• Taranto – Santa Giovanna dei petrolchimici

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     di Gian Carlo Zanon

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    Rileggere oggi l’opera di Bertolt Brecht “Santa Giovanna dei Macelli”  e parallelamente ascoltare dai media la vicenda del petrolchimico Ilva di Taranto genera indubbiamente sgomento.

     

    E, sempre più sgomenti, ci si chiede perché gli artisti riescono ad avvertire ciò che prepara il futuro mentre i politici, gli antropologhi, i sociologhi e gli economisti no.

    Forse questo accade a causa di una particolare sensibilità che acuisce lo sguardo artistico; sensibilità che gli esseri umanai delle categorie menzionate hanno perduto all’alba della vita e poi venduto ciò che restava per un tozzo di pane raffermo. Naturalmente ci sono delle eccezioni, poche ed inascoltate ma ci sono. Sono quelle “voci nel deserto” che nonostante la disillusione per il loro lavoro vilipeso ed annullato, hanno saputo tenere uniti sentimenti e conoscenze anche in ambiti che possono sembrare aridi e inumani. E questo fa ben sperare.

    Brecht ultimò il dramma epico Santa Giovanna dei Macelli  nel 1930 nel pieno della crisi economica che, come sta accadendo ora, sconvolse prima gli USA e poi l’Europa. In questa sua opera il drammaturgo tedesco mette in scena il meccanismo capitalistico e i suoi ingranaggi, dal rapporto sadomasochistico capitale- lavoro, alle crisi di sovraproduzione, al gioco finanziario, ecc..

    Ma il dramma di Taranto, che trova forti echi nell’opera di Brecht,  sta nella scelta tra una morte generata dall’inquinamento, che sceglie a caso le persone, e una morte civile da disoccupato.

    Forse solo leggendo Brecht si può scendere nella tenebra dell’Ilva e vederne l’orrore.

    Nel IV atto del dramma si assiste ad un fatto sconvolgente: un operaio, Luckerniddle,  che lavora nella fabbrica di carne in scatola “Mauler & Cridle”, cade in una caldaia e va a mescolarsi con la fabbricazione di lardo salato. Alla moglie che disperata lo va a cercare in fabbrica, viene detto che il marito è partito. Alla signora Luckerniddle incredula che insiste per vedere i marito, l’”intermediario” Slift, una specie di sindacalista colluso col patronato, propone «Se lei cessa ogni indagine su suo marito, per tre settimane, a mezzogiorno, avrà da mangiare gratis alla nostra mensa.»

    In un primo momento la donna rifiuta il ricatto ma, il giorno dopo, affamata, va alla mensa, chiedendo da mangiare in cambio del suo silenzio. Giovanna Dark, la protagonista del dramma, cerca di convincerla di aspettare «Se lei dà per perduto suo marito, nessuno lo cercherà più»  ma la povera donna, anche quando intuisce che fine ha fatto suo marito, continuerà ad andare a mangiare alla mensa gratis sapendo – questo non è detto, ma è fra le righe – che probabilmente nel piatto ci sarà qualche pezzo di carne del consorte.

    Questo è l’orrore messo in scena da Brecht ottant’anni fa, che anticipa l’orrore sociale venutosi a creare a Taranto. E non solo.

    Gli operai dell’Ilva hanno prodotto  – e forse continueranno a produrre – morte, e con quella morte cancrenosa hanno nutrito ogni giorno se stessi e i loro famigliari. Finora hanno prodotto la loro stessa morte sperando di non essere loro quelli che cadranno per primi nella “caldaia del cancro ai polmoni”.

    Hanno fatto tutto ciò con la mente addormentata dai miraggi televisivi e dalla fede cristiana, instillata nel loro pensiero sin da bambini, che promette paradisi post mortem. È amaro dirlo, ma se veramente avessero coscienza di sé, della loro vera realtà umana, gli operai dell’Ilva non sarebbero lì a nutrirsi del ricavato della morte da loro prodotta.

    Purtroppo quelle menti addomesticate dalla religione di Stato che li condanna ad un destino inscritto nella credenza divina, non riescono (finora) a vedere chi sono in realtà gli “intermediari” sindacali e politici che, come Nichi Vendola,  prima non si accorgono, dicono loro, di nulla  e poi mandano insipidi messaggi che non sanno né di carne né di pesce: «Credo che dobbiamo esprimere una grande solidarietà nei confronti di una comunità operaia che vive con grande apprensione una prospettiva che sarebbe disastrosa per la loro sorte, per la sorte della città di Taranto, per l’economia della Regione Puglia e per la tenuta del sistema industriale nazionale».

    Ma che vuol dire? Cosa devono scegliere gli operai di Taranto? La morte per cancro o la morte civile? Silenzio! L’affabulatore Vendola affabula!

    Fortunatamente qualcosa si sta muovendo: nell’ultima manifestazione la ribellione alle istituzione politiche e sindacali  è divenuta palese.

    E non è certo la Camusso la “Santa Giovanna dei petrolchimici”  ‘rappresentata’ da Brecht. E men che meno gli altri due ‘segretari’ i cui nomi si preferisce lasciare nell’oblio degli ‘assenti’.

     

    La protagonista del dramma epico “Santa Giovanna dei Macelli”   come la Pucelle d’Orléans, a cui fa riferimento Brecht, rimane stritolata tra le varie forze del potere, che subdolamente se ne servono per i loro infami intrighi,  mentre i vertici dei sindacatii  fingono di aiutare gli operai brigando con il potere padronale e mentendo agli operai ottenebrati dalla fame e dall’angoscia per il domani.

    Giovanna Dark, potrebbe essere una sindacalista ingenua di primo pelo la quale non si rende conto che i suoi capi sindacali, che dovrebbero fungere da ‘intermediari’  tra i padroni e gli operai, in realtà collaborano spudoratamente con i capitalisti della carne in scatola. Un personaggio che più che un eroina è una martire cristiana che sa solo offrire se stessa in sacrificio. Sacrificio che non serve a nulla come quando muore qualcuno che ha rinunciato a se stesso per un dio che lo aspetta nell’alto dei cieli.

    L’eroe è colui che investendo la propria identità umana nel rapporto con l’altro da sé permette all’altro una propria possibile realizzazione … il martire alienando la propria realtà umana in un invisibile divinità dice, a chi rimane, che la speranza di una vita umanamente vivibile è vana.

     

    Ma L’Ilva di Taranto è sola una delle situazioni di cui l’opera di Brecht è visionariamente anticipatrice. Milioni, miliardi, di esseri umani si nutrono della morte da loro stessi creata e non riescono a pensare – a causa all’alienazione religiosa convertitasi in alienazione consumistica che annebbia il pensiero –  ad una possibile trasformazione di questa tragica realtà sociale.

    Intrappolati da un “non posso” interno, esternamente gestito dalle caste religiose che reggono il gioco al sistema capitalistico, rimangono lì a morire come animali paralizzati dalla paura generata da loro stessi.

    6 agosto 2002

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