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25 Ottobre 2024 05:50
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di Giulia De Baudi
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Il il 21 novembre 1811 Heinrich von Kleist si diede la morte a Berlino, sulle rive del Wannsee, insieme alla sua amica Henriette Vogel, malata di tumore. Kleist, con l’assenso di lei, la uccise con un colpo di pistola al cuore, per poi spararsi un colpo alla testa.
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Vita travagliata quella di Kleist che, seguendo la sua poetica della rivolta, creò una serie di personaggi ribelli alla norme e alle leggi della ragione. I suoi personaggi, Pentesilea, Il principe di Homburg e naturalmente Michael Kohlhaas, vivono ingabbiati in un ‘destino’ che è la loro essenza umana alla quale non possono venir meno.
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La ‘progenitrice’ di Michael Kohlhaas, è Antigone. La lambacide, come Kohlhaas, non accetta un’ingiustizia che lede ciò che ha di più caro al mondo: la propria immagine interna. Lei è donna e rappresenta da sé la ribellione che da sempre si incarna in un’immagine femminile; Kohlhaas, essendo uomo, la propria immagine femminile l’ha alienata in Lisbeth, la moglie amata che viene uccisa nel tentativo di salvarlo dalla furia che sta prendendo forma dentro di lui.
Morta Lisbeth, la propria realtà umana affoga nella rabbia, e il cavallaio Kohlhaas non avrà più la possibilità di una rivolta non violenta.
Molti hanno definito il personaggio del romanzo un «ossimoro incarnato» perché come scrisse Kleist:«… il senso della giustizia lo trasformò in brigante e in assassino».
Il romanzo, tratto dalle cronache del cinquecento, e completamente ricreato dalla fantasia dell’autore tedesco, narra il dramma di un borghese che si ribella alla nobiltà arrogante: Michael Kohlhaas «un giorno si recava oltre il confine con un branco di giovani cavalli, tutti lustri e ben nutriti” quando giunto nelle vicinanze del castello di uno Junker violento ed arrogante questi, con un trucco, gli sottrae due bellissimi morelli. Kohlhaas tenta in tutti i modo di farsi restituire i due cavalli legalmente e quando alla fine vi riesce trova i due cavalli malconci e malnutriti, quasi morenti. Egli chiede, testardamente, sempre per vie legali, che gli vengano restituiti sani e belli come al momento della confisca.
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Dopo aver saputo che il suo atteggiamento era ritenuto dalle autorità non congruo al suo stato sociale egli comincia a pensare alla vendetta. La moglie accortasi della sciagura che si sta abbattendo sula sua famiglia va direttamente dal principe elettore ad intercedere per il marito ma muore incidentalmente travolta da una carrozza appartenente al corteo principesco. Quello è il punto di non ritorno per il cavallaio il quale, armando un gruppo di amici, inizia un’ossessiva ricerca dello Junker per vendicarsi. Ma nel giro di poche settimane, con un grosso esercito di borghesi e contadini che si sono man mano accodati alla sua ribellione, egli mette a ferro e a fuoco intere città colpevoli di non voler consegnare alla sua giustizia lo Junker. Infine tradito da Martin Lutero, che lo convince ad arrendersi, egli, dopo aver avuto finalmente giustizia dal principe di Sassonia, verrà giustiziato per i suoi atti di brigantaggio.
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Sullo sfondo del romanzo ci sono i fatti storici che narrano di come Lutero, alleandosi con i nobili e i prelati dei principati tedeschi, diede la propria benedizione al massacro di duecentomila contadini insorti contro l’aristocrazia. «Essi hanno provocato ribellione, hanno rapinato e saccheggiato con grande scelleratezza conventi e castelli che non appartenevano loro, meritandosi così senza alcun dubbio la morte del corpo e dell’anima … »
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È molto probabile che Kleist conoscesse bene il pensiero reazionario di Lutero perché, nel romanzo, quando l’ex frate agostiniano incontra il cavallaio, il suo risentimento contro la dignità umana del ribelle è palese: «A irritarlo era l’atteggiamento di sfida che quell’uomo singolare assumeva contro lo stato».
Martin Lutero che si era ribellato alla chiesa di Roma, creando di fatto il protestantesimo, di fronte a Kohlhaas, è insofferente perché egli è più ribelle di lui in quanto vuole trattare da pari a pari sia con lui, che, nel suo delirio, crede di essere il rappresentante di una giustizia divina, sia con il principe di Sassonia. Lutero non accetta la sostanza di quel no estremo urlato da Michael Kohlhaas di fronte all’ennesimo sopruso. Ma quale è la sostanza di quel ‘no’?
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Scriveva Camus ne ‘L’homme révolté’ :«Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. (…) Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando. Qual è il contenuto di questo “no”?(…) Quella parte di sé che voleva far rispettare, la mette allora al di sopra del resto, e la proclama preferibile a tutto, anche alla vita».
Lutero, essendo servo del dio che egli ha costruito nella sua mente, non può accettare il contenuto di questo ‘no’ che è l’essenza primaria dell’ateismo.
A cura di Hermann Dorowin – traduzione di Paola Capriolo – con testo a fronte – Marsilio Editore
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ipazia e ..........bakunin
24 Luglio 2014 @ 22:08
Speranza per un bambino
Che egli sia diverso da noi.
Che non abbia genitori né figli né famiglia
né maestri né discepoli né casa né rifugio.
Che non incontri Conquistatori né Condottieri
E neppure Santi.
Che non conosca Legge né Ordine né Patria né Religione.
Che non abbia ricchezza né povertà né successo
e che non provi mai l’amarezza della vittoria
né il rancore della sconfitta
e nemmeno l’illusione della pace.
Che tutti gli uomini siano per lui padre e madre e figlio
Che la mente sia il suo maestro
ed egli stesso il suo discepolo.
Che il cielo e la terra siano per lui casa e patria e chiesa.
Che il suo ordine sia la fermezza
e la benevolenza la sua legge.
Che l’immaginazione e il coraggio siano la sua ricchezza
e il suo potere.
Che non lasci cadere mai la sua spada
e che la lotta sia per lui vittoria e sconfitta.
Che la gioia dell’attimo presente
sia per lui vita e morte.
Che egli non sia come noi
e che possa credere,
almeno lui,
in un mondo nuovo.
Marcello Bernardi