
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L’abbandono scolastico, è il nuovo lavoro della Collana Dafni e Cloe pubblicata da Liguori Editore in cui si cerca di capire le ragioni dell’allarmante dramma fenomeno sociale della “dispersione scolastica” e di dare delle risposte.
Questa ricerca non parte dai famosi “dati oggettivi” che dicono sempre molto poco perché annullano i contenuti umani e soprattutto quelle reti di rapporti interumani che – come scriveva Van Gogh citato all’inizio del volume da Ludovica Costantino – possono anche divenire prigioni e muri invalicabili.
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Non posso che ricordare i miei muri e le mie prigioni, e chi anziché svolgere il compito di carceriere, con la sua presenza affettiva liberò la mia ‘piccola mente’ da un destino di fallimento. Si chiamava Lino Cima, ed è stato il mio maestro elementare per tre anni. «Cosa ti è successo» ricordo ancora le sue parole … era ottobre e tornavo a scuola dopo le vacanze estive, lui mi guardò negli occhi e, in un milionesimo, avvertì la mia catastrofe interiore.
Moltissimi studenti si sono salvati dal destino di depressione a cui sembravano destinati – depressione causata da rapporti interumani deludenti che porta al fallimento dell’intera esistenza – grazie a un insegnante che semplicemente “li vedeva”. Fallimento che inizia proprio dall’abbandono scolastico, dal muro che porta la scritta “io non ce la posso fare”, che se viene confermato anche all’interno della scuola dall’anaffettività degli insegnati e dal bullismo dei compagni di classe segna la realtà psichica degli individui più sensibili per sempre.
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«Caro signor Germain, ho aspettato che si spegnesse il baccano che mi ha circondato in tutti questi giorni, prima di venire a parlarle con tutto il cuore. Mi hanno fatto un onore davvero troppo grande, che non ho né cercato né sollecitato. Ma quando mi è giunta la notizia, il mio primo pensiero, dopo che per mia madre, è stato per lei. Senza di lei, senza quella mano affettuosa che lei tese a quel bambino povero che io ero, senza il suo insegnamento e il suo esempio, non ci sarebbe stato nulla di tutto questo. Albert Camus».
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Questa è l’inizio della lettera che Camus scrisse al suo maestro elementare il 19 novembre 1957dopo che gli fu assegnato il Nobel per la letteratura. Germain aveva, con molta fatica, convinto la famiglia del piccolo Albert che egli era dotato e che doveva continuare gli studi.
Con accenti di umanità diversi, lo stesso accadde ad Arthur Rimbaud che deve la sua breve ma intensa stagione creativa al suo professore di retorica Georges Izambard che gli aprì gli orizzonti della poesia.
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Le scuole, afferma nel libro la professoressa Montanaro, dovrebbero essere «(…) granai pubblici dove ammassare riserve contro un inverno dello spirito che si aggira minaccioso nel nostro tempo e a cui tutti abbiamo il dovere di opporci, resistendo al pericoloso screditamemto della cultura e del ruolo autentico e vitale alla formazione umana, che a scuola dovrebbe avere il suo luogo e il suo tempo privilegiato».
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Ma nel libro non arrivano solo queste perle di saggezza che dovrebbero appartenere al patrimonio comune. Nel libro si approfondisce anche il dramma del bullismo e, nel capitolo Creatività ed educazione, si evidenzia come nella cultura in generale e nella scuola in particolare, lo studente che possiede un «pensiero divergente» ovvero talenti particolari e una identità creativa che lo inducono a cercare una propria realizzazione identitaria, venga trattato invece come “uno strano” e come questo porti ad inibire la creatività: «Emerge dagli studi condotti – scrive la psicologa Emanuela Atzori – quanto sia difficile l’assunzione di rischi da parte degli studenti creativi perché essa, spesso, non è ricompensata con buone valutazioni.»
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Il paradigma scolastico rispecchia il modello sociale auspicato dalla società globalizzata e globalizzante che non vuole cittadini dotati di spirito critico ma tanti bravi soldatini che devono marciare tutti insieme in modo ordinato. E a farne le spese, ovviamente sono «i divergenti» che rimangono schiacciati dalla truppa fedele a quella Signora del Castello di cui parlava uno psichiatra molto citato nel libro: Massimo Fagioli: «Potrebbe anche accadere che qualcuno intuisca che la libertà è possibile agli uomini, non è cattiveria, non è egoismo. Rompere il destino di un legame non bello offende soltanto il Dio creato dagli uomini per la loro schiavitù. Tenere il legame non bello conferma la paura degli uomini di andare, con la libertà, incontro alla morte. Li tiene intorno al castello ad aspettare l’elemosina della Signora. Li tiene ad aspettare la sapienza che viene dall’alto, dallo Spirito santo. E ci muoiono intorno al castello, non coltivano i campi, non cercano il sesso, non fanno ricerca. Si ingannano. Rischiamo di vederli tremare di freddo sotto il castello, da pazzi, in un giorno d’estate.» (*)
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Per uscire da questo dramma sociale – che condanna all’irrilevanza civile chi non vuole e non può rinunciare a se stesso – la psicologa individua una prassi di pensiero che salva “i divergenti” sia dall’appiattimento sia dalla anaffettività che annulla l’altro da sé: il rifiuto interno. Rifiuto interno dell’inumanità che «permetterà di prendere la giusta distanza “dalla truppa” senza disertare, abbandonando cioè una causa comune che potrebbe anche avere un senso – lo studente, scrive Emanuela Atzori – Continuerà a marciare, dunque, per proseguire il suo cammino evolutivo senza lasciare la scuola, lo studio e nell’arco di tutta la sua vita l’impegno ad una ricerca della realtà umana, mantenendo però il proprio passo e sfuggendo così, con uno scarto geniale, al vicolo cieco della mediocrità».
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Tutto questo per dare idealmente una risposta ad Albert Camus che, nel suo saggio Il mito di Sisifo, scriveva: «Giudico dunque che quella sul senso della vita è la più urgente di tutte le domande».
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Studiare a fondo questo saggio polifonico è di vitale importanza perché permette di conoscere a fondo non solo i motivi dell’abbandono scolastico ma soprattutto come porre rimedio a questa che è una vera e propria peste culturale ed umana: l’assenza di senso.
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(*)Massimo Fagioli, Bambino donna e trasformazione dell’uomo, L’asino d’Oro Edizioni, Roma 2013, premessa 1980.
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Scheda:
a cura di Ludovica Costantino
Titolo: L’abbandono scolastico
Editore Liguori, Napoli 2019