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Pubblichiamo una poesia e due brevi racconti di Sam Shepard raccolti nel volume Motel Choronicles
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Qui una breve biografia dell’autore.
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Homestead Valley, Ca. . 26 dicembre 81
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mia Mamma per un po’ si portò appresso una .45
me su un fianco
la pistola sull’altro
vivevo in una comunità di donne
mogli di piloti
in capanne prefabbricate
e ci pioveva sempre
le mogli erano irritabili
senza i loro mariti
i Giapponesi arrivavano a frotte dalla giungla
rubavano il bucato ancora steso
le donne sparavano alla minima provocazione
talvolta alle reciproche ombre
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mia Mamma e io
una volta fummo presi a revolverate
dalla sua migliore amica
i proiettili lasciarono grossi buchi slabbrati
nelle pareti di latta
più tardi trovai un teschio giapponese
quasi vicino alla riserva
le formiche brulicavano
fuori dal buco lasciato dal proiettile
proprio attraverso la tempia
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Plains, Texas – Marzo ‘79
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Il camion scomparve in un posto chiamato Plains. Le strade erano un muro solido. Viaggiatori a marcia bassa andavano in giro a branchi. C’era un traffico incomprensibile mentre cercava un motel. Ne trovò uno che si annunciava come: “Un tocco di Velluto – Camere di Lusso”. Pensò che se lo meritava un po’ di velluto. Essere toccato dal velluto era esattamente quel che gli ci voleva. Quel velluto poteva essere un riparo dalla strada.
Prese la stanza più cara senza curarsi se valeva o no il suo denaro. La stanza aveva un odore sintetico che non riuscì a individuare. Probabilmente un detersivo per la moquette. Le pareti erano tappezzate di velluto rosso. Il copriletto era di velluto rosso. Le poltrone erano di velluto rosso. La moquette era di velluto rosso. II lavandino era rosso. Le tende erano rosse. Tutti i rossi erano di un rosso uniforme. Non c’era neanche un rosso meno rosso di un altro rosso o più rosso del rosso che aveva accanto. La stanza era un trionfo di velluto rosso. Si mise comodo come fosse a casa sua.
Accese la TV. Un Predicatore stava predicando nel linguaggio dei sordo-muti. Notò che il segno per “Gesù’ consisteva nel picchiare alternatamente le palme di ciascuna mano con il dito medio, a indicare i chiodi della crocefissione. Tolse il volume e osservò le mani del Predicatore. Gli parve di vedere il linguaggio saltellare per la stanza,.
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(“E non una delle sue ossa sarà spezzata.”)*
Si addormentò sotto la doccia, in piedi. Sognò un uomo che aveva conosciuto da bambino. Legato a un albero di sicomoro. Bruciato senza motivo. Sull’albero rimase una ferita nera che alla fine si richiuse, lasciando scoperto solo un pezzo di corteccia rosa. Liscia come il mento di un bambino. Quando si svegliò vedeva ancora l’uomo. Pensò che gli stesse piovendo in testa. E l’uomo galleggiava. E le ceneri del corpo dell’uomo gli colavano sul viso.
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(“E non una delle sue ossa sarà spezzata.”)*
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*Salmo 33, 21b.
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San Francisco, Ca. – 11 Settembre ‘80
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Io e Tim Ford una volta rubammo una macchina a San Bernardino. Una delle prime Austin Healey con la capote pieghevole di pelle rossa e le ruote a raggi. Era proprio lì ferma, con dentro le chiavi, dietro un chiosco di birra di radici.
Sulle prime avevamo intenzione di andarci un po’, in giro e poi lasciarla all’altro capo della città, e invece finimmo per partire per il Messico. Tim aveva quest’idea che dovevamo. procurarci delle carte d’identità false per poter bere nei bar e comprare birra nelle bottiglierie senza che ci scocciassero. Disse che aveva sentito parlare di questo tipo di Tijuana che falsificava la data di nascita sulla patente con tanta abilità che non si riusciva a distinguerla da quella autentica. Disse che oltretutto costava poco.
Non riesco a ricordare una macchina più divertente da guidare della Austin Healey. Ruggiva. Reagiva come un animale a ogni incitamento. Passava come una saetta dalle marce basse, alla doppietta, alle marce alte – si poteva farle fare qualsiasi cosa. Curvava come una pantera.
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Non c’era verso di farla capottare.
Incominciammo entrambi ad assumere la personalità di due proprietari di Austin Healey. Aprimmo le camicie e lasciammo che il vento ci battesse il petto. Completammo l’opera usando un paio di occhiali da sole che trovammo nel cruscotto. (Avevano una montatura rossa con degli strass verdi sugli angoli.) Abbordammo delle donne sull’autostrada affiancandoci alle loro macchine fino ad afferrare la maniglia della portiera e sentirle gridare. Quando ci fermammo, a un ristorante ci sedevamo a un tavolo vicino alla finestra in modo da tener d’occhio la macchina. Un’astuzia da autogrill. Sognavamo di farla correre per tutta Europa e incominciammo a usare espressioni gergali come “Pit Stop” e “Team Rally” per la gente a portata d’orecchio. Amavamo quella Healey come se ne fossimo i veri proprietari.