Gregor Samsa, destandosi un mattino da sogni agitati, si trovò trasformato nel suo letto in un enorme insetto immondo. Riposava sulla schiena, dura come una corazza, e sollevando un poco il capo scorse il suo ventre arcuato, bruno e diviso in tanti segmenti ricurvi, in cima a cui la coperta del letto, ormai prossima a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica. Le gambe, numerose e sottili da far pietà rispetto alla sua normale corporatura, tremolavano senza tregua in un confuso luccichio dinnanzi ai suoi occhi.
Che cosa mi è capitato? pensò. Non era un sogno. La sua camera, una stanzetta di giuste proporzioni, soltanto po’ piccola, se ne stava tranquilla, fra le quattro ben note pareti. Sulla tavola un campionario disfatto di tessuti – Samsa era commesso viaggiatore – e sopra, appeso alla parete, un ritratto, ritagliato da lui – non era molto – da una rivista illustrata e messo dentro una bella cornice dorata: raffigurava una donna seduta, ma ben dritta sul busto, con un cappello e un boa di pelliccia; essa levava incontro a chi guardava un pesante manicotto, in cui scompariva tutto l’avambraccio.
Lo sguardo di Gregor si rivolse allora verso la finestra, e il cielo fosco (si sentivano le gocce di pioggia battere sullo zinco della finestra) lo immalinconì completamente. Che accadrebbe se io dormissi ancora un poco e dimenticassi ogni pazzia? Pensò; ma ciò era assolutamente impossibile, perché Gregor era abituato a dormire sulla destra, ma non poteva, nelle attuali condizioni, mettersi in quella posizione. Per quanto si gettasse con tutta la sua forza da quella parte, tornava sempre oscillando sul dorso: provò per cento volte, chiuse gli occhi per non vedere le sue zampinette dimenanti, e rinunciò solo quando cominciò a sentire al fianco un dolore sottile e sordo, ancora non mai provato.
O dio, pensava, che professione faticosa ho scelto! Ogni giorno su e giù in treno. L’affanno per gli affari è molto più intenso che in un vero e proprio ufficio, e v’è per giunta quella piaga del viaggiare, la preoccupazione per le coincidenze dei treni, la nutrizione irregolare e cattiva; le relazioni con gli uomini poi cambiano ad ogni momento, e non possono mai diventare durature né cordiali. Al diavolo ogni cosa! (…)
nunzio scotto di covella
16 Aprile 2015 @ 16:42
FranK Zafka (la metamorfosi continua: spero, ex bruco). Così difficile “guarire” dalla castrazione!? “Castrazione”!? Che parolone!? La castrazione immagino sia l’assenza di ogni fantasia e di ogni immaginazione umana che, nonostante, il potere dominante -sociale, culturale, politico e storico- vede e distingue ogni inganno e danno pertetrato da quest’ultimo. Il potere dominante, che ha accecato tante generazioni, sembra invicibile se alla castrazione si risponde con un aumento dell’indifferenza (anaffettività) e viceversa. Già. FranK Zafka (nome di fantasia, inventato all’uopo).