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Buongiorno. Dunque … questa mattina aprendo Face Book mi sono trovato di fronte ad un paio di post di esponenti del Pd. I due un uomo e una donna, contorcevano l’anima nel dilemma che attanaglia sia i cittadini di sinistra sia alcuni, pochi, pochissimi, politici che fanno parte integrante di quel partito. Di fronte all’ennesima ritrattazione del mandato della base e dei votanti del partito, i due piduini affermano di sentirsi fortemente in difficoltà identitaria. Scrivono, anche, che capiscono le richieste del popolo della sinistra che chiede loro di uscire da un partito che ormai, così com’è, è di destra ma … che non vogliono uscire dal partito. I motivi che adducono alla loro scelta sono simili: nel Pd, dicono, esiste una parte di veri dissenzienti di sinistra che al congresso ( loro credono, o ci fanno credere, che si farà un vero congresso) riusciranno a cambiare definitivamente il partito. È una grossa cazzata lo so. Ma quando mai … .
Eppure i due “eretici” lo scrivono, e forse, visto che esiste una sindrome psichiatrica chiamata pseudologia fantastica, che fa credere a chi mente di dire la verità più vera, essi lo pensano veramente senza rendersi conto che quel pensiero è difettoso in quanto non ha alcun rapporto con la realtà.
Visto che adoro i proverbi e i luoghi comuni scrivo “la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni”. E aggiungo che anche la stretta e tortuosa via che porta al potere, a volte, lo è. Dato che sono un inguaribile romantico, penso con tristezza a quegli individui incontaminati, che per varie vicissitudini raggiungono uno status che li avvicina al potere: quasi sempre essi vengono lentamente risucchiati nel gorgo della bramosia e del dominio perdendo così la loro primaria innocenza. Ricordo sempre una mia amica che una volta disse “di sinistra si nasce, di destra ci si diventa”. Come dire che si nasce difendendo l’idea di umano che ha in sé l’immagine dell’uguaglianza, e poi, se nei marosi del rapporto interumano si perde questa matrice primaria e ci si ammala a tal punto da non riconoscere più nell’altro un proprio eguale, si diventa di destra con tutte le conseguenze di disumanità che questa parola comporta.
E, una volta scese le scale del non essere, le proprie primarie proposizioni di ricerca di una società umanamente compatibile, incardinate nell’idea di eguaglianza, si perdono miseramente: «Così ci fa vigliacchi la coscienza; così l’incarnato naturale della determinazione si scolora al cospetto del pallido pensiero. E così imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso: e dell’azione perdono anche il nome…».
Non volevo disturbare il Bardo e il suo personaggio più famoso, ma solo i poeti riescono a sintetizzare la filosofia dell’essere. Anche le favole e i miti trasmettono attraverso i propri pensieri nascosti la sapienza … infatti mi stavo facendo tutti ‘sti bei ragionamenti, quando mi è venuta alla mente una favola dimenticata … ve la racconto … come me la ricordo.
Nel periodo in cui i cavalieri erranti vagavano per valli e monti alla ricerca di una dama alla quale donare … diciamo il proprio possente braccio, un giovane paladino degli ultimi, chiamiamolo Guiscardo da Civasbourg percorreva sul suo ormai stanco destriero, Egualiance, una stretta e ombrosa valle. Il cavaliere, “senza scudiero e senza scorta” , giunse in un povero villaggio di contadini. Scese alla locanda sperando di trovare del cibo – i paladini sono sempre affamati – ma si rese conto che la povertà era così nera, ma così nera, che in tutta la valle non era rimasta neppure una lenticchia. Una vecchietta gli disse che quella miseria era causata dalla mancanza di giovani braccia che potessero coltivare la terra divenuta ormai sterile per il lungo abbandono. La causa di questa desolazione era dovuta a un terribile drago verde che si era impadronito del castello del re e pretendeva ogni settimana un sacrificio umano. La popolazione che conosceva solo quella valle, da cui non si era mai allontanata, rimaneva lì incatenata dall’ignoranza e dal terrore dello sconosciuto mondo esterno.
Quello stesso giorno il Sole, che rischiarava ancora le punte delle montagne cingenti la valle, vide il cavaliere Guiscardo da Civasbourg montato su Egualiance e armato di lancia e spada, di fronte al ponte levatoio del castello, che chiamava a gran voce il drago. Un orribile drago coperto da viscide squame verdi uscì con tutto il suo corredo mortale: enormi artigli, fauci spaventose dalle quali uscivano fiamme, un alito mortale dovuto alla cattiva digestione dei contadini, ecc. ecc..
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Insomma, non la faccia tanto lunga: in pochi minuti il prode cavaliere ferì mortalmente il drago, si tolse l’elmo che proteggeva i suoi pensieri, oltrepassò il ponte levatoio ed entrò nel cortile del castello. Seguirono feste e balli, baci e abbracci, e tutto ciò che segue una liberazione. I contadini, quelli che ancora vivevano, felici di essersi liberati del giogo mortale giunsero al castello guidati dal Vescovo che in quel terribile periodo, essendo l’unico cha sapeva scrivere, era stato costretto a compilare le liste dei poveretti che ogni settimana venivano inghiottiti dal drago. Si dice, ma io non ci credo, che fosse lui quello che teneva la popolazione della valle nel terrore per lo sconosciuto, riempendolo di demoni e sofferenze ancor maggiori di ciò che i contadini dovevano sopportare ogni giorno.
Guiscardo da Civasbourg fu nominato capo della guardia del re e naturalmente futuro sposo della principessa. Gli furono donate nuove armi lucenti, una nuova armatura, e un nero stallone fremente. Il suo baio dal manto fulvo, Egualiance, gli dissero, era stanco, ed avendo più o meno l’età del cavaliere era meglio che riposasse nelle accoglienti stalle del castello. Arrogance, così si chiamava se non ricordo male il focoso morello, bardato di tutto punto e con tutti i moderni optional e comfort, d’ora in poi sarebbe stato il suo nero e lucente destriero. Egualiance entrando nella stalla in cui avrebbe finito i suoi giorni, guardò il cavaliere cercando un suo sguardo … ma egli non lo vide, né lo sentì. Ammagliato da Arrogance, lo aveva già dimenticato.
Passarono i giorni, venne il giorno delle nozze, il Vescovo unì sacralmente i destini terreni di Guiscardo da Civasbourg e della principessa, ci fu la festa, il vino, il ballo, la musica, festoni e cotillon.
Quella notte il cavaliere sognò di entrare nella stalla del castello perché voleva montare il suo fidato baio, ma Egualiance non c’era, era scomparso. Lui lo cercava angosciato chiamandolo per nome ma del cavallo, che gli era stato da sempre accanto, non c’era né traccia né odore.
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Guiscardo si svegliò immerso in un bagno di sudore. Era solo nell’immensa stanza nuziale. Si sentiva strano, “sarà il vino” , pensò. Poi d’un tratto una strana escrescenza scura che spuntava sul braccio sinistro attirò il suo sguardo … dalla pelle spuntavano delle squame verdi e vischiose che lentamente si ingrandivano e si propagavano su tutto il corpo …
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11 luglio 2013
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