Nascita e diffusione del jineterismo (2)
…”E come si può immaginare, da lì… il passo nell’ offrire anche la loro intima compagnia é stato molto breve… ma questo non per tutte.
Ormai il nome di jinetero/jinetera era diventato di uso comune per identificare quel tipo di persone”.
di Roberto Cursi
E poi…, arrivò anche il 1991… Ricordo ancora le immagini in diretta di quella rossa bandiera sul Cremlino che, nel buio della sera, veniva fatta risplendere da un fascio di luce, e lentamente…, lentamente…, ammainata; simboleggiando alla perfezione la fine di un mondo.
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In brevissimo tempo l’ex Unione Sovietica annullò unilateralmente qualsiasi accordo economico stipulato precedentemente con Cuba. Ci fu in seguito il conseguente disfacimento del Comecon – organizzazione commerciale dei paesi socialisti – e per non farsi mancare niente, arrivò anche l’inasprimento dell’ embargo USA nel 1992.
Questo cambiamento inaspettato della situazione politica/economica nei paesi fino a quel momento partners commerciali di Cuba, fece cadere l’isola in una, a dir poco, improvvisa e disastrosa crisi. La fortissima criticità portò le autorità cubane a dichiarare ufficialmente il “periodo especial en tiempo de paz” – periodo speciale in tempo di pace –.
Gli anni veramente tremendi furono dal 1991 al 1996, l’anno in cui si cominciò a intravedere un leggero miglioramento che, con alti e bassi, è continuato fino ai nostri giorni; ma questo non vuol dire che la crisi sia stata superata. Per chi volesse approfondire questo argomento molto importante per capire l’oggettiva drammaticità di quel periodo basta fare una ricerca su Google – un sito di riferimento è certamente Wikipedia: clicca qui
A quel punto lo stato cubano decise di aprire, in modo inaspettato, al “turismo di massa”, per fare entrare nel paese più dollari possibili. La decisione era dettata dal fatto che, non potendo più avere un interscambio commerciale con gli ex paesi socialisti, con cui il denaro era l’elemento di minor importanza, (ricordiamo che uno dei fini del comunismo era anche l’eliminazione del denaro) dovevano per forza rivolgersi verso i paesi del mercato capitalista, cercando d’importare almeno le cose di primaria necessità per la sopravvivenza del loro sistema produttivo e assistenziale; ma questo, per il forte embargo statunitense che condizionava fortemente anche i suoi paesi alleati, complicava enormemente la sua riuscita. L’unico grande paese con cui Cuba continuava ad avere “stabili” relazioni era la Cina.
Da questa situazione emergenziale, arrivò l’estrema necessità di far confluire nel paese più dollari possibile tramite il turismo.
Voglio ricordare che Cuba, al suo interno, dopo la rivoluzione, non ha avuto assolutamente uno sviluppo industriale, e le pochissime fabbriche erano piene di macchinari sovietici che alla prima rottura di un pezzo rimanevano ferme, perché il necessario ricambio non veniva più rispedito dall’ URSS, dove ormai era tutto privatizzato, e magari quel pezzo non lo fabbricava più nessuno.
In questa situazione, Cuba, non aveva nessuna capacità interna per pensare ad una produzione pianificata che potesse sostenere un minimo la sua popolazione; in più, l’improvvisa sospensione di qualsiasi rifornimento energetico – in primis il petrolio – che fino a quel momento arrivava soprattutto dall’URSS, determinò la paralisi completa del già precario sistema produttivo del paese.
Improvvisamente quasi tutto venne a mancare, e le possibili soluzioni per tamponare la catastrofe dovevano essere prese giorno dopo giorno. Nemmeno i più qualificati economisti cubani potevano prevedere le future conseguenze che questo evento storico avrebbe provocato nel paese.
Nelle parti più depresse dell’isola i cavalli cominciarono a sostituire le poche automobili; il trasporto pubblico non aveva più carburante necessario per svolgere il proprio servizio, e per questo, sempre di più, si cominciavano a vedere nelle strade grossi camion privati e piccole camionette che supplivano a questa improvvisa carenza. Ai proprietari degli automezzi lo Stato aveva rilasciato l’autorizzazione per il trasporto .
Era cosa abituale veder passare questi mezzi con decine e decine di persone ammassate dietro a questi grandi rimorchi; quando soggiorno a Cuba, ne faccio tuttora uso. Il “periodo especial” è ufficialmente terminato, ma la crisi, purtroppo, ancora continua.
La drammaticità vissuta in quegli anni dal popolo cubano, il totale crollo del già minimo ma comunque dignitoso tenore di vita che fino a quel momento avevano avuto, contribuì ad un decadimento culturale e “morale” della società cubana. Tutto questo mise in fortissima crisi la dirigenza politica di quel paese messo di fronte a tale disastrosa situazione, e, di fatto, fin ora, la stessa dirigenza, con tutto il suo impegno, ha fatto solo dei piccoli passi nel riuscire ad arginare quel decadimento; sicuramente anche perché lei stessa è parte in causa del problema.
Le conseguenze di quell’ insostenibile crisi, come già detto, portarono alla mancanza delle risorse essenziali allo svolgimento della vita quotidiana, e cominciarono così a diffondersi anche dei casi, sempre più diffusi, di malnutrizione.
La carenza di beni alimentari nel paese portò le persone a cucinarsi “picadilllo de cascara de platano” – macinato di bucce di platano – il “platano” è molto simile a una banana, ma più grande, e, per essere commestibile, deve essere cucinato. Ovviamente la sua buccia si butta e nessuno a Cuba si sogna di mangiarla, come anche noi facciamo con le banane; ma nel “periodo especial” NO! Si mangiavano anche le bucce; non tutti potevano permettersi di buttarle via, perché servivano a riempire quel piatto che altrimenti sarebbe rimasto vuoto.
Queste, purtroppo, non sono voci che mi sono giunte occasionalmente, ma testimonianze dirette da parte di chi, queste cose, le ha vissute sulla propria pelle.
Potrei fare altri esempi, ma per il rispetto nei confronti di quei cubani che hanno vissuto quel periodo, preferisco fermarmi qui.
Come avevo precedentemente accennato, lo Stato cubano doveva rivolgersi obbligatoriamente al mercato internazionale per potere importare almeno quelle merci essenziali per la sopravvivenza del paese.
Ma il problema per la popolazione stava nel fatto che quelle merci venivano vendute esclusivamente nei negozi in cui si poteva comprare solo in dollari e non con la moneta nazionale, con la quale i cubani venivano salariati.
Oggi con il dollaro non si può più comprare nessuna merce; ne è consentito il possesso, ma non è una moneta spendibile nel paese. Il cittadino cubano può andare in banca a cambiarlo con il C.U.C. “peso convertibile”, che è la doppia moneta nazionale che circola a Cuba, perdendoci però il 20% del suo valore attuale nel cambio.
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Questa politica è stata attuata dallo Stato per reclutare più dollari possibili, spendibili poi sul mercato internazionale – ne entrano tantissimi a Cuba, visto che quasi ogni famiglia ha almeno un parente residente all’ estero che le invia saltuariamente denaro.
Nei negozi in cui si poteva acquistare esclusivamente in pesos era inutile entrarci perché non si riusciva a trovare più nulla.
L’equazione era semplice: se ho i dollari riesco a sopravvivere; se non li ho, qualsiasi cosa mi è preclusa, e il gestire la semplice routine quotidiana si trasformava in un gesto “eroico”. Insomma, averli o non averli era di vitale importanza.
Il motivo per cui con i pesos non si riusciva a trovare nulla, era perché la produzione del paese era ferma, e solo le merci prodotte a Cuba potevano poi essere vendute in moneta nazionale; mentre per le merci importate in dollari questo non era possibile, altrimenti nelle casse dello Stato non sarebbe più rientrata quella valuta estera che serviva nuovamente per importare altri prodotti.
La media di un salario mensile a Cuba equivale a circa di 20/30 dollari, e i prodotti importati e poi venduti nei negozi costano di più di quanto noi possiamo pagarli in Italia.
Basterebbero questi pochi dati a far capire la complessità della situazione socio-economica di quel paese.
In quel contesto, l’arrivo in massa del turismo internazionale fu visto come un ancora di salvataggio, sia per lo Stato, che per quegli stessi cubani che avevano in qualche modo la fortuna o “l’intraprendenza” di venire a contatto con un “Yuma” o con un “Pepe”, loro definizioni per identificare un turista.
Per tornare al centro del tema, è proprio in quegli anni di fortissima crisi e con la contemporanea apertura al turismo occidentale, che si è sviluppato enormemente il fenomeno delle “Jineteras” e anche dei “Jineteros”.
Chiunque, dopo quello che ho raccontato può immaginarsi il perché; non penso ci sia bisogno da parte mia di ulteriori elementi.
Con questo non voglio trovare nessun alibi nei confronti di quelle cubane e cubani che hanno deciso di intraprendere quello stile di vita, ma voglio soltanto far conoscere in che contesto il tutto è maturato.
In quel periodo non erano solo le molte giovani ragazze a “jinetear” con i turisti, ma anche, sporadicamente, madri di famiglia, che mai nella loro vita avrebbero pensato di arrivare a tanto; ma quando la disperazione era al limite, perché il problematico scorrere degli ingranaggi della routine quotidiana veniva ulteriormente gravato da un piccolo estemporaneo granello di sabbia che il tutto fermava, ….ciò accadeva.
Per chi non conosce Cuba e le sue jineteras, che vengono correttamente associate alla prostituzione, potrebbe pensare di vederle ai bordi delle strade aspettando i turisti che gli si avvicinano, concordare un prezzo e incamminarsi con loro trascorrendo insieme qualche “piacevole” ora. No, non è così. Loro faranno di tutto per non sembrare come le nostre classiche prostitute, che a Cuba, anche se ci fossero, sarebbero una realtà talmente marginale che nessuno se ne renderebbe conto; sicuramente impossibile vederle sui marciapiedi delle strade, e come clienti avrebbero solo cubani con i loro pesos nazionali.
Invece le jineteras sono “normali” ragazze che si concentrano in alcune zone della città, posti di mare, locali e qualsiasi altro luogo o situazione dove c’è la possibilità di incontrare turisti. Non esercitando il classico ruolo della prostituta, il turista che arriva la prima volta a Cuba, potrebbe vederle veramente come ragazze qualsiasi che prendono il sole in spiaggia, passeggiano con le amiche fra i locali della città, o sedute sul malecon de La Havana; le vedremo vestite in modo un po’ troppo appariscente, noteremo il loro temperamento più estroverso, e vedremo che con estrema facilità accettano qualsiasi tentativo del turista di entrare in “amicizia” con loro.
Molti, tra gli abituali turisti di Cuba, sanno perfettamente con chi hanno a che fare, ed è proprio quel tipo di ragazze che vanno a cercare. Invece c’è anche chi, per la prima volta che arriva sull’ isola, pensa ingenuamente di aver conosciuto una normale ragazza, magari un po’ più disinibita, che decide di lasciarsi coinvolgere in quella relazione per il resto della vacanza; come una cosa che potrebbe accadere normalmente anche qui in Italia tra una ragazza ed un turista.
È chiaro che il fine di quella jinetera è riuscire a passare più giorni possibili con lui, mangiando in ristoranti, andando la sera in giro per locali insieme al turista, magari al mare o in qualsiasi altro posto nel quale lei con le sue possibilità economiche non potrebbe mai accedere. Tra tutto questo rientreranno sicuramente regali, forse anche per i suoi famigliari, e se riesce a coinvolgere lo straniero, non mancheranno certamente somme in denaro, che, per un cittadino cubano, risulteranno senz’altro molto consistenti.
Tutto questo fa si che il turista “normale” non percepisca, o meglio, “faccia finta di non percepire”, che quel vissuto è inequivocabilmente un “rapporto mercenario”, anche aiutato dal fatto che, con la ragazza, instaura comunque una “relazione”.
Ora, avendo cercato di spiegare in quali diverse situazioni contingenti del paese sia nato, si sia trasformato e infine diffuso, il fenomeno delle jineteras, la mia mente torna a quell’aggettivo “endemico”, che ho trovato negli articoli, nei relativi commenti e anche in un titolo riguardante la gravità di quei fenomeni della prostituzione e ancor di più dell’ orribile pratica della pedofilia, che sarebbero diffuse entrambi in tutta l’isola.
E allora ho cercato di capire meglio la parola – Endemia-. Dal greco “endemios” – natìo, indigeno, composto da “en” – dentro- “demos” – regione, popolo-. Vediamo la definizione nell’enciclopedia Treccani: “proprio di un determinato territorio” – in zoologia e botanica: “specie, generi, razze ecc… che si trovano esclusivamente in quel territorio”.
Invece a me sembra chiaro che la prostituzione e la pedofilia siano fenomeni sparsi in tutto il mondo, e non si può pensare che Cuba ne possa essere esente. Mi si potrebbe obbiettare che la vastità del fenomeno che c’è nell’isola non si vede in altri paesi; anche questo, per me, non è assolutamente vero se non nei posti più turistici dell’isola.
Cuba ha un territorio che è un terzo dell’Italia ed ha più di 11 milioni di abitanti, quindi non si può addossare a tutti i cubani un fenomeno che invece si manifesta in modo evidente solo dove c’è il turismo internazionale.
Se allora pensiamo alle tantissime ragazze italiane che in questi ultimi tempi hanno iniziato a prostituirsi tramite web, o al diffondersi delle prostitute/casalinghe – varie inchieste ne hanno evidenziato il fenomeno – causa la crisi economica di questi ultimi anni che è sicuramente molto grave ma, assolutamente non paragonabile a quella cubana, allora dovremmo iniziare un discorso che ci porterebbe molto lontano.
Con questo non voglio assolutamente sminuire il fenomeno diffuso a Cuba, che anzi voglio senza ambiguità denunciare, ma voglio solo tentare di riportare il tutto nella sua giusta dimensione.
Per questo mi premeva esporre tutta questa lunghissima cronaca, nella quale ho scientemente evitato di fare entrare la passione delle proprie idee e il pathos del confronto, cercando invece di restare alla pura descrizione, in cui ho voluto evidenziare in quale contesto storico il fenomeno sia nato, si sia sviluppato, e poi diffuso.
Sperando di aver dato in questo modo uno strumento in più a chi, quel paese, chiamato Cuba, vuol cercare di capire.
In questo stesso istante, che sto inviando questa lettera alla redazione, sento che la nuda cronaca che ho esposto, sperando possa essere comunque utile, mi lascia dentro un sentimento d’ incompiuta realizzazione.
E si…, la passione delle proprie idee, il pathos del confronto… non possono rimanere fuori da questa discussione, quindi…
… HASTA PRONTO, COMPAÑEROS!
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Le foto ( tranne quella di copertina) sono di Roberto Cursi
Leggi qui la terza parte
Cuba – Articoli correlati
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Emilio rivetTi
19 Ottobre 2013 @ 12:07
Mi piace la tua esposizione del problema, chiara, senza enfatizzare il problema che purtroppo esiste. Ti volevo chiedere, visto che vivi la realtà cubana in prima persona, come e quanto influenza la dittatura di castro la vita dei cubani. Visitando Cuba ho notato che l’ideologia della rivoluzione e’ diventata un dogma e propaganda. I giovani vivono con insofferenza questa situazione, invece gli anziani che hanno vissuto la rivoluzione difendono ancora gli antichi ideali.
Roberto Cursi
19 Ottobre 2013 @ 13:26
Ciao Emilio,
Proprio in questo fine settimana finisco di scrivere un altro articolo su Cuba. Ma come avevo accennato, questa volta esporrò un mio punto di vista più personale sulla realtà cubana; ma soprattutto approfondirò le mie opinioni sul dibattito che anche gli altri hanno contribuito a sviluppare nei confronti di quel paese che continua nel bene e nel male a far parlare di sé.
Forse qualche risposta alle tue domande potrebbe esserci nell’ articolo, ma per risponderti sinteticamente posso dirti che anni fa l’ ideologia era molto più compenetrata nella vita quotidiana, e la propaganda andava di pari passo, perché serviva una forte sensibilizzazione nei confronti della popolazione per farli sentire partecipi al nuovo progetto di società che il Socialismo doveva realizzare.
Ora la propaganda è solo un contenitore vuoto, e l’ ideologia originaria è in continua trasformazione per cercare quotidianamente soluzioni alle molteplici problematiche che il paese deve affrontare.
Tu hai ragione, tra giovani ed anziani c’è uno spartiacque. Gli anziani hanno conosciuto come si viveva prima della rivoluzione ed in seguito hanno visto i risultati ottenuti, anche se dal 1991, come avrai letto, tutto è cambiato, ed ora anche loro cominciano a lamentarsi. I giovani, invece, nati in questi ultimi trenta anni non possono fare altro che rivendicare le cose che non funzionano, e cercare altre alternative ad un sistema che li ha visti vivere in una situazione veramente difficile. Forse, anche io, al loro posto, avrei cercato di cambiare in qualche modo quella realtà.
Però il dramma di quei giovani è che pensano che qui da noi ci sia il “paradiso”.
Un saluto.
emilio rivetti
22 Ottobre 2013 @ 23:41
La differenza dei cubani con noi è che noi possiamo scegliere. Nonostante i limiti della nostra società noi non abbiamo problemi materiali di sopravvivenza, e questo ci permette di cercare altro. Non tutti hanno le capacità di cercare altro, un nuovo, ma la libertà ti da questa possibilità. Ho mille dubbi su quale società sia la società migliore. Ogni società ha dei pregi e dei difetti. La società deve fare i conti con gli “affetti umani, le sue dinamiche e le sue pazzie e desideri. Se non si cambia il modo di pensare degli esseri umani, non si realizzerà l’uomo nuovo. E’ un discorso culturale.
Un saluto Emilio