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Badanti, badamanti, badamadri *
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Loretta Emiri **
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Fra due spiegazioni scegli la più chiara,
fra due forme la più elementare,
fra due parole la più breve
(Eugenio d’Ors).
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Due mostre in contemporanea nella stessa città suggerivano che vastissima è la sua produzione. Osservai che vorrei essere altrettanto prolifica, ma spesso mi mancano le forze per dedicarmi alla scrittura. Rispose che basta chiudere la porta, lasciando fuori il quotidiano e tutti i suoi problemi. Al momento non seppi verbalizzare la mia obiezione, ma il suggerimento continua a infastidirmi. Oggi affido alla scrittura l’elaborazione del pensiero: se non riuscirò a dimostrare che nel mio caso il consiglio non vale, magari concluderò che devo proprio seguirlo. Ogni volta che chiudo la porta, si spalanca la voragine interiore: se fosse Poe a guardarvi dentro rimarrebbe terrorizzato, Pavese si ammazzerebbe di nuovo, Borges si smarrirebbe; per tenebrose, impalpabili, infinite ragioni, se a sbirciare dentro sono io, e lo faccio quando particolarmente angosciata, il rischio che corro è quello di impazzire. Stratificazione di idee e ricordi, livelli diversi di consapevolezza, emozioni risalenti a ere fra loro lontanissime, percolato prodotto da relazioni tossiche, gas micidiali sprigionati da preoccupazioni economiche. La mia scrittura non avviene per grazia ricevuta, caro pittore; essa è la manipolazione di tutti gli elementi sopra citati. Devo calarmi nella voragine, lavorare di brutto, a lungo, pericolosamente.
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Se la scrittura non è solo una modalità terapeutica per meglio affrontare la vita, ma ha la pretesa di proiettarsi oltre la vita stessa, allora il suo esercizio è qualcosa di molto complicato. Bisogna individuare contenuti originali, progettare forme eleganti, elaborare spiegazioni chiare, utilizzare termini esatti. Il groviglio delle scelte fatte e delle esperienze vissute sulla pelle può suggerire intrecci originali solo se messo a servizio della fantasia. Lunga osservazione scientifica e rischiosi esperimenti precedono la messa a punto della formula che converte il percolato in essenza. La complessità dell’inconscio va tradotta utilizzando frasi concise, parole semplici. Per stupire, catturare l’attenzione, rendere avvincente la lettura bisogna farsi audaci, magari accostando tempi e situazioni apparentemente inconciliabili. Se si vogliono smascherare ipocrisie, bisogna trovare il coraggio di esporsi svelando pensieri e sentimenti. L’intensità e consapevolezza con cui determinate situazioni sono vissute racchiudono particelle di poesia, ma quante scorie bisogna togliere via prima che trasmettano emozione al lettore? Si può trarre sollievo dai ricordi accumulati, anche da quelli dolorosi dopo averli manipolati con perizia, ma solo l’arte trasforma l’invisibile in pagine che valga la pena leggere.
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In Brasile aveva pubblicato libri didattici, di poesie, e saggi. Tornava in Italia per concretizzare il sogno, alimentato sin dall’infanzia, di dedicarsi esclusivamente alla scrittura. Nemmeno le chiesero se avesse o intravedesse mezzi di sussistenza: uno le suggerì di badare a una vecchia, l’altro a una bambina, un prete le disse che bisogna avere i soldi per andare qualche volta con gli amici in pizzeria. Quando era raggiunta da affermazioni del genere, si sentiva così male da trascorrere vari giorni in esclusiva compagnia della depressione. Come si fa a suggerire qualcosa a qualcuno senza prima, almeno, averlo ascoltato? Come si fa a pensare alla piattaforma economica di qualcuno senza nemmeno cercare di scoprire cosa si potrebbe estrarre dal suo giacimento interiore? Come si fa a pensare che una pizza possa determinare la qualità di una relazione? Doveva continuare a considerare amici coloro che non sentivano la necessità di ascoltarla, di prendere visione del suo mondo interiore e, oltretutto, le vomitavano addosso idee qualunquiste, precetti consumistici, soluzioni massificanti? Decise di continuare a prendersi cura di sé stessa. Eluse anche i tentativi fatti da un’amica anziana, che le proponeva di andare a vivere con lei enfatizzando il fatto che così il problema dell’alloggio non si sarebbe posto. Addusse impegni vari, pur veri, senza dirle che, nel caso non fosse riuscita a comprarsi un modestissimo nido con i soldini messi insieme da vera formichina, poteva sempre stabilirsi nella casa materna. Non le fece nemmeno notare che stava già prendendosi cura di una persona, e quella era sua mamma.
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Asserendo che troppo alto è il prezzo pagato per la casa, le fanno capire che pensano sia una sprovveduta; naturalmente la loro valutazione scaturisce da meri calcoli economici, anche approssimativi, per la verità. Per decenni l’ha desiderata, per anni cercata. Ha studiato il mercato visitando agenzie immobiliare, sfogliando riviste specializzate, setacciando la città, parlando al telefono con venditori, visionando ambienti. Per niente facile è stato scovarla. Al centro del centro storico, nell’antico rione che fu dei Laboriosi, tra edifici abbandonati e vicoli ripidi, in una costruzione modesta, dentro a un minuscolo appartamento, in una stanza ridotta a deposito, ostruita da uno scaffale carico di cianfrusaglie: lì stava la sua finestra sul mare. Il mare è il suo amante. Il loro amore è assoluto. Guardarlo significa vedere oltre il quotidiano, angusto e noioso. Guardare il mare significa tenere gli occhi spalancati sulla possibilità di raggiungere un mondo dove tutto sia diverso, con spazi ancora da occupare e, soprattutto, in cui la sua immagine non venga associata a quella di esseri atroci di cui famiglia e società si sono serviti per ostruirle il cammino.
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Contemplare il mare non è sufficiente per vivere in pace. È imprescindibile che sopra al proprio non ci sia un altro appartamento. Si ha idea di ciò che si deve sopportare se lo spazio soprastante è occupato da tre mignotte, oppure da una squadra di operai, o da una famiglia che non ha aggiunto il termine educazione al suo vocabolario? Dicevano di essere studentesse e organizzavano orge. Per la donna che occupava i locali sottostanti finì la pace. A qualsiasi ora del giorno e della notte l’andirivieni era costante; così come il rumore di tacchi, di porte sbattute, di oggetti tonfanti, di sedie strascinate, di musica e voci alte. Quando, gentilmente, la donna richiamò la loro attenzione sul proprio disagio iniziarono a farle dispetti, a lasciarle biglietti insolenti, a proferire insulti quando passavano dietro la sua porta d’ingresso. Fu a questo punto che le studentesse ottennero di essere qualificate come “mignotte”, termine da intendersi nella sua accezione più ampia. Chissà se si sarebbero comportate allo stesso modo se dietro quella porta ci fosse stato un uomo? Ricco sfondato, decise di trarre il maggior profitto dall’appartamento che era stato dei genitori; lo fece quando la sua democristiana sorella era ancora viva e avrebbe potuto continuare a occuparlo con l’aiuto di una badante. Figlio di democristiani sfegatati, il bastardo prese la decisione più cristiana: rinchiuse la sorella in una casa di riposo e stipò sei operai venuti dal sud nell’appartamento ideato per quattro persone. Per la vecchietta che occupava i locali sottostanti finì la pace. Dalle cinque alle sei e quindici del mattino gli operai facevano una baraonda del diavolo, fra strascinio di mobili, sbattimento di oggetti, sciacquoni tirati, scrosciare di docce, stridii agghiaccianti delle vecchie tubature. La stessa cosa si ripeteva dopo le diciotto, al rientro dal lavoro. Mille volte la vecchietta fu sul punto di richiamare la loro attenzione sul proprio disagio, sempre trattenuta dalla pena che le facevano quegli uomini del sud, costretti a lavorare lontano dai propri territori, radici, famiglie, affetti. Quando il casino era particolarmente intenso, e ciò avveniva all’ora di cena, quando gli strisciamenti erano così violenti che la facevano sobbalzare, l’unica cosa che riusciva a fare era maledire il democristiano di merda, che di cristiano non aveva niente avendo messo il portafoglio al posto del cuore. A lui, che gli operai chiamavano “strunzo”, la vecchietta indirizzava tutte le maledizioni del suo repertorio. A proposito della famiglia maleducata, il novantasei per cento dei nostri lettori sa che cosa si potrebbe scrivere, quindi evitiamo di farlo.
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Tornarono alla carica proponendole un lavoro stagionale: prendersi cura di una vecchia per permettere ai parenti di meglio godersi le vacanze al mare. Rispose che preferiva badare a sua madre. Insistettero esortandola a tener conto dei soldi che avrebbe guadagnato. Non provò nemmeno a parlare di sentimenti; chiuse il discorso affermando che sua mamma sapeva essere generosa. Che valore ha trovarsi in condizione di fare ciò che si vuole? Doveva essere libera per visitare sua madre in qualsiasi momento le piacesse o fosse necessario farlo. Fisicamente in forma, la vecchietta aveva cominciato a sfarfallare. Bisognava seguirla, risolvere affari, aiutarla nella gestione della casa, nei lavori domestici e, soprattutto, farle sentire che non era sola, che su qualcuno poteva contare.
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Gli spostamenti in treno tra Marche e Umbria presero a susseguirsi a ritmo costante, e a farsi sempre più ravvicinati con l’aggravarsi delle condizioni mentali della mamma. Considerando il viaggio stimolante a priori, anche quando non porta lontano, lasciava la propria abitazione senza problemi; eppure, ogni volta che tornava la finestra sul mare le regalava emozione. Dei vicini di casa, un vecchio viveva con una provocante badante straniera; spesse volte le capitò di prendere atto di visite molto notturne che un uomo faceva alla bella. Seguendo una trasmissione televisiva che parlava di badanti, udì qualcuno pronunciare una parola prima mai udita: “badamanti”. Rise di cuore trovando che il termine ben si applicava ad alcune professioniste di sua conoscenza. Il vecchio fu così menefreghista da morire quando la nipote, che doveva prendersi cura di lui e che aveva nominato erede unica di casa e averi, se ne stava, poverina, in viaggio di piacere all’estero. Fu la badante a stringere le mani, accarezzare, baciare, guardare il vecchio negli occhi, a sussurrargli rassicuranti parole in lingua straniera affinché meglio affrontasse l’incontro con la morte.
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Quando non si possiede auto, l’ubicazione di una casa può rappresentare valore aggiunto a quello commerciale. Dopo ore trascorse al computer, la stanchezza comincia a farsi sentire; continuando a lavorare, frasi contorte prenderebbero il posto di quelle decenti già scritte. A questo punto l’unica cosa da fare è riscoprire la connotazione originale del concetto di ozio. Finalità ultima del non far nulla è l’impiego consapevole di una parte di tempo per perseguire il proprio benessere. Fatta di concentrazione, elaborazione, creatività, l’attività intellettuale è favorita dal riposo fisico. Lasciarsi andare a rituali antichi, a suggestioni sensoriali, volersi bene, regalarsi momenti di piacere per sentirsi rinvigorire nel corpo e nella mente. Affacciarsi alla finestra sul mare, accarezzare con lo sguardo le colline marchigiane, cercare il profilo del Conero. Oppure uscire avendo a portata di piede tutto ciò che serve per vivere: biblioteca, cinema, concerti, mostre, teatro, dibattiti, generi alimentari; la sequenza riflette il grado di importanza che ogni segmento ha nella vita di chi l’ha scritta.
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La donna è avanti negli anni e fra i pochi desideri che ancora coltiva c’è quello di poter stringere le mani, accarezzare, baciare, guardare sua mamma negli occhi, sussurrarle rassicuranti parole in gergo familiare quando affronterà l’incontro con la morte. Comincia però a dubitare che le sarà concesso farlo: da quando vivono sotto lo stesso tetto marchigiano, sua madre non è più depressa, ha il diabete sotto controllo, non più feriti sono i suoi piedi, ha perso chili di inutile grasso e, con capelli sempre a posto e a nuovo vestita, pare essere ringiovanita; inoltre, con l’espressione birichina che spesso assume la vecchietta sembra voler dire di non avere nessunissima intenzione di morire, almeno nei prossimi quindici anni. Non è escluso, quindi, che sarà proprio lei, la figlia, la prima a schiattare. Generando tranquillità, la nuova situazione familiare non solo non le impedisce di dedicarsi esclusivamente alla scrittura, ma le permette di farlo con spirito sereno. È vero che in questo periodo non può realizzare viaggi, ma ha aggirato l’ostacolo decidendo che sarà proprio il tema del viaggio ad attraversare ogni capitolo del libro al quale sta lavorando. Accingendosi a scrivere un nuovo brano, si è chiesta se valeva la pena parlare di badanti, badamanti, badamadri, concludendo che preferiva occuparsi di sogni infantili e scelte di vita, di valori non commerciali, di farisei e ipocrisia, di affetti filiali che siano universali e non cristiani, di sentimenti quotidiani tutt’altro che angusti e noiosi.
(Settembre 2010)
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* Il brano “Badanti, badamanti, badamadri” è uno dei capitoli del libro inedito A passo di tartaruga.
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** Loretta Emiri è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas, i volumi di racconti Amazzonia portatile e Amazzone in tempo reale, che ha vinto il Premio Speciale della Giuria del Premio Franz Kafka Italia 2013. Suo è anche il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne, mentre del libro Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più, anch’esso inedito, è la curatrice.
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http://lorettaemiriparaosamigosbrasileiros.blogspot.it
nunzio scotto di covella
19 Febbraio 2015 @ 09:57
Contemplare il mare non è sufficiente per vivere in pace. (Grazie Loretta).