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Rapita dagli yanomami *
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Loretta Emiri **
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Risale al 1944 la prima spedizione scientifica realizzata in Amazzonia dal biologo italiano Ettore Biocca. Durante la missione raccolse frammentarie informazioni sugli yanomami, che non potette visitare perché ritenuti minacciosi dalle guide locali. Seppe anche che poco tempo prima quegli indios avevano rapito una ragazzina, Helena Valero, figlia di un venezuelano e di una brasiliana. Prima che qualcuno si scandalizzi per il rapimento, precisiamo che la famigliola tentò di stabilirsi in area tradizionalmente occupata dagli yanomami. Quasi vent’anni dopo esplose la notizia che Helena era viva ed era tornata tra i bianchi. Il professor Biocca convinse il Consiglio Nazionale delle Ricerche a organizzare una spedizione scientifica in territorio yanomami, sperando di poter contare proprio con la collaborazione della Valero. Iniziata nel novembre del 1962, la spedizione terminò nel luglio del 1963.
Biocca incontrò Helena nella missione salesiana di Uaupés. La donna rispose alle domande del biologo in maniera precisa, circostanziata, coerente, attraverso episodi della propria vita che narrava come se si stessero verificando in quel momento davanti ai suoi occhi. Affiorò così una portentosa documentazione umana ed etnografica della società yanomami: fatta di odio, generosità, tradimenti, accordi, canti, pratiche sciamaniche, la vita nella foresta era vista dal di dentro ed Helena la svelava al mondo.
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Pubblicato nel 1965, Yanoáma – Dal racconto di una donna rapita dagli indi è stato un libro fortunatissimo: subito tradotto in spagnolo, francese, inglese, tedesco, ceco, serbo, polacco, russo, norvegese, giapponese, venne accolto come straordinario caso letterario e scientifico. Peccato che la Valero non figuri come autrice, nonostante non sia altro che il racconto autobiografico della sua vita in mezzo agli yanomami. Mentre era ancora in Brasile, Ambretta ascoltò critiche feroci contro il professor Biocca, che dell’opera avrebbe dovuto definirsi curatore. Alcuni anni dopo il rientro in Italia, potette finalmente leggere il libro; la conoscente che le imprestò l’ormai raro esemplare da lei posseduto le fece anche dono della fotocopia, che Ambretta consulta spesso e ha riempito di sottolineature e note.
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Il capolavoro di Helena è un’incredibile fonte di informazioni su vita e cultura yanomami. Scientifica è, ad esempio, la descrizione della fabbricazione del curaro, talmente minuziosa e precisa che un etnologo di fama internazionale non potrebbe far meglio. Alcuni passaggi rivelano la drammaticità di molte situazioni vissute dalla donna, come quando partorì tutta sola, o quando tentò una fuga. Un divertente battibecco tra lei, bianca, e il marito yanomami mette invece in evidenza lo scontro di culture. Amare, sconsolate, sono le considerazioni che Helena fa dopo essere tornata nel mondo dei cosiddetti civilizzati, dove è disprezzata persino da membri della sua stessa famiglia per essere vissuta tra i cosiddetti selvaggi; come fosse dipeso da lei, povera donna.
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Qualunque sia il luogo in cui vive, Ambretta si sente straniera. Come donna deve difendersi, costantemente, da raggiri e soprusi. Ha il corpo pieno di cicatrici, perché le ferite da preconcetto, marginalizzazione, maschilismo si richiudono, ma lasciano il segno.
Se la sua produzione letteraria avesse un pene invece che una vagina, sarebbe stata fatta uscire dalla cucina in cui la vogliono relegata. Le scelte esistenziali fatte, che rifarebbe tutte, le proporzionano una discreta precarietà economica; ora che è fragile e vecchia si chiede spesso se la sua morte sarà dignitosa.
Prima del rapimento, Helena fu ferita da punta di freccia e stette molto male. Da straniera ha vissuto sia tra gli indios che tra i venezuelani. Come donna ha patito discriminazioni aggiuntive in tutti e due i mondi, ma il secondo marito yanomami l’ha aiutata a tornare tra i bianchi insieme ai due figli. Nel gennaio del 2002 è morta in povertà e solitudine, quando i proventi dell’autobiografia avrebbero potuto assicurarle una fine dignitosa. La ragione dell’empatia di Ambretta nei confronti di Helena va ricercata nella loro condizione di straniere, donne, narratrici imbavagliate. Sempre che può, l’italo-brasiliana divulga la storia, la forza, l’opera della brasiliana-yanomami: per rendere omaggio all’amazzone che è stata; per ristabilire una verità umana, antropologica, letteraria; perché giustizia sia fatta, anche se è solo una giustizia di carta.
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* Il brano “Rapita dagli yanomami” è uno dei capitoli dell’inedito Romanzo indigenista.
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** Loretta Emiri è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas, i libri di racconti Amazzonia portatile, Amazzone in tempo reale (premio speciale della giuria per la Saggistica, del Premio Franz Kafka Italia 2013), A passo di tartaruga – Storie di una latinoamericana per scelta, il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne. È anche autrice dell’inedito Romanzo indigenista, mentre del libro Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più, anch’esso inedito, è la curatrice.
I suoi testi appaiono in blogs e riviste on-line, tra cui Sagarana, La macchina sognante, Fili d’aquilone, El ghibli, I giorni e le notti
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Post del 14 ottobre 2016