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Yekuana
di Loretta Emiri
Si autodefiniscono yekuana e appartengono alla famiglia linguistica caribe. In Venezuela sono conosciuti come makiritare, in Brasile come mayongong. La popolazione è stimata in duemila individui. Concentrate nell’alto fiume Auaris e medio Uraricoera, nel versante brasiliano del territorio yekuana abitano circa trecento persone, che dividono l’area con il sottogruppo yanomami dei sanumá.
Il tedesco Theodor Koch-Grünberg arrivò in Roraima nel 1911, e per tre anni ne percorse il territorio fino ad arrivare all’Orinoco. È stato etnologo, linguista e fotografo allo stesso tempo. Il materiale etnografico da lui raccolto continua ad essere un’imprescindibile, inesauribile fonte di dati sulla vita e cultura dei popoli indigeni. Degli yekuana, Koch-Grünberg dice che l’accentuata usanza di viaggiare ne fa dei grandi commercianti. Eccellenti costruttori di canoe, intraprendono viaggi lunghissimi per raggiungere luoghi abitati da altri indigeni o dagli uomini bianchi. Per realizzare quegli scambi interetnici e commerciali che sono alla base dei loro affari, superano catene di montagne e dense foreste.
Arrivai in Roraima nel 1977 e gli yekuana furono tra i primi indigeni di cui sentii parlare. Come ogni anno, tradizionalmente, alcuni di loro erano giunti in Boa Vista per vendere canoe. Ricordo che la notizia mi colpì molto. Pur cercando di immaginare le difficoltà affrontate durante il lungo viaggio, avrei compreso appieno la loro prodezza solo molto tempo dopo, quando io stessa avrei percorso in barca un tratto del fiume Catrimâni.
Per entrare più facilmente in contatto con gli uomini bianchi, attratti dai beni materiali che questi possiedono, gli yanomami avevano cominciato ad avvicinarsi ai grandi fiumi. La canoa tradizionale di corteccia d’albero, rinforzata con paletti di legno e legata con liane, naturalmente era inadatta per affrontare la navigazione in fiumi grandi, impetuosi, o cosparsi di rapide e cascate. Gli yanomami del Catrimâni avevano cominciato a costruire imbarcazioni scavate in tronchi di alberi; certamente più resistenti, non garantivano, però, sicurezza ed equilibrio a chi si arrischiava ad usarle. Vari tipi di canoe, e tentativi vari, si erano trasformati in esilaranti rappresentazioni durante le quali la comunità riunita vedeva le imbarcazioni capovolgersi e i loro ardimentosi costruttori finire in acqua.
Elaborammo un piano di lavoro chiamato “Educazione Globale per il Popolo Yanomami”. Molteplici iniziative ne facevano parte, fra cui l’introduzione di tecnologie intermediarie. Lo scopo era quello di contenere la dipendenza dagli oggetti introdotti dagli uomini bianchi. Fu così che conobbi yekuana in carne e ossa: alla fine di maggio del 1980, Apertino e Ramiro arrivarono nel Catrimâni per orientare gli yanomami nella costruzione di sguizzanti canoe. Con loro giunse anche una giovane donna che avrebbe mostrato come si realizzano grattugie per manioca, belle e funzionali al tempo stesso. Incrostate di ruggine, quelle che le yanomami stavano usando erano ricavate da lattine recuperate tra i rifiuti degli uomini bianchi: le lattine venivano aperte e trasformate in lastre; con un chiodo vi si producevano i fori contro i cui bordi ruvidi erano sfregati i tuberi; per renderle maneggevoli, le lastre erano fissate a tavolette.
Ho fotografato vari momenti della costruzione della canoa: la scelta dell’albero, l’abbattimento, il tronco mentre viene scavato, la spettacolare accensione del fuoco al suo interno per ammorbidire il legno, l’accorta introduzione di paletti per allargare lo scafo, la messa a punto di accessori, il varo trionfale, i volti orgogliosi degli yanomami che più attivamente degli altri avevano partecipato all’esperienza. Un’altra serie di diapositive documenta la fabbricazione della grattugia: su una tavoletta di morbido cedro vengono praticati dei forellini; in essi sono introdotte schegge ottenute frammentando pezzi d’osso; con una penna d’uccello viene spalmato del lattice che, solidificando, fisserà saldamente le punte; l’utensile è abbellito con tinte vegetali rosse e nere e disegni geometrici. Osservando e imitando la giovane yekuana, quasi tutte le donne yanomami produssero la loro grattugia.
Ero ormai consulente dei maestri indigeni di Roraima. Durante una visita ad una scuola macuxi, il direttore acconsentì a cedermi la sua quasi nuova amaca di cotone, ma solo in cambio di grattugie per manioca. Mi spiegò dove, in Boa Vista, avrei potuto trovarle. Non lontano dal centro cittadino, vicino alla sponda del Rio Branco, protetti da un’ancora espressiva vegetazione, vivono moltissimi indigeni provenienti da quasi tutti i gruppi presenti in Roraima. Nella casa indicatami trovai due anziani coniugi yekuana, che mi ricevettero molto cordialmente e con i quali conversai a lungo. Mi dissero che l’abitazione era usata come pied-à-terre da tutti quegli individui della loro etnia che avessero bisogno di trascorrere qualche giorno in città. Quando non riuscivano a farlo personalmente, gli yekuana affidavano all’anziana coppia il compito di commercializzare artigianato e prodotti vari, così che la casa fungeva anche da deposito. Ebbi fortuna: c’erano quattro grattugie in attesa di essere comprate; le punte di osso erano state sostituite da pezzetti di metallo, ma essendo pur sempre molto belle, ne volli tenere una per me.
Ragioni varie, non ultima quella economica, mi costringono a vivere in un feudo che promette di non mai aprirsi alla modernità. Non circolano idee, non piovono dubbi. Nei vicoli angusti ristagna puzza di muffa e ottusità. Alte mura di autosufficienza isolano gli abitanti dal resto dei generosi marchigiani. Per realizzare quegli scambi interpersonali e dialettici che sono alla base della loro umanità, i non-integrati, i diversi, superano catene di pettegolezzi e dense calunnie. Io raggiungo la città anche per vendere manufatti, esperienza, idee e conoscenze. Sto lavorando sodo ed economizzando selvaggiamente per acquisire una dignitosa mini-autonomia e contenere dipendenze. Quanto più velocemente raggiungerei lo scopo se, come gli yekuana, disponessi anch’io di un pied-à-terre.
(Pubblicato in AMAZZONIA – fratelli indios, n. 112, dicembre 2012, è uno dei capitoli del libro inedito Amazzone in tempo reale)