di Giulia De Baudi
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In Israele continua inesausta l’occupazione del territorio. Parallelamente, come accade in ogni dittatura teocratica che si rispetti, la propaganda governativa occupa in modo accorto e subliminale le menti degli israeliani e dei loro fans.
La sparata indecorosa di Benyamin Netanyahu, che assegna al Gran Muftì la responsabilità dello sterminio degli ebrei, non può e non deve essere presa alla lettera perché nasconde ben altro. Tutti, soprattutto i filo israeliani, si sono detti indignati di quanto il primo ministro israeliano ha affermato. Lo hanno fatto con troppa precipitazione “dimenticando” la vecchia interpretazione “pellerossa” : “Tu uomo bianco parli con lingua biforcuta” che sottintendeva “Parli in un modo e pensi in un altro”.
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Questa fretta mi è parsa “strana” e ho pensato ciò forse nessuno dei nostri editorialisti ha osato pensare, né tantomeno scrivere: è un modo per continuare a perseguire la stessa identica logica nazista, cioè la “soluzione finale”. Questa volta, secondo i piani del governo israeliano, a sparire saranno i palestinesi.
Spostando la responsabilità della Shoah sul Gran Muftì, Netanyahu legittima la Germania hitleriana e la sua “logica razionalista” lucida e disumana. In questo modo egli, di fatto, legittima furbescamente il genocidio palestinese. Lo legittima con la stessa identica logica nazista: i palestinesi per natura odiano gli israeliani perché essi, i palestinesi, sono esseri inferiori non degni, come scriveva Heidegger a proposito degli ebrei, di una patria con cui identificarsi. L’ebreo per il filosofo tedesco è Bodenlosigkeit “l’essere senza terra” ed è “posseduto” dal Weltlosigkeit “l’assenza di mondo”. È l’identico modo in cui Netanyahu vorrebbe che si pensasse ai palestinesi.
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Il Mein Kampf di Hitler si è mimetizzato nei libri di testo scolastici che seguono gli israeliani dalle elementari alle superiori e poi nella vita civile e militare. Lo afferma Nurit-Peled Elhanan, una professoressa israeliana di Educazione del Linguaggio alla Facoltà di Scienze dell’Educazione Linguistica alla Hebrew University di Gerusalemme.
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Lo scrive su Il Manifesto, Chiara Cruciati (21 ottobre 2015 – Come ti confeziono il nemico – Leggi qui) parlando di «Un sistema – scrive la giornalista – che si regge su pilastri indiscutibili e che accompagna ogni israeliano nel percorso di crescita, dalla scuola all’esercito fino al mondo del lavoro: la disumanizzazione del palestinese, la cancellazione e l’omissione della narrativa araba, la creazione di una memoria collettiva in contrasto con la Storia. (…) L’istituto scolastico è il cuoco che sforna un’identità condivisa e comune, non fondata su fatti storici ma sulla loro interpretazione, la loro negazione o la loro omissione.
Così la memoria fabbricata finisce per prevalere sulla Storia e si radica nelle menti delle giovani generazioni, mantenendo in piedi una società che riproduce, sempre uguali a se stessi, i propri schemi mentali. La conseguenza, tuttora visibile in Israele, è la creazione a tavolino di una società “sotto assedio”, convinta di essere preda di un mondo ostile. La “mentalità da accerchiamento”, spiega l’autrice (Nurit Peled-Elhanan ) permette alle autorità di modellare l’individuo, accompagnarlo nel cammino da studente a soldato a lavoratore verso la forma mentis desiderata.»
Goebbels docet.
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In un suo saggio, non pubblicato in lingua israeliana La Palestina nei libri scolastici di Israele – Ideologia e propaganda nell’istruzione, Nurit Peled-Elhanan analizza 17 manuali (10 di storia, 6 di geografia e uno di studi civici) utilizzati negli istituti pubblici israeliani dal 1997 al 2009, «evidenziando la fabbricazione della memoria collettiva ad uso e consumo dell’odio per gli arabi.»
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In quei testi non esistono territori palestinesi e l’arabo, come accadeva nella propaganda nazifascista, viene disumanizzato, reso non umano da questo sistema propagandistico in cui viene «descritto come un selvaggio a cavallo di asini o cammelli, non educato, “geneticamente terrorista, rifugiato o primitivo”, caricatura negativa di se stesso. (…) “In nessuno dei libri di testo viene trattato, verbalmente o visivamente, alcun aspetto culturale o sociale positivo del mondo palestinese – scrive Peled-Elhanan – Né la letteratura, né la poesia, né la storia o l’agricoltura, né l’arte o l’architettura”».
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Ripeto : Goebbels docet.
25 ottobre 2015
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