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24 Giugno 2024 08:00
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Racconti di vita
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Il suono usciva sereno, consolante, ma le parole erano di quelle che non lasciano possibilità a strani fraintendimenti: non so, non ho capito, non è sicuro, poteva essere così… ma forse no.
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Era chiaro invece, come gocce d’acqua fredda, che raccontavano, quelle parole, di una battaglia conclusa, di una ferita non riparata, dicevano pacate, trasparenti, che tutto era stato fatto e niente era tornato al suo posto. E adesso basta, di più non si poteva chiedere agli uomini, a quelli che curano e a quelli che muoiono.
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L’accanimento non è pratica disumana tra questa mura, diceva quella voce. Frammento di scenografia non previsto, e mai voluto, in cui altro non serve sapere, solo due richieste fatte e due promesse mantenute.
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Le lacrime. La disperazione, la rabbia, non c’è tempo, si lasciano per gli anni a venire, pensi, adesso non c’è proprio tempo, bisogna reggersi sulle macerie di una vita che cede e si addormenta, una vita che lascia scie affettuose e umane, e ricordi e persone e a quelle bisogna pensare. Questo bisognava salvare.
Le lacrime poi arrivano, mica sono in saldo e si possono risparmiare, indecenti, si aggrappano al viso quando vogliono loro, unite a un pensiero o a un immagine che mettono in chiaro che quello che è stato non sarà più, semmai si possa far finta di.
Ma quelle in fondo servono, come quando si puliscono i vetri, servono per far chiarezza, per far entrare il sole e il calore, liberati gli specchi dalla polvere e dalla pioggia della separazione, che riconosci non essere abbandono, perché è ricordo che non fa mai male.
E al dio freddo che non accoglie e non consola ho rinunciato, preferendo l’abbraccio, l’affetto e il cuore degli uomini.
Poco prima, secoli prima, un altro suono, altra voce, occhi negli occhi. A dire, a dirci, come bambini: “E’ tutto a posto, adesso, ti chiedo scusa, abbiamo fatto pace, ti voglio bene.”
Ti tengo stretto sempre sai, sappilo, non ti perdo, dentro di me sei al sicuro, dentro di me continui a ridere, a parlare, a vivere.
“Che altro chiedere al rapporto umano, se non il rapporto umano”, affetto e tenerezza che persistono e insistono instancabili, lo scopri poi, dentro, che crescono e si ricreano.
Altre immagini consumate in una corsia, guardando un orologio che sciupa le ore, mentre tramortita faccio ricorso e pretendo appello dalla vita. Provo a farmi consolare dal dolore e dal caffè, atroce, delle macchinette.
Anche l’odio serve a confortare il pianto e c’è sempre, fortunatamente, qualcuno che sa, che sopporta e lo accoglie. Distribuito come i semi, ritorna in generoso rispetto, affettuoso silenzio e premurosa attenzione. Momenti di bellezza umana.
Gli sconosciuti ti guardano e capiscono, allontanano le parole perché sono di troppo, un abbraccio, uno sguardo dicono l’essenziale.
Un bacio furtivo da un camice bianco, una carezza sul collo addormentato, chinato sul lenzuolo umido, un “adesso basta! Vai a riposare!” , ordine confuso tra la notte e il dolore, perso tra i rumori di una stanza troppo affollata di corpi sospesi.
Lui ignaro della tragedia che gli si consuma intorno ma che, tuttavia, lo riguarda . Lui ignaro e protetto da chi prima lo ha offeso e poi se lo porta lontano. Lontano dai sorrisi, dagli sguardi, da braccia inconsapevoli e ingiustamente rese orfane. Braccia e carezze di donna e di bambina bellissima.
Lontano dalla vita e nascosto al passaggio del vento che qui, in questa terra di mare, importuna le persiane rotte dalla salsedine, ma non regala più brividi al suo corpo .
E così si va via, ma ci si ritrova, poi, nel cuore e nelle immagini ricreate dei ricordi.
Quando il tumulto dell’uragano passa, ci si riconosce, appena il vortice si ferma e le foglie ritornano silenziose al loro posto, scopri che niente è perso.
“ Stupida che sono, io ti ho tanto cercato e tu eri qui”.
“ Ma io non mi sono mai mosso, tu dov’eri? Io sono sempre stato in questo cuore e ti aspettavo. Non hai origliato con attenzione nei tuoi silenzi mia cara! La solita distratta!
Non mi hai sentito esistere dentro di te e ridere e gioire insieme a lei?”
Marina Mancini
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Marisa Ferdani
20 Ottobre 2013 @ 10:50
Marina…..mi hai fatto rivivere sentimenti,sensazioni,emozioni…mai dimenticate….impronte nel cuore …grazie cara,sei proprio come ti penso…..bacione
marzia
20 Ottobre 2013 @ 11:41
prima leggevo e le tue parole scorrevano fluide, poi ho capito, condiviso, compreso il dolore, l’illusione delle speranza e tanto altro ancora… Non hai scritto di te ma eri tu che raccontavi… Bellissimo e intenso. In altre parole, solo le lacrime che scendono e, ancora una volta, dicono tutto. Complimenti, questa è poesia pura.
XXX
20 Ottobre 2013 @ 13:15
Emily Dickinson: «Se leggo un libro che mi gela tutta, così che nessun fuoco possa riscaldarmi, so che è poesia. È l’unico modo che ho di conoscerla».
… e questa è poesia … l’ho riconosciuta dai brividi lungo la schiena … grazie
GianCarlo
graziella
20 Ottobre 2013 @ 13:33
cara Marina, leggere di un fiato la tua storia, ciò che è stato per te dapprima speranza, illusione, e poi tragedia e morte in un scandire lento e inesorabile, è terribile e nello stesso tempo reale e vicino alle nostre vite più di quanto si immagini. Uscirne è altrettanto lento e triste ma la velocità degli anni che passano ci danno la consapevolezza che la perdita di una persona cara ci può portare alla follia e alla disperazione se non restiamo ben saldi alla realtà e agli affetti di chi comprende e sa stare vicino. Anche se non ti conosco personalmente sento di volerti molto bene. ti abbraccio
marina mancini
20 Ottobre 2013 @ 14:30
Grazie infinite…..le vostre parole mi fanno bene…mi avete emozionata…
Andrea
20 Ottobre 2013 @ 17:25
Riconosco una vena poetica nei tuoi pensieri, un tuo stile, una scelta delle parole saggiamente inserite al posto giusto e al momento giusto, senza mai appesantire l’emozione che stai descrivendo, ma rendendola leggera e al tempo stesso intensa. Sembra quasi che le tue dita sfiorino la tastiera mentre scrivi*, quasi che avessi paura di portare pesantezza al tuo scritto e ai tuoi ricordi più cari. Poesia.
*(Una volta avrei detto “sembra quasi che la tua penna sfiori la carta lasciando un filo di inchiostro leggero ma ugualmente leggibile”, ma cosa ci vuoi fare? I tempi sono cambiati!)
🙂 Bravissima, continua così!