Da sinistra: Heidegger, Axelos, Lacan, Jean Beaufret,
Elfriede Heidegger, Sylvia Bataille (moglie di Lacan)
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Gian Carlo Zanon
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–C’è un verbo spagnolo, “encajar”, che si può tradurre letteralmente con “incassare” oppure, seguendo il contesto semantico, con i verbi “combaciare”, “incastonare”. Ho pensato a questo verbo questa mattina quando mi sono seduto alla scrivania per cercare di scrivere un articolo sui numerosi commenti, che seguono numerose letture (7475 nell’ultima settimana), postati per l’articolo Il lato oscuro di Madre Teresa di Calcutta, la “santassassina” .
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Ho pensato a questo verbo seguendo il pensiero che chiedeva il motivo per cui io, al contrario di molti individui che accettano supinamente il pensiero imperante, spesso lo rifiuto istintivamente: “sento” che il suono/senso di una poesia arbitrariamente attribuita a Camus non si incastona con il suo stile, e vado a controllare nelle fonti ufficiali se il mio “sesto senso” funziona oppure no; leggo un articolo che esalta Basaglia attribuendogli il merito della legge 180 sulla psichiatria, e il mio pensiero critico dice no perché la notizia non combacia con la mia conoscenza. E così via.
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Naturalmente spessissimo i miei rifiuti divengono pubblici e, o vengono articolati verbalmente in un articolo, oppure lottano sui social network per ristabilire equilibri di verità che si stanno depauperando.
Mi capita abbastanza spesso, come al povero che qualcuno mi dica: “ ma chi sei tu per giudicare questo o quel personaggio pubblico” , oppure, per sottolineare la mia tracotanza culturale mi postano tragiche citazioni shakespeariane : «La vanità, insaziato cormorano, consumato tutto il resto, addenta le sue viscere.»
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“È il prezzo che si paga per essere se stessi” sussurro silenziosamente: fa parte del mio più profondo “DNA psichico”. Certamente a volte mi chiedo dove nasca il mio pensiero critico. Mi rispondo che, per qualche strana alchimia dei sentimenti, la mia realtà umana ha salvaguardato dagli oltraggi del rapporto interumano – ci sono anche quelli – qualcosa di prezioso che mi impedisce di adeguare supinamente il mio pensiero al mainstream culturale che intralcia il mio cammino verso la conoscenza della verità più vera. Si tratta di «Essere o non essere» direbbe Amleto «Essere, o non essere, questo è il dilemma:/ se sia più nobile nella mente soffrire/ i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna/ o prendere le armi contro un mare di affanni/ e, contrastandoli, porre loro fine?». Si tratta, con continue e a volte dolorose separazioni, di gettare gli abiti ingrigiti dalle scorie culturali, per sfuggire al destino di “destarsi un mattino da sogni agitati trasformato in un enorme insetto immondo”.
Descritte le intenzionalità che nutrono il pensiero critico, mio e di innumerevoli esseri umani, vado a cercare i moventi che cristallizzano i pensieri di molti individui trasformandoli in credenza dogmatica immodificabile.
Prendiamo ad esempio il caso di lesa maestà di Franco Basaglia di cui viengo accusato da alcuni lettori che hanno postato commenti al fulmicotone.
Nell’ articolo su Anjeza Gonxhe Bojaxhiu, conosciuta comunemente col lo pseudonimo di Madre Teresa di Calcutta, l’autore scriveva «anche lì, (si riferiva ai lazzaretti indiani gestiti dalla Bojaxhiu) come in molti centri psichiatrici italiani dove vige l’ideologia basagliana, i malati non venivano curati ma ci si ‘prendeva cura di loro’ nel senso che venivano considerati, tutti, come malati terminali.»
Questa frase definita “raffazzonata” dalla lettrice “Patrizia” , ha scandalizzato anche “Paolo” il quale, con una certa veemenza ha suggerito al giornalista : «Studiatelo meglio Basaglia, prima di lui un malato psichico veniva ammassato in una pseudo galera e non usciva più. – ed ha concluso – Sei andato completamente fuori strada.»
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A questo punto penso sia doveroso mettere un po’ di ordine e di verità sulla legge 180 e sull’ideologia nazista heideggeriana che sostanzia il pensiero di Franco Basaglia e dei suoi epigoni.
La legge numero 180 del 13 maggio 1978 “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” viene comunemente chiamata dalla vulgata culturale Legge Basaglia. Questo perché la leggenda mediatica afferma che fu Basaglia il promotore di quella legge. In verità l’estensore materiale della legge fu lo psichiatra Bruno Ossicini. (leggi qui)
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In un articolo pubblicato da Altritaliani, Nati sotto Saturno: Tutti folli ? Elogio della normalità, la psichiatra Ester Stocco fa luce sulla legge 180, su Basaglia e sulla antipsichiatria di cui egli fu un sostenitore accanito.
«Attribuire quindi a Franco Basaglia la paternità della legge – scrive la psichiatra – è storicamente sbagliato, è un errore storico reso possibile dal fatto che tutta l’informazione di ogni matrice politica, enfatizza fin da subito il solo aspetto anti istituzionale della legge: la chiusura degli ospedali psichiatrici. In realtà il divieto del ricovero in manicomio, repentinamente sancito dalla legge, ha fondamentali motivi economici; gli ospedali psichiatrici ormai troppo costosi per rientrare nel nuovo piano di riforma del servizio sanitario nazionale vengono chiusi non ipotizzandosi alcuna possibilità di una loro riforma. Il 13 maggio 1978 fu promulgata la legge di riforma psichiatrica con la quasi totalità dei voti dell’arco parlamentare e solo il MSI (Movimento Sociale Italiano) si astenne. É stata una legge voluta da tutte le forze politiche e sindacali ma anche da tutti i rappresentanti della psichiatria italiana che da anni chiedevano una riforma degli ospedali psichiatrici (molti dei quali erano divenuti dei veri e propri lager). Il Movimento di Psichiatria Democratica (di cui faceva parte Basaglia N.d. R.) era contrario alla legge.
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Diventa così necessaria una delicata e attenta mediazione condotta dal relatore di maggioranza l’on. Orsini con Franco Basaglia che rappresentava il Movimento di Psichiatria Democratica, contrario all’istituzione dei reparti di Diagnosi e Cura e al Trattamento Sanitario Obbligatorio. Stranamente, però, la legge 180, dopo la sua entrata in vigore, viene rivendicata proprio da Psichiatria Democratica e da Franco Basaglia che ne esaltano l’aspetto anti istituzionale.»
In realtà continua E. Stocco «Negli ospedali psichiatrici di Padova, Varese, Ferrara, Milano, Nocera, Perugia, Gorizia e tanti altri già da anni si lavora intensamente dimostrando la possibilità di una diversa gestione e cura della malattia mentale ed i positivi effetti del reinserimento dei malati nella società. (…) Per Basaglia il malato di mente, alla stregua dell’operaio, è vittima di uno stesso sistema autoritario e violento, rappresentato dalla psichiatria e dagli ospedali psichiatrici per il primo, dal capitalismo e dalle condizioni di vita nella fabbrica per il secondo. Bastava dunque eliminare dalla società tutti quegli ostacoli politici, economici, sociali che conducono all’esclusione, all’oppressione, per eliminare la malattia mentale. In un talk show televisivo del 1978, Basaglia afferma con decisione che tutta la psichiatria che gli avevano insegnato all’Università “non era vera”. Alla negazione della psichiatria clinica ne segue in conseguenza il prevalere della sociologia e dell’impegno sociopolitico centrati sul concetto di libertà e di liberalizzazione dell’individuo.
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Ma la libertà fine a se stessa, anche in questo caso come per il movimento del sessantotto, è risultata fallimentare. All’immagine del paziente che cammina senza posa nei corridoi dell’ospedale psichiatrico si sostituisce quella del suo girare in tondo tra i vari servizi dell’attuale dipartimento di salute mentale. Non è cambiata però la sua condizione di malattia e isolamento.
Basaglia, quindi, non ha liberato i folli così come non ha fatto nessuna originale ricerca sulla follia. Incapace di critica nei confronti della filosofia della ragione, egli distrugge solo la psichiatria e in nome di una libertà generica e vuota demolisce non le mura del manicomio ma quel poco di intenzione di cura che allora si stava formando. Solo apparentemente più tollerante dei filosofi a cui si ispira, Foucoult, Sartre, Heidegger, propone il suo concetto di follia che disgrega l’identità psichiatrica per enunciare una definizione di malattia mentale come “contraddizione sociale”. Questa definizione però ha in sé l’impossibilità di ogni conoscenza e cura.»
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In un articolo del 10 marzo 2011 Tommy Capellini recensiva un libro di Adriano Segatori, Oltre l’utopia basagliana in cui parlava di Franco Basaglia definendolo un «totem intoccabile».
«L’operato e l’eredità di Basaglia, infatti, – scriveva Capellini – sono protetti da una spessa coltre di filosofia francese postmoderna (da Michel Foucault a Gilles Deleuze) che, guarda caso, è il “brodo di coltura” preferito dalla globalizzazione intellettuale. Criticarli equivale ad attirarsi seduta stante l’accusa di conservatorismo destrorso e di vetero-umanesimo. (…) Il passo successivo, – prosegue Capellini – persino prevedibile, di questa anti-psichiatria all’italiana, di cui Basaglia era il punto di riferimento indiscusso, fu la chiusura dei manicomi, seguita nei decenni dalla difesa di un “sistema dottrinario intramontabile da parte di una casta liturgica chiusa e potente dedita alla diffusione del verbo originario”. Naturalmente, continua Segatori, “i tempi sono cambiati, quindi anche le procedure d’intervento e d’insinuazione”. Ma la sostanza no. La psichiatria basagliana evita oggi i canti rivoluzionari, l’occupazione di studi medici e le intimidazioni ai nemici intellettuali, preferendo “la gestione fanatica e nepotistica del potere attraverso la blindatura delle carriere professionali, l’istituzione faziosa di corsi di formazione e la pianificazione sempre più dogmatica delle informazioni”».
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Alle foci del pensiero antipsichiatrico basagliano che nega la malattia mentale, e di conseguenza la possibilità di cura, c’è Binswanger e dietro lo psichiatra svizzero c’è il nazista Heidegger: cito da Left del 26 luglio 2009 «L’antipsichiatria … abbandona al loro destino i malati di mente che, giovani, potrebbero essere curati. Stupidità e violenza che mi ricorda il vecchio Binswanger che invitava il marito di Ellen West a dare il veleno alla moglie … perché realizzasse il suo destino». Massimo Fagioli.
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Cito da Left 9 ottobre 2009 «Fu Heidegger ad usare e proporre la parola autenticità. Ricompare nella cultura degli anni 60, insieme alla idealizzazione del filosofo che, in verità, era il teorico del nazionalsocialismo. Ludwig Binswanger seguì il suo pensiero e propose una psichiatria, la Daseinanalyse, che parlava di descrizione dell’essere e, nonostante che le idee della psicoanalisi sull’uomo fossero diverse, in verità le univa l’idea della inesistenza di una cura e, a ben guardare, l’inesistenza della malattia mentale». Massimo Fagioli.
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Questa è la verità sulla cosiddetta legge Basaglia, sulla sua ideologia antipsichiatrica che affonda nel pensiero nazista di Heidegger, sui suoi epigoni che “si prendono cura” delle persone che, secondo loro, liberati da schemi sociali oppressivi vivono la propria “autenticità dell’essere”.
Ora però mi chiedo il perché di queste, per me incomprensibili, fascinazioni per Heidegger, Sartre, Teresa di Calcutta, Basaglia, Togliatti, Bergoglio, Padre Pio ecc. ecc. che impediscono a molti individui di vedere queste icone culturali nella loro vera realtà umana e di inserirli nella loro reale cifra etica.
Forse mi può aiutare un famoso antropologo, Ernesto De Martino con due concetti espressi nei suoi scritti: “crisi della presenza” e “fascinazione”.
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La fascinazione
«Il tema fondamentale della bassa magia cerimoniale lucana è la fascinazione (…) Con questo termine si indica una condizione psichica di impedimento e di inibizione, e al tempo stesso un
senso di dominazione, un essere agito da una forza altrettanto potente quanto occulta, che lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta» E. De Martino, Sud e magia.
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La Crisi della presenza
La “crisi della presenza” è avvertita dal soggetto come uno spaesamento, come una derealizzazione come un’angoscia. «Questa angoscia – scrive De Martino in Il mondo magico – esprime la volontà di esserci come presenza davanti al rischio di non esserci». Lo smarrimento, e la relativa angoscia, insorgono «in occasione di emozioni inattese». In quei frangenti il soggetto «perde per periodi più o meno lunghi, e in grado variabile, l’unità della propria persona e l’autonomia dell’io, e quindi il controllo dei suoi atti».
In questi momenti gli individui temono di perdere i propri riferimenti domestici, i propri “indicatori di senso” . Al contrario la “presenza” in senso antropologico, nella definizione di de Martino è intesa come la capacità di conservare le esperienze necessarie per rispondere in modo adeguato ad una determinata situazione culturale in divenire.
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L’individuo che subisce una fascinazione, o in altri termini aliena il suo essere in un immagine esterna a sé in cui “proietta” affetti, sentimenti, idee, ecc. costruisce un’identità legata (fascinata) a quell’immagine esterna. Quando questa immagine esterna, sulla quale il soggetto ha alienato una parte considerevole di sé, viene messa in pericolo da una verità che la destruttura, o c’è “la crisi della presenza” che si può risolvere con l’elaborazione e la separazione da quell’immagine non più in grado di rappresentare il nuovo essere nato dalla crisi, oppure c’è l’annullamento dell’evento che ha scatenato la crisi: “non è vero ciò che sto leggendo di Basaglia e di Madre Teresa di Calcutta”. D’altronde i cosiddetti attacchi di panico avvengono dopo un periodo più o meno lungo in cui il soggetto porta avanti la propria esistenza negando la realtà che lo circonda. L’angoscia è sempre un allarme dell’io che si può o inibire generando altra angoscia fino a giungere alla morte psichica , oppure la si può affrontare cercando i moventi che l’hanno generata.
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Nel movimento della realtà umana non esistono scappatoie, ciò che non diviene muore. Certo si può morire a vent’anni e vivere fino a cento … c’è chi si accontenta…
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4 febbraio 2015
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Patrizia
7 Febbraio 2015 @ 15:12
Io la ringrazio per questo approfondimento interessante. E’ molto difficile districarsi in questioni tanto complesse: lei ha esposto una serie di osservazioni critiche (critiche nel senso proprio etimologico del termine, non nel senso più corrente che si fa tutti i giorni dell’aggettivo critico, che finisce con il significare in realtà “polemico”). Io qui trovo esposto il pensiero di altri SU Basaglia. Stocco su Basaglia, poi Tommy Cappellini che si esprime su Senatori che si esprime a sua volta su Basaglia, poi cita Fagioli che si esprime su Binswanger ma dietro Binswanger c’è Heidegger.
E il nazista Heidegger è la linfa che amava suggere Basaglia e che ha impregnato la sua visione e la sua azione, mi si dice.
A parte il fatto che su Basaglia letto di prima mano, citato per quello che ha scritto lui di suo pugno, io non ho visto una citazione che é una, e quindi, porti pazienza, ma io non mi ritrovo (limite mio, sicuramente). Se voglio farmi un’idea di un autore parto dall’autore prima e più che da quello che dicono tutti gli altri di lui. Che comunque non fa mai male sapere. Ma andiamo oltre. Facciamo così: lei mi ha convinto. Al 99% mi ha convinto. Questa è la Verità. Per fortuna qualcuno scava e scava e porta alla luce le radici. E tu ti accorgi che queste radici brulicano di larve, di vermi. Perché un nazista è un nazista, no? E qui mi fermo, a costo di suonare tautologica.
Però a me rimane una domanda, quell’ 1% di dubbio su cui ancora la ricerca della Verità non mi ha illuminato. E riguarda un po’ quella che viene chiamata, nell’articolo che ho appena letto, “reale cifra etica” di una persona. E cioé: io non mi spiego perché Basaglia, che leggeva di gusto le opere dei filosofi nazisti, quando è arrivata la polizia fascista ad arrestarlo, nel ’44, non si sia messo a sventolar loro sotto il naso la sua copia di “Essere e Tempo” e anziché dire: “Oh? Ragazzi? Visto che letture? Sono un Amico degli Amici!” abbia invece piuttosto preferito farsi qualche settimana di carcere che francamente, visto come stavano le cose, adesso che so la Verità, secondo me poteva a buon diritto scampare. Per me questo è un mistero.
Redazione
8 Febbraio 2015 @ 12:28
Patrizia, la ringrazio per questa sua “cocciutaggine”, che è anche la mia. Lo dico sempre “amo gli scorbutici, i solitari, i “ cocciuti”, NON amo gli ottusi, né coloro che aderiscono supinamente a qualsiasi osservazione sulla realtà, da qualsiasi parte venga”.
Certamente non so risponderle sull’arresto di Basaglia, non ne conosco le cause dell’incarcerazione né quelle della scarcerazione. So però che i partigiani venivano assassinati. Lui si salvò. Perché si salvò? Probabilmente non lo sapremo mai. Anche Sartre, fu fatto prigioniero di guerra e finì internato in un campo di concentramento. Poi fu liberato, tornò a casa e, mentre Albert Camus era ricercato dalla Gestapo, le sue pièce venivano rappresentate nei teatri parigini.
Io non credo nell’essere umano come qualcosa di monolitico. Penso, anzi so, che gli individui mutano pensiero e atti nel corso della loro esistenza. Lo fanno divenendo o regredendo nella scala dell’umano. Perché quel prigioniero antifascista del ’44 sia divenuto Franco Basaglia non lo so. È certo che aderì all’antipsichiatria, è certo che l’antipsichiatria se da un lato movimentò la ribellione ai lager psichiatrici dall’altra negò l’esistenza della malattia mentale. Lo so perché da ben trent’anni studio, cerco, scrivo, su questi temi.
Venerdì sono andato alla presentazione di un libro che aveva per tema lo studio della schizofrenia ( qui c’è il video http://video.associazioneamorepsiche.org/ ) dove si è parlato dello stato delle cose in psichiatria. Penso che sia importante vederlo.
Che dire di più Patrizia, la ricerca della verità è infinita. A diciassette anni avevo appeso nella mia stanza un poster: c’era un gabbiano che volava e sotto c’era scritto “la ricerca della verità ti renderà felice anche se non la raggiungerai mai”. Poi mi sono perduto e ritrovato e ora sono qui a ringraziarla per aver acceso la scintilla della ricerca.
Gian Carlo Zanon
luino
29 Agosto 2015 @ 15:04
“pensiero nazista di Heidegger”
citate le pagine di Heiddeger che facciano da fondamento alla vostra affermazione, per favore!
Non un’intiera opera, che sarebbe vago, ma le pagine specifiche, grazie
Dalla Redazione
29 Agosto 2015 @ 15:38
Heidegger nel 1916, scrive alla fidanzata Elfride: “La giudaizzazione della nostra cultura e delle nostre università è in effetti spaventosa, e ritengo che la razza tedesca dovrebbe trovare sufficienti energie interiori per emergere.(…) Le lettere di Heidegger a Elfride sono infarcite di odiose osservazioni antisemite, come ad esempio quando scrive, il 12 agosto 1920, che “gli ebrei e i profittatori sono ormai un’invasione”, o quando, il 19 marzo 1933, deplora il fatto che Jaspers, un uomo “puro tedesco, con l’istinto più genuino, che sente la più alta sfida del nostro destino e individua i compiti, resti vincolato dalla moglie», che è ebrea.»
Questo per me basta e avanza , le pagine se le cerchi da solo se vuole saper la verità su questo schifoso nazista … ma noto che lei non sta seguendo il dibattito sul nazismo di Heidegger, provato dalla pubblicazione dei Quaderni neri, che da ormai due anni incendia la cultura europea. Le metto questo link così se vuole si può aggiornare http://www.igiornielenotti.it/?tag=quaderni-neri
Giulia D.B. per la Readazione di G&N
N.B. – non inserisca link perché il nostro sistema li elimina automaticamente
Anna Lici
29 Agosto 2015 @ 17:06
si giusto, e visto che non hanno citato Tolomeo già che ci sei, caro Luino il precisino del lago Maggiore, chiedegli anche di scrivere chiaramente perché siamo passati dal sistema tolemaico a quello copernicano. Digli di citare le pagine di Galileo che facciano da fondamento a questa affermazione, per favore! Non la “intiera” opera galileiana sui massimi sistemi, bastano le pagine specifiche , grazie
Anna baci baci Luino