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Una storia d’amore *
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di Loretta Emiri **
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“La maestra”, ancor oggi dicono i compaesani nell’evocarla. Appena diplomata, e fino a saldare le rette maturate durante la formazione, insegnò nel collegio dove aveva studiato. I suoi erano proprietari di un grazioso alberghetto a conduzione famigliare. A seconda delle esigenze, da bambina aveva operato come cameriera, aiuto-cuoca, inserviente. Non di rado fungeva da dama di compagnia di ospiti anziani, le cui storie di vita tanto le piaceva ascoltare. Riordinare le camere era il servizio che prestava più volentieri, perché le consentiva di entrare in contatto diretto con gli oggetti del suo desiderio. Prendeva tra le mani libri e riviste che i villeggianti si portavano dietro, estasiata fissava indici e copertine, sfogliava pagine, leggeva paragrafi interi quando fascinose parole catturavano la sua attenzione. Fra i clienti abituali c’erano degli insegnanti e, magari, qualcuno in particolare può in lei aver suscitato interesse per la professione; ma, che poteva e voleva divenire maestra, la piemontesina bella lo capì dopo aver scrutato a lungo dentro sé stessa. Crebbe lavorando sodo, ascoltando gli adulti, leggendo qualsiasi scritto le capitasse a tiro. Al verificarsi della prima mestruazione, l’adolescente yanomami viene fatta accomodare in un rifugio appositamente costruito all’interno della grande casa comunitaria, e attiguo allo spazio occupato dalla sua famiglia estesa; vi resterà fino alla fine del secondo ciclo mestruale, rispettando restrizioni alimentari, essendo servita dalla mamma nelle sue necessità; non parlerà con nessuno, ma ascolterà ciò che la comunità avrà da dirle, configurandosi, questo periodo, come momento di formazione e introduzione alla vita di adulta; quando uscirà sarà pronta per consumare il matrimonio che, generalmente, è già stato combinato dai genitori degli sposi in base alle regole sociali vigenti. Quando la piemontesina scese a valle per andare in collegio a studiare da maestra era una piccola donna piacente, tenace, discreta; e forte come la roccia delle sue montagne.
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Amava tanto l’insegnamento da considerarlo una missione. A sé stessa applicava una disciplina ferrea, era comprensiva con gli alunni normali e tenera con quelli di umili estrazioni sociali, per gli zucconi raddoppiava sforzi e si prodigava in sperimentazioni. Molti anni trascorsero mentre passava per le scuole di varie località senza che l’idea di formarsi una famiglia la sfiorasse. L’ineluttabile accadde quando la sua condizione di zitella era ormai ritenuta irreversibile. Nei piccoli centri l’insegnante elementare, anche di sesso femminile, era un’autorità alla stregua del sindaco e del parroco, e non poteva esimersi dal partecipare ai più svariati eventi. Assistendo un giorno ad una commemorazione, la maestra si sentì osservata. Nell’incrociare lo sguardo del carabiniere che la stava fissando fu colta da trasalimento: l’emozione improvvisa la fece sussultare ed arrossire allo stesso tempo. Per lei seguirono giorni di smarrimento. Gentile, educato, purtroppo celibe era il carabiniere. Avvalendosi dei più fantasiosi pretesti, cominciò a visitarla assiduamente. L’impeccabile divisa lo rendeva elegante. Ogni volta che la maestra lo vedeva arrivare si sentiva rimescolare tutta. Gli incontri avvenivano nella scuola dove, correggendo compiti, preparando lezioni, spesso dando ripetizioni, lei trascorreva la maggior parte del tempo. Mai Leonardo arrivava a mani vuote però, se erano fiori, diceva di averli portati per abbellire l’aula, se si trattava di caramelle asseriva fossero per gli alunni. Le loro conversazioni erano gradevoli per l’eterogeneità degli argomenti trattati; perché, essendo curiosi, sapevano ascoltarsi; perché, grazie all’educazione ricevuta e al discreto bagaglio culturale, accoglievano il punto di vista dell’altro senza sentire il bisogno di imporre il proprio. Impararono a conoscersi così: lui manifestandole pensieri e sentimenti; lei rivelandogli la propria passione per tutto ciò che avesse a che vedere con la scrittura. Quelle prime ponderate e solide parole divennero le fondamenta della stima reciproca su cui, in breve, poggiò l’amore.
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Faceva molto freddo quel pomeriggio. Abbondante la neve era scesa e la cittadina si ritrovava vestita da sposa. Sistemata accanto alla stufa a legna, la maestra correggeva compiti, distraendosi continuamente perché si avvicinava l’ora in cui, di solito, il carabiniere le faceva visita. Essendo la ghiaia del vialetto coperta di neve, non lo sentì arrivare; non vedendola andargli incontro come di consueto, lui procedette cauto fino alla porta a vetri interna da cui sperava di poterla guardare per un po’ senza essere visto. Contemplò a lungo l’oggetto del suo desiderio, riandando con il pensiero alla prima volta che il suo sguardo si era posato su quella donna minuta da cui si era sentito subito attratto. Poi bussò alla porta. Lei si mosse impacciata, lui avanzò risoluto. Le mise in mano un libro che aveva fatto acquistare da un collega recatosi in città, il libro che due giorni prima la maestra gli aveva detto di voler comprare. La sorpresa velò lo sguardo di lei; lui se la mangiava con gli occhi. Per la prima volta non le disse “signorina maestra”, applicò un diminutivo al nome proprio, usò il tu e, a bruciapelo, le chiese: “Claretta vuoi sposarmi?”. Per lunghi giorni lei cercò di convincerlo che non era il caso: perché era zitella, perché amava il suo lavoro e ad esso si era votata, perché era più vecchia di lui di tre anni. Queste e altre non valide ragioni non convinsero né lui né sé stessa. Determinato, continuò a corteggiarla con più intense parole; ed esse ebbero il potere di svelarle che a fianco di uomo siffatto ben valeva la pena addentrarsi nella giungla del matrimonio.
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Il fidanzamento fu molto romantico. Nei dialoghi introdussero informazioni personali e famigliari, embrioni di progetti. Durante le visite che Leonardo le faceva, le strette di mano vennero sostituite da baci non meno casti. Presero a scriversi quotidianamente, addirittura più volte nello stesso giorno; quasi a giustificarsi, sostenevano che i concetti che arrivano ad essere scritti sono più maturi, più profondi di quelli solo detti; la ragione vera era pudicamente taciuta, e cioè che attraverso la scrittura riuscivano a formulare dichiarazioni d’amore più originali, più audaci. Quando giungeva l’ora di separarsi, restavano in compagnia delle lettere che si scambiavano; le leggevano quando già erano a letto, poco prima di addormentarsi, così i sogni si fecero erotici, umide le notti. Neppur lontanamente passò loro per la testa di avere rapporti sessuali prima del matrimonio. Oniricamente, però, riuscivano a fare ciò che lei non avrebbe fatto a causa dei condizionamenti religiosi; ciò che lui non le proponeva di fare per il gran rispetto che le portava. Fortunatamente, oltre che romantico il fidanzamento fu breve! Il carabiniere, che si trovava in Piemonte per ragioni di servizio, venne richiamato in Umbria. Decisero di sposarsi in tutta fretta e vollero farlo nel paesino dove lei era nata, lassù tra le montagne. Cattolica praticante, la maestra non poteva che sposarsi in chiesa; ateo convinto, Leonardo non sollevò obiezioni e nemmeno sentì di tradire alcun principio, perché davanti a un sindaco o un prete che fosse, lui avrebbe fatto la stessa identica cosa: giurare amore e fedeltà a quell’esile donna speciale. La madre e il padre già erano morti, ma intorno alla maestra si strinsero congiunti di ogni ordine e grado. Per Leonardo, che era bastardo e pure orfano dei genitori adottivi, fu un’esperienza sconvolgente: quei montanari schivi e sobri, che fossero parenti o compaesani della sua Claretta, riuscirono a farlo sentire accolto, accettato, a casa; nei loro volti ravvisò quelli di fratelli, zii e cugini, volti che fino a quel momento tanto gli erano mancati.
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La maestra aveva una sorella di tre anni più anziana, e un fratello di tre anni più giovane. A gestire l’albergo era rimasta la sorella, che aveva progettato di sistemare gli sposini nella stanza ritenuta più bella. Ma non si sorprese quando la maestra le disse di preferire la camera che era stata dei genitori. Di non facile accesso, perché bisognava salire varie rampe di scale, era arredata spartanamente. Conteneva, però, qualcosa di molto prezioso: una finestra che sovrastava tetti d’ardesia e incorniciava montagne. Il paesaggio era talmente suggestivo che mai nessuno aveva pensato di farlo sparire sotto tende graziose e cretine. Preparativi, cerimonia nuziale e luna di miele avvennero nell’arco di sette giorni. Una settimana può essere ritenuta frazione di tempo molto effimera, ma anche tutta una vita può esserlo; ciò che fa la differenza è la consapevolezza con cui riusciamo a vivere l’attimo. Lungo la strada che dall’alberghetto conduceva in chiesa, i vicini sistemarono vasi di fiori. La coppia passò a braccetto tra due affollate ali di gente. La curiosità di conoscere il bel carabiniere non fu la sola ragione che fece riversare in strada l’intero paese: erano tutti un po’ orgogliosi della maestra; volevano edificarsi cogliendo la felicità nei volti degli sposi; avvertivano il bisogno interiore di far festa e utilizzarono le nozze a pretesto, anche se l’evento li riguardava indirettamente. I membri dell’unità operativa locale dell’arma dei carabinieri si presentarono in alta uniforme, dando all’atmosfera un tocco solenne. Al termine della messa, i parenti tornarono indietro per ultimare i preparativi del pranzo, mentre gli sposi vollero recarsi da soli al cimitero. Sorridendo, la maestra depose sulla tomba dei tanto amati e rispettati genitori il mazzo di fiori che aveva stretto a sé durante la cerimonia. A questo punto Leonardo scoppiò in lacrime. Lei non tentò nulla per arginare l’accorato pianto, solo strinse fra le sue una mano del marito e attese. Di quel silenzio eloquente, di quell’ascolto partecipante, in seguito, infinite volte, lui le avrebbe detto di esserle riconoscente. Espulsa l’ultima lacrima, smorzatosi l’ultimo singhiozzo, Leonardo fissò la sua Claretta e le disse: “È atroce sentirsi figli di nessuno, essere rifiutati, sperimentare l’abbandono, non sapere in che direzione ricercare le proprie radici. Tutto ciò le lacrime hanno lavato via. Ora debbo pensare solo a te che hai scelto di essere mia”.
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Nell’entrata dell’albergo era stato allestito un rinfresco per conoscenti e amici che volessero salutare la coppia. Il pasto che seguì fu essenziale, eppure succulento. All’epoca non andava ancora di moda servire trentatré blasfeme portate durante i pranzi di nozze, e sprecare una sola briciola di pane era ritenuto peccato mortale. Filetti di acciughe ornavano l’antipasto di verdure e maionese; gli agnolotti diffusero nell’ambiente un odore provocante; il secondo non poteva che essere vitello tonnato; non mancarono patate topinambur, bagnacàuda e tuma; rosso rubino intenso, austero, il barbera corse nelle vene per rinsaldare vincoli di sangue, per celebrare il nuovo legame. Abbastanza in fretta i commensali si ritirarono per lasciare finalmente soli gli sposi. Quando raggiunsero la camera da letto il sole non era ancora tramontato. Sedettero a lungo davanti alla finestra, accarezzando con lo sguardo il paesaggio o il volto dell’altro. Quando la maestra decise che era ora di indossare la camicia da notte, per evitarle imbarazzo Leonardo continuò ad ammirare le montagne. Quando percepì che lei era a letto, cominciò a spogliarsi a sua volta senza guardala. La maestra aveva il cuore in gola e con gli occhi se lo mangiava. Aveva intuito che la divisa celasse un bel fisico, ma la realtà superò le aspettative; se all’epoca le sculture fossero già state recuperate, avrebbe detto che il corpo di suo marito era splendido come un Bronzo di Riace. Leonardo nemmeno pensò di indossare il pigiama, entrò nel letto, si strinse a lei, che nel frattempo gli aveva girato le spalle, e attese. A poco a poco, la posizione a cucchiaio trasmise alla maestra una sensazione di protezione; poi avvertì che, nonostante la camicia da notte, dal corpo di lui le giungeva calore; infine si girò mostrandogli occhi ardenti di desiderio. Leonardo seppe che era giunto il momento di farla sbocciare: procedette con lentezza, bisbigliò suggerimenti, già sul punto di penetrarla ritrasse il pene più volte; cioè regalò alla sua Claretta il tempo di cui aveva bisogno per capire come interagire al fine di rendere fisicamente e spiritualmente voluttuosa per entrambi la prima notte d’amore.
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Il liquido fuoriuscito dalla vagina lasciò sul lenzuolo esili striature marroni, di cui la maestra si sorprese alquanto perché pensava che la deflorazione dovesse provocare un fiotto rosso e abbondante di sangue. Era giunta al matrimonio con scarne informazioni sul sesso, non avendo fatto esperienze, né ricordando di aver preso una cotta, una sbandata. A Leonardo le avventure non erano mancate. Anche all’epoca c’erano donne disponibili per uomini che fossero attraenti come lui, soprattutto fra le sposate. Invece le emergenze potevano essere soddisfatte in case sempre aperte; dato che l’amore a pagamento non era ancora monopolio delle mafie internazionali, i bordellieri si eccitavano già solo al pensiero che parte dei loro soldi sarebbe finita nelle casse dello Stato. Mai il bel carabiniere sentì il bisogno di sbandierare a sua moglie le trascorse avventure galanti; né lei fu colta dalla morbosità di volerle conoscere. Durante le poche notti di luna di miele, Leonardo e la sua Claretta vissero mille e una emozione: quando scesero a valle per andare a prendere il treno che li avrebbe portati in Umbria il volto di lui era più gioviale, lei aveva un più femmineo modo di fare.
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* Brano tratto dal romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne, Loretta Emiri, CPI/RR, Fermo, 2011.
** Loretta Emiri è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas, i volumi di racconti Amazzonia portatile e Amazzone in tempo reale (Premio Speciale della Giuria per la Saggistica del Premio Franz Kafka Italia 2013), il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne. È anche autrice dell’inedito A passo di tartaruga, mentre del libro Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più, anch’esso inedito, è la curatrice.
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Pina
3 Ottobre 2015 @ 18:39
Una bellissima storia d’ Amore ! Emozionata a leggerla !