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Libero
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Quando mi fermerò i polmoni si apriranno
porte monumentali di una città fantastica
e questi varchi grandissimi, queste due cornamuse da sogno
sembreranno le ante che la diva apre nel mezzo
di qualche antico film muto, una volta cambiata
per mostrarsi, a chi la adula, con le mani piene di baci.
(i baci fermi, trattenuti sui palmi, che sono lì per scappare –
battito d’ali, trillo d’ali, dei baci ideali – minuscole coccinelle
strette in un pugno, che stanno lì per scappare).
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Quando mi fermerò si schiuderà oltre i polmoni la Città.
L’aereo si poserà, colibrì d’acciaio sul fiore di Roma, e io sentirò
la terra – la mia terra puzzolente, sotto gli scarponi da tecnico.
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E come un cielo di nuvole sgombrato dal vento
senza neanche saperlo mi troverò nella mia scatoletta –
la mia peugeut 107 – come un ragnetto raro pescato tra le foglie
che un ragazzino ha salvato dal rastrello.
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Mi chiamerà la ferraglia, tutta bozzi e nastro argentato,
questo confetto di cartapecora – mi saluterà –
nell’estatica, filosofica, imperturbabile
serenità del suo grigio che non aspira già più
alla possibilità di metallizzarsi.
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E allora io,
salvo ancora una volta,
più pieno e più vuoto di prima,
ricco e povero insieme – che ringrazio e maledico con la stessa parola –
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piangerò.
Libero,
di quella libertà
che ti fa male a vestirla
e una volta che la indossi sta bene su tutto.
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