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Il testo che vi proponiamo è tratto dall’antologia di ricordi che Italo Poma e Domenico Gallo hanno raccolto in un volume, Storie della Resistenza, pubblicato per i tipi della Sellerio editore. Il libro è un piccolo scrigno, non saprei definirlo in altro modo, in cui sono racchiuse come pietre preziose le voci di molti uomini e donne che nei mesi della guerra civile, settembre ‘43 – aprile ‘45, vissero questa esperienza indimenticabile, estrema, tragica e gloriosa. Ci sarà tempo per parlarne ancora.
Ora pubblichiamo un dizionario scritto a matita da uno sconosciuto autore, che mentre lottava contro i nazifascisti, trovava il tempo di vergare su un piccolo quaderno le parole della Resistenza, per raccontare poeticamente cosa esse rappresentarono per lui e per i suoi compagni.
Se cercheranno di annullare la differenza tra le due fazioni che si sono scontrate nella guerra civile, rammentate questo dizionario, e chi lo ha scritto, e nulla più vi farà dubitare da che parte si schierarono i giusti.
Gian Carlo Zanon
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Angelo Del Boca
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Un uomo ordinato
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Il dizionario del partigiano anonimo
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Appennino ligure – emiliano, marzo 1945
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In marzo iniziò lo sgelo e poco dopo cominciarono ad affiorare i corpi dei morti. Quasi ogni giorno c’era un contadino che scendeva al comando per segnalare un ritrovamento.
Erano i ragazzi morti negli scontri durante il ripiegamento invernale e che non avevamo fatto in tempo a seppellire; oppure quelli che si erano persi nella tormenta e che il freddo aveva ucciso. La montagna continuava a restituirne e fu necessario costituire una squadra che si occupasse di questa opera di pietà.
Gli oggetti che venivano trovati indosso ai morti finivano al comando, dentro buste o sacchetti: alla fine della guerra avremmo provveduto a spedirli alle famiglie.
In genere erano orologi, catenine d’oro con la medaglia del Cristo o della Vergine, anelli, amuleti, pipe, rasoi, coltelli a serramanico, qualche libro, molte fotografie di mamme e di ragazze.
Trovammo anche un diario, testi di canzoni partigiane, lettere mai spedite, testamenti. Erano documenti, questi, che eravamo costretti a leggere per cercare di identificare i morti. Ma lo facevamo con molta reticenza e con pena, perché spesso, fra le cose private della loro vita, affioravano considerazioni sulla nostralotta, e queste erano spesso ingenue, qualche volta sbagliate, a volte straordinariamente acute, e ciò ci obbligava mentalmente a dividere i morti in buoni e in meno buoni, in consapevoli e in opportunisti ed era proprio ciò che non avremmo voluto fare.
Il documento che più ci sorprese fu una sorta di dizionario, una cinquantina di voci scritte a matita su altrettanti piccoli fogli d’agenda. I fogli, per l’umidità, si erano incollati e se non fossero stati scritti a matita non si sarebbe salvato nulla. Pazientemente asciugammo foglio per foglio e alla fine cominciammo a leggere ciò che segue:
Alba – Quando spunta, può essere troppo tardi.
Alexander (Maresciallo) – Avrebbe voluto, all’inizio del secondo inverno, che fossimo spariti come talpe sottoterra. Non se l’abbia a male se gli abbiamo disobbedito: non c’erano buche a sufficienza.
Auto – Uno ci monta sopra e va finché ha fuso. La montagna è un cimitero di macchine.
Badoglio e Bonomi – Due personaggi, scialbi, che stanno al Sud, con gli americani.
Barba – Molti se la lasciano crescere, ma non sempre perché mancano di lamette. Chi la porta, automaticamente viene chiamato “Barba”. E poiché in un distaccamento sono in parecchi ad averla, uno si chiamerà “Barba I”, l’altro “Barba II”, e così via. Ad alcuni sta bene, gli fa una faccia decisa. Ad altri addolcisce gli occhi. Altri ancora, e sono i più ostinati a tenerla, fanno pensare alle capre.
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Cani – Sono un vero guaio, di notte, durante le marce di trasferimento. Il primo a sentirvi dà la sveglia al vicino, e in pochi istanti la valle è tutta un abbaio. I cani dei tedeschi invece non abbaiano. Sono alti, snelli, col pelo corto. Ti inseguono per giornate, come se ti conoscessero, ti odiassero. Cani sono anche chiamati i tedeschi, per quanto si preferisca chiamarli maiali.
Cartucce – Ce ne sono poche e non bisogna sprecarle. In media, un uomo ne porta con sé 40-50, se possiede un fucile, e 120-150, se è dotato di un mitra. Quelli che ne fanno incetta, c’è da giurare che non spareranno mai un colpo.
Casa – Meglio non pensarci. Col tempo, non è poi tanto difficile.
Castagne – Dapprincipio ci sembrava impossibile, poi ci convincemmo: si può vivere soltanto di castagne. Castagne secche per ingannare l’appetito. Castagne bollite per riempire la gola. Castagnaccio per addormentare lo stomaco. Brodo di castagne per riscaldarlo.
Città – Ci stanno “gli altri”. L’hanno fortificata, seminata di cavalli di frisia, tappezzata di proclami e di manifesti insensati. Qualcuno dei nostri c’è entrato, di notte, e gli è parso di essere finito in un labirinto, in una trappola. Eppure buona parte delle persone che l’abitano è con noi.
Comandante – Lo si diventa per meriti, non per titoli di studio. Conosco un mungitore che ha ai suoi ordini un colonnello di Stato Maggiore. Di solito si affermano quando scoprono per la guerriglia un’autentica vocazione. Fanno sempre di testa loro, e raramente sbagliano. Quando sbagliano pagano di persona.
Commissario – È quello che sa tutto, anche se non possiamo sempre giurare che sia il depositario della verità. Quelli che hanno dubbi vanno da lui. E lui che ci ha detto chi sono Matteotti e Gramsci i fratelli Rosselli, e perché sono morti. Perché il fascismo è condannato. Perché noi siamo nel giusto. Perché dobbiamo combatterei.
Comunisti – Sono i più numerosi, e sono inquadrati, nelle Brigate “Garibaldi”. Gelosi delle loro zone, pretendono il rispetto dei confini e non rispondono agli appelli di aiuto, se non ne intravedono un tornaconto.
Quando ci riescono, disarmano altri reparti con il pretesto che questi non sanno battersi. A volte sono nella ragione, a volte nel torto. Politicamente i loro quadri sono i più preparati. Gli uomini si battono bene e non lo nascondono: domani, finita la guerra, continueranno a battersi per sconvolgere la vecchia struttura dello Stato prefascista e per mutare radicalmente la nostra società. Megari con una rivoluzione.
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Divisa – Non ne esiste una di rigore, perciò sono tutte buone. La più corrente tuttavia è quella composta da un giubbotto, calzoni da sciatore e un berretto a visiera, come quello degli alpini tedeschi; forse perché si è rivelata la più pratica. Ma la fantasia e la vanità suggeriscono le divise più stravaganti. C’è un tizio – appare sempre a cavallo – che indossa un lungo mantello di pelle rossa foderato all’interno di pelliccia bianca; sotto ha un abito attillatissimo. Quelli che portano un fazzoletto rosso attorno al capo, alla pirata, sono migliaia. Altri portano cappelli da cow-boy, passamontagna, caschi coloniali, colbacchi, bustine, baschi,fez. Alcuni indossano la divisa della Wehrmacht, elmetto e croci di ferro comprese, e debbono farsi riconoscereper non essere presi a fucilate.
Domani – Si spera sempre che sia migliore. Che non ci siano da fare cinquanta chilometri per spostarsi da una valle all’altra. Che i tedeschi non sguinzaglino i loro cani. Che il freddo non sia troppo rigido. Che non manchi da mangiare. Che gli aerei degli alleati non ci scambino per gli “altri” (come è già avvenuto). Che non ci capiti di pensare a casa. Che sia finalmente l’ultimo giorno di questa storia.
Fossi – Non avremmo mai sospettato, qualche anno fa, che avremmo trascorso parte della nostra giornata nei fossi. Ci si nasconde prima di attaccare i convogli che transitano sulle strade; si balza dall’uno all’altro mentre ci si ritira in pianura; in mancanza di almi ripari, lo si sceglie per passarci la notte. Nelle ore di attesa si fa conoscenza coi topi, le serpi e ogni sorta di vermi; si scoprono fiori e arbusti che non si sapeva che esistessero; ci si avvede che la natura continua a fiorire, nonostante l’odio che ci circonda. Poi, per fortuna, si torna in montagna, dove viviamo nel cielo. Soltanto ora possiamo capire (e compiangere) i nostri padri che hanno fatto tutta loro guerra nelle trincee.
Fucile – Tutti preferiscono il mitra al fucile. Poi, però, finiscono per portare l’uno e l’altro. Un buon fucile colpisce a cinquecento metri, il mitra è inutile a cento. Quelli che abbiamo sono molto vecchi; l’Enfield inglese ha fatto la guerra contro i boeri; il nostro ’91 ha sparato ad Adua e a Tripoli. Il più moderno è il Mauser, ma ne possediamo pochi.
Fuga – La nostra non è una guerra classica, non è una guerra di posizione e neppure di prestigio. Perciò la fuga vi è ammessa, ne è anzi la prima regola. Se si vuole, la nostra è una continua fuga, ma nello stesso tempo è un continuo attacco. La fuga perciò si spoglia del suo significato vile. Spesso la fuga più immediata permette di aggirare l’attaccante e di colpirlo alle spalle mentre crede ancora di tendere un agguato. Perciò non la chiamiamo fuga questa manovre, né ritirata, ma sganciamento o ripiegamento. Il comandante rotto alla guerriglia lo si riconosce nell’attimo in cui deve decidere se accettare il combattimento o ordinare lo sganciamento. In pochi attimi egli deve valutare un’infinità di cose. Queste nuove regole, ovviamente non piacciono ai militari di carriera. Un colonnello suggeriva qualche tempo fa di costruire su alcune colline bunker e camminamenti. Gli hanno riso in faccia.
Grano (campo di) – Non è altrettanto sicuro, per starvi nascosti, del campo di granturco, ma c’è stato un giorno, indimenticabile, in cui ci siamo rivoltati sulla schiena e abbiamo osservato le spighe, i fiordalisi, i papaveri che tremavano alla brezza estiva e ci siamo accorti che continuavamo a vivere. Di rimando, che spettacolo triste il tappeto di cenere che ne resta dopo un incendio!
Graziani (Maresciello) – Un uomo che sta al Nord, coi tedeschi e del quale si racconta che abbia perso i coglioni in Libia. Così impara a molestare gli arabi!
Inglesi – Da un anno aspettiamo che sferrino l’offensiva, ma non si decidono mai. A differenza degli americani, lanciano armi vecchissime e nessun genere di conforto. Gli inglesi che sono stati paracadutati nelle nostre zone sono però uomini di coraggio, anche se molto diversi da noi. Essi ci rimproverano soprattutto la passionalità e il dilettantismo. Coi loro “Commandos”, sostengono, possono compiere le stesse azioni spericolate delle nostre “volanti”, ma essi calcolano il rischio, noi no.
Lanci – Avvengono quasi sempre di notte, nel punto concordato per radio con gli Alleati e che viene delimitato da grandi falò. Dopo ogni lancio, si portano in giro le armi piovute dal cielo come abiti nuovi, mentre con la seta dei paracadute si confezionano camicie e fazzoletti dai colori più vistosi. Il più grande lancio l’abbiamo avuto la notte dell’Epifania, ma era troppo tardi, eravamo in rotta e circondati da tutte le parti. Con le lacrime agli occhi abbiamo scavato fosse per nascondere le armi che ormai non ci servivano più.
Letto – La stessa cosa che per le donne; se ne parla molto: «quando tutto sarà finito mi metto a letto e ci resto per un anno», ma poi non si muore a stare senza. L’importante è trovare il tempo e la calma per buttarsi giù; il posto sufficiente per allungare le gambe; e sopra un tetto che non faccia acqua. Nelle foglie si dorme bene., ma al mattino ci si ritrova sudati e fiacchi; la paglia, dal canto suo, non tiene caldo; è sempre preferibile il fieno. Qualcuno è riuscito ad andare a letto con una donna, questa estate: ma, se ne parla, è per rimpiangere il letto più che la donna.
Matteotti – Uno che è morto mentre noi aprivamo gli occhi sul mondo. Se ne dice un gran bene. Nelle foto che abbiamo visto ha gli occhi dei santi- I più anziani fra noi spesso dicono: «Ai tempi di Marreotti», «l’affare Matteotti». Quante poche cose sappiamo intorno a quel periodo, ma ci resta poco tempo per far domande, per discutere, e poi – ora che abbiamo aperto gli occhi sugli errori e i crimini del fascismo – diffidiamo un poco di tutte le altre dottrine- Adesso eliminiamo il fascismo, diciamo, poi si vedrà.
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Mitra – Abbreviazione di pistola-mitragliatrice. È una delle parole che identificherà la nostra epoca e la nostra guerriglia in particolare. La più grande ambizionedi una recluta è di buttare via il fucile per un mitra. Ce ne sono di vari tipi, ma il più pratico è lo Sten. Il Beretta è forse più preciso, ma è molto delicato. Quanto al Thompson, è troppo pesante, poi è raro. Serve ai comandanti (come il parabellum russo) quale segno di distinzione. Ha il calibro dodici e un fuoco preciso fino a 4-500 metri. Lo Sten, d contrario, è efficace dentro un raggio di 50-80 metri. E fatto per il corpo a corpo, per l’imboscata- A guardarlo è un catenaccio. Ma non si inceppa mai, anche dopo averlo tenuto sottoterra o nell’acqua. Dicono costi in America meno di un dollaro. Avere un mitra fra le mani non ci si sente più soli; è come se, a sparare, si fosse in dieci. E in fondo è così.
Mongoli – Così la gente chiama i russi che combattono a fianco dei tedeschi, anche se poi non sono affatto mongoli, ma sono soldati sovietici originari dell’Ucraina, del Caucaso, dell’Armenia, del Turkestan.
Forse il primo ad indicarli con questo nome non è stato tanto colpito dai tratti del loro viso, quanto dalla crudeltà delle loro azioni. Più che soldati, infatti, sono predatori, ladri, stupratori, proprio come si dice siano stati i mongoli di Gengis Khan. La loro sorte, d’altronde, è già decisa: essi cadranno sotto i nostri colpi o sotto quelli dei tedeschi, se tenteranno di fuggire, oppure sotto quelli dei russi, se vivranno tanto da tornare in patria. La loro violenza senza limiti è fatta anche dalla consapevolezza di avere i giorni contati.
Montagna – Prima l’identificavamo con l’estate e la villeggiatura, l’inverno e i campi di sci. Era quasi un giocattolo, come il mare. Poi, un giorno, è diventata una scelta. Ed ora è la nostra casa, il nostro letto, il nostro precario rifugio; qualche volta la nostra prigione, la nostra tomba. Altre volte, la più dolce e imprevedibile delle evasioni. Molti giurano che quando tutto sarà finito torneranno per viverci: perché qui hanno ammirato spettacoli e vissuto istanti intraducibili in parole.
Morte – Non se ne parla mai, ma è sempre con noi. Ciascuno si è immaginato la propria, lavorandovi intorno fin dal giorno in cui ha scelto questa parte della barricata. E indispensabile possedere una morte, così come è indispensabile possedere un fucile, un paio di buone scarpe e qualche idea chiara in testa. Sarebbe una sorpresa troppo spiacevole trovarsela dinanzi, all’improvviso, senza essere preparati a riceverla. In ogni caso la si preferisce alle torture e la si augura improvvisa.
Molti portano alla cintura una Sipe (bomba a mano N.d.R.) per essere certi di poter sfuggire alla prigionia. Ogni mattina riattaccandola alla cintura, uno pensa al ferro che gli dilanierà il ventre, e si abitua a questa fine. A poco a poco, tutti si abituano alla propria morte.
4 novembre 2013
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susanne portmann
5 Novembre 2013 @ 08:41
grazie per questa pubblicazione!
teresa coltellese
6 Novembre 2013 @ 08:46
Grazie Giancarlo, e´un documento incredibilmente toccante. La voce “comunisti” da´ molto da pensare….
Anna Maria Panzera
9 Febbraio 2014 @ 10:17
Interessantissimo! Da portare nelle scuole!
XXX
9 Febbraio 2014 @ 10:29
Grazie Anna Maria, si questo Dizionario del partigiano è una vera e propria fonte storica che entra nel nucleo della Resistenza. E come dici tu nell’altro commento c’è ancora tantissimo da cercare e da scoprire.
Grazie
Gian Carlo Z.