• Loretta Emiri – Manoscritti tra le tenaglie della critica letteraria

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    Tra marchigiani ruspanti e sardi neolitici *

    Loretta Emiri **

    L’ho corteggiata a lungo. Ci tenevo fosse lei a scrivere la prefazione di Amazzone in tempo reale. Brasiliana residente in Italia, autrice di poesie e saggi, credevo che la mia richiesta potesse addirittura lusingarla. Per molto tempo mi ha portata in giro; alla fine si è degnata di chiedermi il manoscritto. Lasciandomi a bocca aperta, rispondeva a stretto giro di posta. Stando io a bocca aperta, mi entrava dentro tutto il veleno della sua stroncatura. In questo preciso momento mi torna in mente Beppe Fenoglio e gli attacchi gratuiti di cui è stato vittima solo perché il suo linguaggio era talmente originale che, al momento, non venne capito. Mi torna in mente anche la sforbiciata con cui Natalia Ginzburg dannificò Giù la piazza non c’è nessuno di Dolores Prato. A distanza di anni, ancora mi chiedo perché la brasiliana non si sia semplicemente inventata una scusa per non scrivere la prefazione, invece di prendersi la briga di trasformare le sue impressioni in feroce stroncatura. Delle obiezioni da lei sollevate, analizziamo subito quella che le sintetizza tutte: “Ho avuto la sensazione che non hai piena coscienza di ciò che desideri realmente fare”; frase che, tradotta, va letta così: “Siccome non ho capito il tuo linguaggio letterario, ti dico che non sai ciò che stai facendo”. Poi afferma: “Oggi è comune incontrare libri in cui l’aspetto biografico si mischia alla narrativa, soprattutto nella cosiddetta letteratura post-moderna, ma gli autori hanno grande e raffinata coscienza di questa mescolanza”; la traduzione della frase è la seguente: “Mischi l’aspetto biografico alla narrativa, ma tu non sei nessuno, quindi non puoi avere né grande né raffinata coscienza di ciò che stai facendo”. Infine ha persino chiesto che struttura volessi dare al libro, utilizzando più generi o uno solo; notare che le avevo spedito la versione finale dell’opera, completa, revisionata, controllata in modo maniacale in tutti i suoi particolari. Potrebbe essere spassoso cogliere la sua espressione caso percepisca che al libro è poi stato assegnato il Premio Speciale della Giuria per la Saggistica, del Premio Franz Kafka Italia ® – 2013.

    unknown-1Intuisco che state di nuovo chiedendovi chi io sia. Sono il personaggio principale di questo romanzo e non so ancora come la scrittrice mi chiamerà quando avrò raggiunto la quarta età che ho in questo momento. Sono l’autrice del libro e ho piena coscienza di cosa e perché scrivo: i miei testi di recupero della memoria spaziano dalla narrativa autobiografica a quella informativo-letteraria; la mescolanza dei generi supera i confini entro i quali i meschini vorrebbero mantenere ciò che invidiano o non riescono a capire; riunita, la mia produzione è la raffigurazione impressionista dell’epoca cui è appartenuta un’esistenza; lo scrivere fuori dai canoni mi proporziona gran godimento e multipli amplessi. Sono una lettrice esigente e non tengo conto delle etichette che vengono affibbiate  ai libri; ciò che interessa me è che siano ben scritti, avvincenti fino all’ultima pagina, che emozionino, facciano pensare ma anche ridere e piangere, che attraversino il mio cervello come fossero Perseidi. Io amo la scrittura non convenzionale, creativa, ardita. I capitoli di questo libro non sono stati inseriti seguendo l’ordine cronologico di stesura, i contenuti di ognuno vanno e vengono tra epoche e regioni lontanissime, la struttura è stata costruita utilizzando materiali differenti; l’allontanamento dai canoni del romanzo classico è dipeso anche dalla personalità stessa dell’autrice, dalla sua esperienza, dal suo andare e venire dal primo al terzo mondo, dal Brasile al mondo yanomami considerato “primitivo”, dall’Europa all’America Latina, dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia alla fotografia, dalla lotta per la conquista e il riconoscimento dei diritti indigeni alla lotta per l’affermazione e il rispetto della propria individualità. Come personaggio, come scrittrice e come lettrice faccio notare che il presente lavoro non somiglia a un romanzo dell’ottocento perché è stato iniziato nel 2014; osservazione banale, ma necessaria perché diretta a critici, detrattori, stroncatori; diretta, insomma, ai coglioni per i quali la creatività dovrebbe restare a marcire in buie e umide prigioni ottocentesche. Come personaggio, come scrittrice e come lettrice ho un suggerimento da dare ai reazionari della letteratura: se passato, presente, spazi, culture, generi si confrontano e rifondano, perché non provate a cogliere i molteplici livelli di lettura e metaletteratura che ne scaturiscono? Individui con paraocchi sono stati in grado di farlo; magari potreste riuscirci anche voi.

    La scrittrice è preoccupata. Guarda i materiali che ha davanti e si chiede se potranno veramente essere trasformati in capitolo di romanzo. In una busta ci sono cartoline, cartine geografiche, una guida turistica e appunti molto succinti presi durante un viaggio in Sardegna. C’è una scheda compilata a mano con le principali informazioni riguardanti Giovanni Verga, Luigi Pirandello, Grazia Deledda. C’è un promemoria scritto al computer. In un’altra busta c’è il carteggio che due scrittrici si sono scambiate.  C’è un testo magistrale che una giovane ricercatrice italiana ha dedicato a uno scrittore brasiliano vissuto e sepolto recentemente in Toscana. Ci sono i primi dieci capitoli del presente romanzo, i quali, muti ed eloquenti, stanno ricordando all’autrice di fare molta attenzione perché ciò che aggiungerà, dalle singole parole alle situazioni, ai concetti, tutto deve essere sapientemente inserito; altrimenti, a lavoro ultimato, il quadro risulterà essere una crosta.

    unknownIl teleromanzo Canne al vento fu mandato in onda dalla RAI nel 1958, in quattro puntate. Avendo all’epoca solo undici anni, Cosetta deve aver letto il libro della Deledda dopo aver assistito allo sceneggiato. La sua famiglia non possedeva ancora il televisore, ma un’anziana vicina di casa non lasciava che perdessero nemmeno una puntata dei programmi più seguiti; gli adulti si accomodavano in platea, i bambini occupavano il primo ordine dei palchi, cioè venivano issati sopra al lavello e attiguo piano da lavoro, che in quella cucina erano di solido marmo.  Nel 1964, in sei puntate, la RAI trasmise lo sceneggiato Mastro Don Gesualdo, fedelmente tratto dall’omonimo romanzo di Giovanni Verga.  Nel 1965, fu la volta di Sei personaggi in cerca d’autore: mirabile fu quell’edizione televisiva del dramma di Luigi Pirandello; Cosetta, che nel frattempo era divenuta Scarpetta, ne rimase stregata al punto che sarebbe tornata a vederlo ogni volta le fosse stato possibile, sia in TV che a teatro, durante l’arco di tutta la vita. Ad accompagnarla fin dentro la gioventù furono, insomma, i rimandi fra televisione e letteratura; le forti vicende d’amore, dolore e morte della Deledda; le straripanti novelle di Verga; le Novelle per un anno di Pirandello e il suo superbo, destabilizzante repertorio teatrale.

    Raggiunta la terza età, Scarpetta cominciò a prendersi cura di sua madre, ormai entrata nella quarta. Avendone captato il bisogno di concedersi una distrazione, di far arieggiare il cervello, e riconoscente per i sentimenti di complicità e protezione che le trasmetteva, la vecchietta incoraggiò la figlia a partecipare al Gran Tour della Sardegna. Corpo estraneo in una comitiva di marchigiani ruspanti inclini a magnate, bevute e acquisti, Scarpetta volse loro le spalle e si concentrò nell’interiorizzazione di ciò che il viaggio in sé e la Sardegna le avrebbero suggerito. Le emozioni iniziarono nel porto, quando le sembrò di ricordare che a Civitavecchia aveva visto il mare per la prima volta. Chissà perché, il papà li aveva portati proprio lì in uno dei primi viaggi fatti con la mitica Fiat 500; può darsi che ci andasse da giovane con la famiglia d’origine, ma l’informazione non è più verificabile. Rileggendo questo paragrafo Cosetta si è ricordata che i genitori si erano concessi qualche giorno di vacanza a Ostia quando la sua età era molto tenera, non senza giustificarsi allegando che, essendo anemica, la figlioletta aveva bisogno di mare. Seduta su una piccola protuberanza rocciosa in un angolo periferico della costa civitavecchiese, ormai divenuta Scarpetta, se non era la prima volta che vedeva il mare, certamente era la prima volta che gli volgeva lo sguardo interiore: fu colpo di fulmine, al primo contatto fisico divenuto passione travolgente; sarebbe rimasto il vero, grande amore, l’unico che non l’avrebbe mai tradita durante l’arco di tutta la vita.

    L’attraversamento del Tirreno durò più di cinque ore, ma l’angustia colse Scarpetta solo quando mise piede a Olbia. Il pensiero di trovarsi su un’isola le provocò l’abbastanza sgradevole sensazione di sentirsi prigioniera. Fu in quel momento che le tornarono in mente gli amati Verga, Pirandello e Deledda, che isolani erano nati, ma la cui arte aveva raggiunto il territorio nazionale. Con il Nobel, addirittura, Pirandello e Deledda erano arrivati a fama mondiale. L’assegnazione del premio a una donna, autodidatta per giunta, ha dell’incredibile; oggigiorno, che ingenua non è più, Scarpetta continua a pensare che la Deledda sia stata brava, ma anche molto, molto, ma molto fortunata. Per chiudere un articolo scritto un anno e mezzo prima del viaggio in Sardegna, Scarpetta citò Pirandello; selezionato per una lettura pubblica, il testo fu letto dall’attore-curatore dell’evento; però l’uomo, che si vanta di essere di sinistra, ghigliottinò la citazione. Rispettosa com’è di altrui diritti e libertà, Scarpetta s’indispettì alquanto per la censura, che le provocò anche dubbi e scrupoli di coscienza: scelte politiche, adesioni a partiti, umane debolezze, ambiguità, incoerenze, fragilità interiori rendono l’opera di un artista meno valida? Pirandello è stato iscritto al Partito Nazionale Fascista; questo ci autorizza a “buttare il bambino insieme all’acqua sporca”? Il locale può divenire globale oppure universale. Il termine globale non è sinonimo di universale. Verga, Deledda, Pirandello, ai loro personaggi attribuirono inquietudini, ambiguità, valori, sentimenti tipicamente umani, e lo fecero dando carta bianca all’arte; per questo le storie da loro narrate sono divenute universali. Il riandare con il pensiero ai suddetti, amati scrittori tranquillizzò Scarpetta, che decise di proseguire il Gran Tour della Sardegna pensando che un’isola non è necessariamente una prigione, ma un luogo naturale, vero, primitivo, mitico da cui può partire chiunque desideri andare incontro a sé stesso.

    unknown-2La visita all’officina meccanica di una stazioncina ferroviaria può provocare emozioni? L’odore caratteristico del luogo colse di sorpresa Scarpetta, che si sentì svenire. Era lo stesso odore dell’officina annessa alla centralina elettrica comunale dove suo padre aveva lavorato. Ricordi, emozioni e nostalgie affluirono insieme andando a ostruirle le vie respiratorie. Per non cadere, si appoggiò allo stipite della porta d’ingresso del locale, poi uscì all’aperto per riprendere fiato. Quando rientrò nell’officina, era pronta per lasciarsi aggiustare dagli strumenti in essa conservati. Torni, forge, magli, saldatori, incudini, trapani, morse e quell’odore. Le piaceva visitare il papà sul posto di lavoro, e lo faceva anche quando non doveva trasmettergli i messaggi della moglie. Erano momenti magici perché appartenevano a loro due soltanto, momenti durante i quali Scarpetta riusciva a soffocare la percezione che il figlio maschio fosse il prediletto di suo padre.

    Per tutto il viaggio, i granturisti ebbero a disposizione una guida. Era una giovane donna mite, fortemente somigliante a un’affermata attrice italiana. Molto spesso la poverina doveva richiamare all’ordine i ruspanti, che si comportavano come alunni chiassosi, vogliosi di far tutto meno che ascoltare l’insegnate. Durante la visita all’area mineraria di Iglesias, Scarpetta apprese che la Grotta di Santa Barbara è tra le più antiche della terra, con circa seicento milioni di anni, e che una con le stesse caratteristiche si trova in Brasile. Boschi nativi sardi, con querce, sugheri, ulivi selvatici, furono distrutti per vendere legname agli inglesi che lo utilizzarono nella costruzione della propria rete ferroviaria; l’oligarchia brasiliana continua a distruggere la foresta amazzonica, vendendola alle grandi corporazioni sopranazionali. La bonifica della Sardegna voluta durante il fascismo comportò la distruzione di necropoli e nuraghi e, in tempi recenti, oro nuragico è saltato fuori dai campi; fatti accorrere da tutto il Brasile e supportati dall’oligarchia locale, in tempi recenti cercatori d’oro hanno invaso il territorio yanomami, distruggendo habitat, villaggi, comunità intere. Nel Museo Etnografico di Nuoro, la vista di determinati oggetti in Scarpetta provocò una serie di associazioni d’idee, riproponendole le maschere dei tikuna, le ceramiche dei macuxi, le trame dei tessuti precolombiani.

     

    imagesSiamo di nuovo nel porto di Olbia. Siamo alla fine del viaggio. Scarpetta è euforica. Sulle pareti di una casa di Orgosolo, sotto artistico murale, ha letto il finale del presente capitolo. Non sono in grado di trasmettervi l’ironia pungente contenuta nella frase scritta in sardo, ma vi traduco lo stesso il messaggio: “Scrivendo fiera recensione, ricercatrice italiana residente in Germania ha rispedito al mittente feroce stroncatura elaborata per lo stesso libro da scrittrice brasiliana residente in Italia”.  Ma non è tutto. Sapete dove la recensione è stata pubblicata? Nella prestigiosa rivista di letteratura del cui gruppo redazionale la brasiliana fa parte. Puntini, puntini, puntini.

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    * Il brano “Tra marchigiani ruspanti e sardi neolitici” è uno dei capitoli dell’inedito Romanzo indigenista.

     

    ** Loretta Emiri è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas, i volumi di racconti Amazzonia portatile e Amazzone in tempo reale (premio speciale della giuria per la Saggistica, del Premio Franz Kafka Italia 2013), il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne. È anche autrice degli inediti A passo di tartaruga e Romanzo indigenista, mentre del libro Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più, anch’esso inedito, è la curatrice. Suoi testi appaiono in blogs e riviste on-line, tra cui Sagarana, AMAZZONIA – fratelli índios, La macchina sognante, Fili d’aquilone, El ghibli, I giorni e le notti, Euterpe.

     

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