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Il ritrovamento dei Quaderni neri, che tolgono ogni dubbio sul razzismo di Martin Heidegger, ci impone di ripubblicare questa recensione, pubblicata nel maggio 2012, sul libro di Emmanuel Faye. Faye documenta come il filosofo tedesco fondò un pensiero assunto dal nazismo che se ne nutrì abbondantemente per legittimare i propri crimini contro l’umanità
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Esce oggi in tutte le librerie un’opera destinata a scandalizzare quelle menti incollate da decenni alla filosofia heideggeriana e alle sue metastasi culturali individuabili nelle opere dei suoi epigoni: Sartre, Binswanger, Basaglia: Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia.
Il libro, sapientemente curato da Livia Profeti, – filosofa, autrice di libri importanti come “L’identità umana” e di alcuni articoli molto critici nei confronti del filosofo del Drittes Reich, apparsi sul settimanale Left – è la traduzione del libro di Emmanuel Faye, professore di filosofia moderna e contemporanea a Rouen: L’introduction du nazisme dans la philosophie, pubblicato dall’editore Albin Michel, nel 2005, e in seguito ristampato più volte seguendo la ricerca ancora in atto.
Nel libro è presente una nuova prefazione di Emmanuel Faye in cui egli fa una sintesi del suo saggio. In questo suo contributo, l’autore chiarisce come il razzismo di Heidegger era già presente nei corsi tenuti dal 1927 al 1934 e analizza puntualmente le sue responsabilità nella diffusione del nazismo che si palesano in alcune lettere scritte alla futura moglie:
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«Sin dal 1916, scrive alla fidanzata Elfride: “La giudaizzazione della nostra cultura e delle nostre università è in effetti spaventosa, e ritengo che la razza tedesca dovrebbe trovare sufficienti energie interiori per emergere.(…) Le lettere di Heidegger a Elfride sono infarcite di odiose osservazioni antisemite, come ad esempio quando scrive, il 12 agosto 1920, che “gli ebrei e i profittatori sono ormai un’invasione”, o quando, il 19 marzo 1933, deplora il fatto che Jaspers, un uomo “puro tedesco, con l’istinto più genuino, che sente la più alta sfida del nostro destino e individua i compiti, resti vincolato dalla moglie», che è ebrea.»
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Leggendo questo libro si può comprendere da dove nascevano le idee razziste poi, dopo la presa di potere di Hitler che utilizza il lessico di Heidegger per scrivere il Mein Kampf, diventate un’orrenda realtà.
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«È necessario – scrive Faye nella prefazione – fare oggi piena luce su queste domande. È necessario anche rivalutare la sua responsabilità, (di Heidegger N.d.R.) non solo nell’adesione dei tedeschi a Hitler nel 1933, dove l’influenza dei discorsi del rettore Heidegger è accertata da lunga data, ma anche nella preparazione delle menti al processo che condurrà alla politica di espansione militare del nazismo e allo sterminio degli ebrei d’Europa».
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Leggiamo dal comunicato stampa de L’ASINO D’ORO edizioni, del 3 maggio:
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«Il filosofo francese svela il volto nascosto dell’opera heideggeriana: legittimare, diffondere e prolungare il progetto sterminatore di Hitler.(…) Heidegger che nel 1933, primo rettore-Fuhrer della Università di Friburgo, incita il popolo tedesco a votare per Hitler e in seguito vieta le borse di studio per gli studenti ebrei in favore di quelli delle SA e SS. Heidegger che qualche tempo dopo spiega agli studenti che gli ebrei non sono un popolo, perché “nomadi”, privati del loro essere in quanto non radicati in un proprio “spazio vitale”. (…) E poi Heidegger che ancora nel 1941 legittima le gesta del nazionalsocialismo, invocando lo sterminio come antidoto al “declino”. Fino all’Heidegger del dopoguerra, che non vuole accettare la sconfitta militare e prepara un nuovo avvento del nazismo nelle menti: il “dio a venire” dell’intervista al settimanale tedesco Der Spiegel del 1966, pubblicata postuma per sua volontà nel 1976.»
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Queste parole sono un farmaco che può curare da questa infezione invisibile che dura da troppo tempo nascondendosi, purtroppo, anche tra le migliaia di pagine scritte dai cosiddetti maître à penser della sinistra europea.
Sarebbe importante che questo libro non venisse ignorato ma che abbia l’opportunità di suscitare un dibattito culturale che sveli finalmente le piaghe ancora infette dove si celano i mortali batteri del razzismo nazifascista.
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Sul sito di diffusione culturale Segnalazioni, in occasione della pubblicazione del libro sul nazista Heidegger, viene oggi ricordato come «lo psichiatra Massimo Fagioli ha da almeno quarant’anni affrontato il confronto e lo scontro con il pensiero di Martin Heidegger. (…) Inoltre, tale duro confronto e scontro si è spesso evidenziato e articolato anche nelle sue comunicazioni accademiche. Vogliamo ricordare in particolare che nel corso dell’A.A. 2009-2010 Massimo Fagioli, sabato 20 marzo 2010 tenne una storica lezione, la seconda del suo corso di quell’anno all’Università di Chieti-Pescara, che attraverso una possente sintesi di secoli di storia umana denunciava con forza il pensiero di Martin Heidegger come la fonte ideologica più prossima del nazismo e di quello sterminio nazista che – in pochi anni – giunse ad eliminare nei propri lager un numero di esseri umani valutato dagli storici tra i 12 e i 17 milioni di individui non combattenti, fra i quali quasi 6 milioni di ebrei: cioè quasi un terzo dei 55 milioni di morti – combattenti e non combattenti – che quella guerra voluta dal nazifascismo complessivamente provocò.»
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di Gian Carlo Zanon
4 maggio 2012
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Qui potrete trovare le traduzioni di Susanne Portmann sull’acceso dibattito culturale che si è acceso in queste ultime settimane in Germania su giornali e riviste.
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Scheda
“Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia” di Emmanuel Faye,
a cura di Livia Profeti, per la collana “Le Gerle”, L’ASINO D’ORO edizioni ,
con una nuova prefazione dell’autore.
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Paolo
13 Novembre 2012 @ 01:24
Per quanto il rapporto tra Heidegger e il nazismo debba essere compreso, questo articolo è ridicolo e scritto manifestamente da chi di filosofia non capisce assolutamente un emerito c…. (…)
Dalla redazione
13 Novembre 2012 @ 10:53
Ho letto il commento di Paolo solo fino alla parola c…. Poi mi sono fermata ritenendo inutile una dialettica impostata in questo modo … non mi viene l’aggettivo, meglio così.
Vorrei dire a Paolo, sempre che intenda avere una dialettica culturale con “I giorni e le notti”, di riformulare il commento stralciando le espressioni … non mi viene l’aggettivo, tanto in voga su face-bok e sui siti abitati dalla cultura trash.
Questo mio dire è anche un avvertimento a tutti coloro che pensano che il nostro giornale sia un cesso dove vomitare le loro rabbie. Noi scarteremo sempre (questa volta è stata una mezza eccezione) i commenti che partono con queste premesse. Penso anche che persone come Paolo possano, sempre che lo vogliano, essere utilissimi per una dialettica civile anche se questa assume toni accesi … e accesi non significa insultanti.
Giulia De Baudi (per la redazione)
Paolo
13 Novembre 2012 @ 15:57
Parlare di metastasi nei confronti di Basaglia è lecito, mentre usare il ternmine con la c. no? E’ meno offensivo e violento attribuire al pensiero di Sartre effetti cancerosi, piuttosto che dire con franchezza una sacrosanta verità in modo diretto? Ha presente, la Redazionde, l’uso di certi termini nella Fenomenologia dello spirito? Chi parla di metastasi nei confronti di questi grandi personaggi è semplicemente un ignorante. E le cose vanno dette. Abbia la bontà, la Redazione, di pubblicare tutto il mio commento, o non lo pubblichi affatto.
Dalla redazione
14 Novembre 2012 @ 10:53
Caro Paolo vedo che proprio non ce la fai a dialogare senza dare epiteti a gente come noi che cerca di fare del giornalismo fuori dal coro. Anche questa volta l’aggettivo “ignorante” se lo poteva risparmiare. Ma nonostante ciò, visto questo suo interesse per il tema Heidegger e per i suoi epigoni, la redazione ha deciso di rispondere, ed ha incaricato me perché, dicono, sono la più paziente. Rispondo a questa poi vado sotto ogni suo commento per rispondere.
Prima risposta: parlare di Basaglia e delle metastasi culturali di cui lui è diretto o indiretto colpevole è lecito. Lo è per il semplice fatto che la cultura dominante facendone un santo martire ha prodotto quello che possiamo chiamare il “basaglismo” che ha pervaso negativamente trent’anni di psichiatria italiana con “idee” come questa: “La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione.” Che hanno minato la cura della malattia mentale e dato un alibi a psichiatri e psicanalisti criminali che pensano solo ad arricchirsi a spese della disperazione di tanta gente.
Legga questi due paragrafi tratti da un articolo di una psichiatra Ester Stocco che può leggere per intero qui http://www.altritaliani.net/spip.php?article515&lang=it
“Basaglia, quindi, non ha liberato i folli così come non ha fatto nessuna originale ricerca sulla follia. Incapace di critica nei confronti della filosofia della ragione, egli distrugge solo la psichiatria e in nome di una libertà generica e vuota demolisce non le mura del manicomio ma quel poco di intenzione di cura che allora si stava formando.
Solo apparentemente più tollerante dei filosofi a cui si ispira, Foucoult, Sartre, Heidegger, propone il suo concetto di follia che disgrega l’identità psichiatrica per enunciare una definizione di malattia mentale come “contraddizione sociale”. Questa definizione però ha in sé l’impossibilità di ogni conoscenza e cura”.
Ora cerco di rispondere agli altri due commenti … ma lo sai che mi stai facendo lavorare un sacco.
A per quanto riguarda la “fenomenologia dello spirito” ti rispondo che sono abbastanza atea da ritenere questo concetto un ossimoro. Non esistendo lo spirito, se non in forma etilica (scusa la battuta ma no sono riuscita a frenarmi) non può apparire divenendo fenomeno. Hegel è un altro di quei santini da togliere dal portafoglio. E con lui chiuderei qui altrimenti non la finiamo più.
Giulia De Baudi (per la redazione)
Paolo
13 Novembre 2012 @ 19:28
Mi sono sempre chiesto, da uomo di sinistra, come si possa essere, in certi ambienti progressisti, così ciechi. Cari amici, il semplice fatto che non capiate il pensiero di certi uomini, come quello di Basaglia (basterebbe avere letto e compreso Spinoza per intendere come mai la malattia non possa che essere un concetto relativo) o quello di Foucault, non significa che loro furono irrazionali, ma forse che voi non avete la stoffa filosofica. Bisogna capire quali sono i propri limiti, questo è il primo insegnamento in filosofia. Da ieri, da quando mi sono imbattuto in questo blog, ho letto un crescente numero di bestialità e formule moralistiche (è una mostruosità dire che i bambini abbiano una sessualità… e perché mai? vediamo se è vero o se è falso, così si fa nell’elemento della scienza, non si valuta prima secondo la propria personale morale da preticchi laici o giù di lì). E’ vero, ciascuno ha la libertà di dire anche cose le più assurde. Ma è davvero frustrante notare quante persone immaginino di stare nella cosa stessa (la filosofia) così come si sta in ambienti giornalistici. Il rapporto di Heidegger con il nazismo è senz’altro da approfondire e comprendere, ma intedere il pensiero heideggeriano come un cancro (che diffonde metastasi) è una sciocchezza. Dedicatevi all’ippica.
Dalla redazione
14 Novembre 2012 @ 11:58
Seconda puntata: caro Paolo, faccio finta di non vedere “ciechi” “bestialità””preticchi” “dedicatevi all’ippica” e cerco di rispondere.
Vedo innanzitutto che partiamo da presupposti di pensiero molto distanti tra loro, quasi inconciliabili direi. Ho studiato abbastanza i cosiddetti maître à penser (Basaglia, che attingono dal pensiero nazicattolico di Heidegger per rifiutarli categoricamente. La invito a leggere questo articolo, che noi abbiamo copiato da Filosofia.it dove i filosofi Vattimo e Ferraris vengono messi a confronto proprio sul “problema Heidegger”. http://www.igiornielenotti.it/?p=7672
Su Sartre può leggere un articolo di qualche anno fa pubblicato su La Repubblica il quale mostra chiaramente lo squallore pseudo di due santi del pensiero esistenzialista: Sartre e Simone de Beauvoire http://www.igiornielenotti.it/?p=2345
Quanto alla sessualità dei bambini ci sono leggi che li difendono e dicono, giustamente, che essi non sono atti al rapporto sessuale con un adulto fino a maggiore età. Dire il contrario, come hanno fatto Sartre, Simone de Beauvoire, Foucault e, nel lontano ’85, anche Nichi Vendola in un’intervista su La repubblica, oltre che essere una cosa umanamente abominevole è apologia di reato: Vendola disse: «Non è facile affrontare un tema come quello della pedofilia, cioè del diritto dei bambini ad avere una loro sessualità, ad avere rapporti tra loro o con gli adulti – tema ancora più scabroso – e trattarne con chi la sessualità l’ha vista sempre in funzione della famiglia e della procreazione».
Giulia De Baudi (per la redazione)
Paolo
13 Novembre 2012 @ 19:35
*mi riferisco, naturalmente, circa la sessualità dei bambini, alla citazione dal libro di Tulli, dove rigore vorrebbe che si chiarissero, dopo la citazione stessa, i termini fraintendenti che l’autore usa, considerato che ciò che lui chiama sessualità non è ciò che Freud intende con sessualità, e con lui la psicanalisi (quella seria) in generale.
Dalla redazione
14 Novembre 2012 @ 12:05
Per quanto riguarda la pseudo sessualità dei bambini ho già risposto. Posso solo aggiungere che Freud, dopo una prima denuncia sul crimine di pedofilia, vedendo la reazione fredda del mondo culturale viennese decise in vece di legittimarla con i suoi sproloqui su una presunta sessualità infantile. Ci sono molti libri ormai che certificano questo mio dire: Jeffrey Moussaieff Masson. ASSALTO ALLA VERITÀ. La rinuncia di Freud alla teoria della seduzione; Il libro nero della psicoanalisi – – Libro – IBS – Fazi – Le terre;
Nell’aprile del 2010 è uscito il libro di Michel Onfray Il crepuscolo di un idolo. L’affabulazione freudiana, nel quale il filosofo attacca duramente il fondatore della psicanalisi, Sigmund Freud[6], accusandolo – tra le altre cose – di essere «bugiardo», «cocainomane», «onanista», «incestuoso», di avere «ammassato una fortuna in contanti per sottrarla al fisco», di essere «omofobo», «misogino», antisemita, e di «appoggiare il fascismo». Vedi lettera al Duce.
Ma già nel ‘74 lo psichiatra eretico Massimo Fagioli con i suoi primi tre libri aveva minato le fondamenta di uno pseudo pensiero che ricodificava e legittimava un pensiero millenario basato sull’annullamento della donna e del bambino: la donna ritenuta da Aristotele una “anomalia della specie” e da Freud un “uomo castrato” e il bambino definito amorevolmente da quell’imbecille di viennese “un polimorfo perverso” già dalla nascita, concetto copiato pari pari dalla credenza sul peccato originario della religione giudaico –cristiana.
Ecco, come vedi questi idoli, a cui anch’io in passato prestavo fede, ad una pur minima verifica ad occhi spalancati sono caduti come birilli … altro che cecità.
Bene Paolo, che dire, se vuoi continuare a discutere su queste cose io sono qua … mi raccomando però gli aggettivi pepati … comunque grazie per i tuoi commenti.
Giulia De Baudi
Paolo
18 Novembre 2012 @ 00:40
Mi limito soltanto a ridere (altrimenti ci sarebbe da piangere) del modo in cui viene inteso lo Spirito hegeliano (che è l’operare di tutti e di ciascuno, concetto il più concreto si possa concepire, tanto che Marx da esso dipese, predicando che “il cane morto” non era morto affatto). Se uno studente venisse da me, non dico all’università, ma al liceo, dicendomi che l’importanza filosofica della Fenomenologia dello spirito è oggettivamente scarsa perché dio non esiste, gli direi di leggersi, ad esempio, Feurbach e poi lo boccerei. Questo spiega tutto ciò che avete scritto e scriverete in futuro e conferma le mie idee circa la vostra competenza filosofica, aiutata forse, nella stesura dei vostri articoli “filosofici”, dal suddetto spirito alcolico. Il fatto è che se c’è una cosa che non è fatta per i giornalisti, questa cosa è la filosofia. Proprio perché in filosofia non si mettono in fila i buoni e i cattivi secondo la logica cibernetica della informazione: “Spinoza? No! accidenti, la prima parte dell’Etica è dedicata a Dio! E dio non esiste. Ergo, Spinoza non è importante”. Ribadisco il consiglio dell’ippica, anche perché è nobile e ha a che fare con la filosofia greca. Fa parte dell’agone di pensiero anche la durezza, soprattutto se la durezza è rivolta verso degli elementi cancerosi per l’esercizio filosofico e per l’edificio intero del sapere come voi, e non Sartre e Basaglia, dimostrate di essere. Per citare un importante filosofo contemporaneo: “La filosofia non è da tutti”.
Saluti.
P.S. se volete cominciare a capire minimamente in cosa consista l’esercizio filosofico, vi consiglio un bel canale you tube:
http://www.youtube.com/user/carlosininoema?feature=results_main
Forse persino voi ne trarrete giovamento.
Nec ridere, nec lugere, neque detestari, sed intelligere.
Dalla redazione
18 Novembre 2012 @ 16:40
Bene Paolo visto che lo vuoi facciamo lo scontro duro. Riunisco idealmente i tuoi due commenti e ti rispondo rivolgendomi anche ai lettori.
È vero la “filosofia” come la intende Paolo, ma anche tutto il pensiero occidentale creato da “filosofi” … come Paolo, «non è da tutti».
Per quanto mi riguarda la filosofia la intendo come la parola la definisce: amore per la sapienza. La filosofia ha perduto, in duemila e 700 anni di storia le ragioni della sua nascita. Partita con i primi presocratici, come ricerca dell’Archè, parola che al suo nascere significava “ciò che costituisce l’origine delle cose, ciò da cui tutto proviene”, in seguito si perse nel pensiero religioso . Ci pensò prima Parmenide, e poi quel pederasta di Platone, a distruggere tutto con il logos astratto che non serviva più per la ricerca della verità sulle cose visibili ed invisibili esistenti nella natura e nella realtà umana, ma serviva solo per legittimare il potere costituito a cui i “filosofi” si sono sempre adeguati, vedi Cacciari. E vedi anche La Repubblica di Platone testo base di tutti i totalitarismi del secolo trascorso.
Con l’avvento dell’era criminale cristiana i padri della Chiesa non fecero altro che mutuare il pensiero filosofico e dire già con Giovanni evangelista « Ἐν ἀρχῇ ἦν ὁ λόγος » cioè « In principio era il Verbo (logos)»
Da quel momento in poi, tranne pochissimi veri filosofi tra cui brilla la stella di Giordano Bruno, ragione e religione sono andate a braccetto per paralizzare il pensiero umano con tutte le belle pensate.
In che modo? È molto semplice: se si parte dall’assunto che “in principio è il logos”, non esiste più una realtà alla quale si da un nome, ma è la parola che crea ex nihilo la realtà. Praticamente i “filosofi” partendo da assunti inesistenti, hanno creato per due millenni dal nulla sistemi filosofici inficiati da questo non pensiero. Voi direte che è un pensiero delirante … esatto è un pensiero delirante perché “fa di ciò che non è, ciò che è; e di ciò che, è ciò che è” Ludwig Feuerbach.
Questo pensiero/credenza onanistico che compulsivamente gira intorno a se stesso come una trottola impazzita, nutrendosi del proprio vomito, ha dominato e continua a dominare, con epigoni tipo Paolo, il “pensiero sapienziale” occidentale.
Di tutto ciò Paolo forse non se né accorto, non gliene faccio una colpa. Poverino è il frutto della sua storia relazionale e dell’ambiente culturale a cui ha aderito, senza fare quei rifiuti che salvano dalla lebbra “fliosofica”. Chiusi gli occhi davanti alla realtà, per comandi interni e ambientali, non si è accorto che, gratta gratta, sotto il cosiddetto pensiero “filosofico” si nasconde un gorgo ontologico quasi invincibile, sul quale però utilizzando il logos (pappone maleodorante dove i maggiori ingredienti sono religione e ragione) sono stati costruiti edifici di cartapesta dai colori accattivanti .
Dal fondo di maelström ontologico nel quale è stato risucchiato e dal quale, come tutti gli infelici che hanno perduto la passione per la sapienza, cerca di attrarre farfalle smarrite e depresse che sentono la vita ma non la sanno decifrare. In psichiatria questi signori li chiamano schizoidi: persone con una struttura psichica borderline che vivono entro i limiti della legalità pur utilizzando la loro insignificante vita per distruggere la realtà umana altrui. Questo lo dico per il modo in cui egli, il Paolo, si è rapportato a me e a noi, insultando con l’intento palese di sminuire la nostra identità di essere umani. Frasi come “La filosofia non è da tutti” o “Forse persino voi ne trarrete giovamento” la dicono lunga sul tentativo meschino del Paolo di destrutturare la nostra realtà sapienziale e soprattutto umana. Tentativo fallito carissimo.
Paolo e quelli come lui, e non sono tantissimi per fortuna, si sono autoproclamati Sacerdoti di uno pseudo pensiero che parte da assunti che bonariamente posso definire metafisici ma che in realtà sono frutti di un pensiero dissociato … e poco mi interessa se migliaia di “filosofi” la “pensano” in modo contrario … non sono mai entrata in uno stadio e non per questo mi sento menomata (come non mi sento menomata di fronte al pensiero di Aristotele che dice “le donne sono una anomalia della specie”) per il solo fatto che non condivido un millenario modo di “pensare che in realtà nasconde la credenza nella ragione astratta, inzuppata di “pensiero” religioso, costi quello che costi. Vedi quel malato di mente di Heidegger che, come i credenti malati di alienazione religiosa, dice che la realtà umana è “essere per la morte”. Esattamente come i religiosi cristiani che dicono che la vera vita inizia dopo la morte. Non per niente egli tentò di diventare un prete cattolico, non riuscendoci perché fu ricoverato in una clinica per malattie mentali. E questo stronzo è un eroe per gente come il “filosofo” Paolo.
A me invece di tutte le stronzate su Derrida mi interessa la realtà empirica e la storia di Heidegger, idolatrato dal nostro Paolo, che la dice lunga sulla sua capacità di essere un pensatore che aiuta la società a divenire più umana. Ricordo un esame di estetica dove ho dovuto rispondere a domande su Kant e Wittgenstein, fu veramente allucinante, dovetti fare un momentaneo lavaggio del cervello ed imparare i concetti a memoria per superare l’esame … con un 27 se non ricordo male. Ma la cosa non lasciò segni indelebili nel mio pensiero. Certe cose si fanno per salvarsi la vita, lasciando credere ai professori di credere come loro in questi “grandi pensatori” che umanamente erano il nulla più assoluto.
Ma è anche una questione di scelta tra essere e non essere : “Essere o non essere, questo è il problema. Cos’è più nobile, soffrire nell’animo per i sassi e i dardi scagliati dall’oltraggiosa fortuna, o impugnare le armi contro un mare di affanni e combatterli fino a farli cessare? (…) la riflessione ci rende tutti vili.”
È più nobile spendere la vita cercando la verità dell’essere impugnando le armi della dialettica contro il monolite millenario della credenza filosofica occidentale, o aderire a queste pseudo verità che lasciano gli esseri umani, come te, o Paolo, in balia di un destino creato da voi stessi per pacificare la mente in queste masturbazioni mentali letali? Letali perché se le seghe te le fai a quattordici anni sono quasi normali se te le fai a trenta sono sintomi di patologia conclamata.
Ma una domanda è d’obbligo … perché io di fronte ad una frase come quella di Heidegger «essere per la morte» mi sono ritratta e sono andata a cercare da quale la realtà umana potevano uscire pensieri di questo genere, mentre tu hai assorbito questo pensiero cattonazista senza neppure un gemito critico, per poi venire a vomitare la tua rabbia per il nostro rifiuto sulle nostre pagine ? perché la filosofia “non è roba per me”? Perché sono stupida? Perché non mi sono lasciata sedurre dal serpente di una pseudo verità? Io se fossi in te qualche domanda me la farei.
Tu che vita vuoi Paolo? Una vita fondata sul non essere che come le seghe non costa nulla ed è anche “pacificante”, o quella alla ricerca di una vera conoscenza che allontana “dalla masturbazione mentale e dall’azione cattolica”? Chieditelo dammi retta cocco, chieditelo.
Paolo, io ho perso un po’ di tempo per rispondere ai tuoi … diciamo “politicamente scorretti” commenti, che avevano l’intenzione di gettare fango su di me, e sulla redazione. Ti chiedo scusa se sono stata dura e irriverente ma lo hai voluto tu.
Ti chiedo anche se posso far diventare questa nostra infuocata dialettica un articolo, senza omettere neppure una parola di questo colloquio.
Io gioco leale. Se mi dai il permesso lo pubblico così com’è altrimenti ne farò un articolo senza fare naturalmente accenni a questa nostra “dialettica”.
Ma lo sai che ora che ti ho risposto mi sei diventato quasi simpatico.
Succedeva anche a te di prenderti a botte con un ragazzino del quale poi diventavi amicissimo?
Giulia De Baudi