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di Gian Carlo Zanon
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Con il flamenco un’alchimia di suoni vandali, arabi, gitani, ebrei emerge, a ricordare la grande vitalità del popolo andaluso, in un secolo, il ‘500, così gravido di speranze ma anche permeato da un inesauribile oppressione religiosa.
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Queste antiche espressioni artistiche, sottolineano l’impossibilità di annullamento, da parte di qual si voglia istituzione, del ricordo lancinante per il violento sradicamento della cultura ebrea, araba e romanza, voluta con accanimento dalla Santa Inquisizione.
Il flamenco è il nome di uno stile musicale, di una tecnica di pittura ed una danza tipica che affonda le sue radici nella cultura dei Mori e degli Ebrei, o se vogliamo dei moriscos e dei marranos (maiali) così venivano chiamati gli arabi e gli ebrei conversos, cioè convertiti forzatamene al cristianesimo.
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–Possiamo dire che, il cinquecento inizia nel 1492. In questa data viene alla luce un nuovo mondo, sempre esistito ma non essente nella consapevolezza degli uomini del vecchio continente.
Sempre nel medesimo anno ha termine la leggendaria reconquista, avviene cioè la definitiva cacciata dei Mori dalla Spagna. Infatti nel 1492 cade l’ultimo baluardo moresco, Granada è vinta e dopo ottocento anni di dominio, ma anche di convivenza pacifica fra popoli di varie religioni, i Mori tornano sulle coste africane.
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In quegli anni si inaspriscono le misure contro i Mori rimasti in Spagna e contro gli Ebrei, entrambi inseriti da secoli nel tessuto sociale. Il tribunale dell’Inquisizione creato nel 1478 da Torquemada, confessore de los reyes católicos Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia, ha il compito di controllare che le leggi xenofobe vengano rispettate. Quindi per i non cristiani rimanevano solo due strade: o convertirsi al cattolicesimo o fuggire dai possedimenti spagnoli. Nonostante le conversioni forzate i moriscos e i marranos, vennero sempre considerati cittadini di serie B, e quindi perseguitati in momenti di crisi e guardati sempre con sospetto. Agli Ebrei venne imposto come segno di riconoscimento un panno giallo da appuntare al petto, come faranno poi i Nazisti.
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Tutto questo trova echi nella musica, il canto popolare diviene cante jondo, il canto profondo; dai riverberi della storia scaturisce un suono che esprime il dolore sordo e la lastima, il lamento altero, oppure affiora con irriverenza ironica nelle huelgas cioè nei conviti popolari.
Le espressioni artistiche, queste rivolte dissimulate nel canto e nella danza, sorgono spontanee come a ricordare la possibilità di una libertà interna dall’oppressione religiosa. Il duende, questo sentire interno, questa sensazione ai limiti tra il fisico e lo psichico, spinge alla rappresentazione i vissuti inconsci.
La soffocante coartazione religiosa, che aumenterà dopo il concilio tridentino, avrebbe voluto eliminare anche il senso del tempo: i predicatori si sgolavano per fare in modo che l’alienazione religiosa togliesse dalla mente degli esseri umani il senso dell’esistenza, rendendo la vita solo un sogno, anzi un incubo, divino, atemporale.
L’espressione artistica ripristina il tempo umano e l’uomo ritrova i suoi passi perduti nella scansione del tempo e dello spazio che divengono musica, ritmo, voce che canta, ballo, poesia.
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Il taconeo del Flamenco velatamente svela una ribellione che altrimenti non avrebbe possibilità di esprimersi senza sangue né morte.
Lo strumento principe del flamenco è la chitarra. Questo strumento, che nasce nel mondo arabo con il nome di Laud, è sicuramente presente già dal XII secolo nelle corti Càtare della Linguadoca. Non sappiamo esattamente quando il Liuto, così venne chiamato lo strumento, entrò a far parte del mondo occidentale; forse tramite i rapporti di confine tra la Spagna, dominata dai Mori dall’VIII secolo d. C. e i territori cristiani oppure se gli Arabi kaibiti lo trasmisero ai Normanni che nell’XI secolo conquistarono la Sicilia permettendo però la convivenza civile tra arabi e cristiani. Lo strumento avrà due sviluppi: il liuto seguirà il suo divenire nella tradizione musicale colta sino al ‘700; la chitarilla invece diverrà invece uno strumento di accompagnamento delle danze popolari per poi evolversi sino a diventare la chitarra spagnola che conosciamo oggi.
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Forse sembrerà fuori luogo un discorso sulla differenza tra il canto popolare del cinquecento e il Jazz, ma mi intrigava molto un discorso sulla diversa nascita e sviluppo di questi suoni così distanti tra loro.
Qui possiamo suggerire che la ‘causa’ prima della nascita del Jazz si trova proprio nella Spagna del XVI secolo. Nel 1517 l’Imperatore e Re spagnolo Carlo V concede ai mercanti fiamminghi di importare ogni anno 4000 schiavi africani a Hispaniola, Cuba e Giamaica. Già nelle stive delle navi negriere spariscono le lingue africane, infatti, per paura delle rivolte, gli schiavisti non mettevano mai insieme persone della stessa lingua.
Nelle piantagioni i comendadores spagnoli si comportarono nello stesso modo e così gli Africani divennero muti; rimase loro solo una traccia dei ritmi e dei linguaggi della loro terra d’origine. Da queste minime tracce mnesiche gli schiavi ricomposero da un lato i linguaggi creoli e dall’altro una musica che in qualche modo poteva essere capita profondamente solo da chi aveva un vissuto o un sentire simile al loro.
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Questa è una storia, ma a noi interessa molto più la poetica che viene espressa nel Jazz: con un linguaggio musicale, che non ha nessun tipo di aggancio culturale con il passato, chi suona e canta questa musica cerca dentro di sé il significato della propria esistenza. Chi fa Jazz scava con quelle note nel suo inconscio alla ricerca di quella corda che faccia risuonare il ricordo, il senso più profondo del proprio essere. Le parole delle canzoni sono solo un pretesto che diviene nota, musica, tramite, mezzo per aprire un varco dal quale ‘vedere’ la propria nascita.
Lo stesso vale per chi, invasato dal duende flamenco, suona uno strumento divenendo parte di esso. Chi canta si trasforma in cassa di risonanza, e ancora e ancora sino a dimenticare se stesso; il cantante e il musicista non emanano musica essi sono musica.
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I suoni antichi presenti nel flamenco alla civiltà mediterranea, vale a dire un impasto di culture diverse ma non distanti, non separate tra loro. I suoni che danno vita a questo tipo di musica, nascono per accumulazione di incontri, scontri e separazioni tra esseri umani di culture diverse ma con un sentire comune.
Le immagini della storia di Spagna vengono rappresentate nel flamenco in musica e canto; al contrario gli schiavi africani non ebbero una storia da raccontare; non ebbero nemmeno immagini così ben delineate, e anche se le avessero avute non avrebbero potuto raccontarle, dato che la loro lingua era muta. E così, come già accennato, essi crearono suoni creoli attingendo solo dalle tracce e dai segni vaghi rimasti nella loro memoria. E queste linee incerte divennero la loro ribellione, la loro identità e libertà, divennero Jazz.
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Fabio
17 Maggio 2012 @ 21:36
L’articolo è molto interessante e traccia delle connessioni storiche ampie e veramente intriganti… ma il filmato, ragazzi, è di un bello ! L’ho visto quindici volte e di sicuro ci tornerò ! Dicono che sia turco però, non arabo…
Fabio
17 Maggio 2012 @ 22:03
per l’esattezza lei si chiama Öykü Gürman ed è di Istanbul e lui Berk (purtroppo Gürman anche lui…)
Dalla redazione
18 Maggio 2012 @ 07:54
Grazie Fabio per la precisazione. Bello il tuo dire (purtroppo Gürman anche lui…).
Questa è l’ennesima prova che nel bacino del mediterraneo esiste un filo culturale che lega fortemente i popoli che in questo “talassa àpeiron” si bagnano.
E tutto questo è stato distrutto dalla storia criminale del cristianesimo che al grido di dio lo vuole ha cercato, riuscendovi, per 1000 anni, cioè dalla conquista della Sicilia da parte dei Normanni infeudati prima da Gregorio VII e poi da Urbano II fino alla defenestrazione dei francesi dall Tunisia, di separare ciò che il mare univa. Ora ci sta pensando Ratzinger a dividere gli abitanti del Meditterraneo.
Viaggiando in tutti questi anni dalla Tunisia, dove è nata mia madre, alla Spagna andalusa, all Sud dell’Italia, all’ex Jugoslavia alla Turchia ecc. mi sono reso conto di come ciò che è stato separato si riunisce nella musica nella danza e nel canto di questi popoli che si nutrono di sole. GCZ
Fabio
20 Maggio 2012 @ 16:30
sì, capisco quello che dici e condivido. Colgo l’occasione per fare a te e agli altri scriventi un complimento per il blog. E’ molto bello oltre che interessante. E scrivete tutti in un modo molto piacevole. Ciao. Fabio DP
Dalla redazione
20 Maggio 2012 @ 21:17
ti ringrazio con tutta la redazione … ho letto alcune cose che hai scritto … se ti va di pubblicare qualcosa con noi sei il benvenuto. Come avrai notato non seguiamo la cronaca … è troppo stressante. Piuttosto cerchiamo di approfondire alcuni argomenti e magari pubblicare qualosa che rimanga nel tempo. GCZ
Ti scrivo la mia email giancizeta@gmail.com
Fabio
21 Maggio 2012 @ 08:20
Ti ringrazio per l’invito, molto gradito, mi farebbe piacere. Mi farò vivo se riuscirò a fare qualcosa di decente. Un saluto a tutti.