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di Giulia De Baudi
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«E queste cose (le vicende dei miti) non avvennero mai, ma sono sempre: l’intelligenza le vede tutte assieme in un istante, la parola le percorre e le espone in successione.» Salustio
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Ho letto sulle pagine culturali del Corriere della Sera (4 febbraio 2014) la “conversazione”, curata da Cristina Taglietti, alla quale hanno partecipato, oltre a Eva Cantarella, alcuni italici intellettuali: Matteo Nucci, Laura Pepe, Gabriele Vacis. Il tema del “dibattito” verteva sul personaggio dell’Antigone sofoclea sulla quale la giurista dal mondo antico ha scritto recentemente, come recita il catenaccio dell’articolo, un «pamphlet per demolire l’eroina di Sofocle» dal titolo Contro Antigone. Il giorno dopo la conversazione viene ripresa da Radio3 sia durante la lettura dei giornali, nella trasmissione radiofonica Pagina3, sia nella trasmissione Fahrenheit nella quale erano presenti Eva Cantarella e il regista Massimiliano Civica. Sia nella “conversazione” riportata sul Corriere tra Eva Cantarella e i suoi interlocutori, sia nell’intervista a Fahrenheit, emergono argomentazioni che mi lasciano esterefatta: per esempio il regista Massimiliano Civica asserisce di aver messo in scena un sua interpretazione dell’Antigone in cui un Creonte partigiano lotta contro un Antigone aristocratica che vorrebbe dar sepoltura a un Polinice fascista. SIC. Si avete capito bene, il regista monta su una pièce teatrale in cui Creonte veste i panni di un partigiano comunista rovesciando così quella tradizione novecentesca che vede Creonte come un tiranno nazista: Berthold Brecht, Anouilh, la stessa Liliana Cavani col suo film I cannibali.
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Tralascio le interpretazioni di Civica, che parla di una Antigone aristocratica che si opporrebbe alla democrazia, perché, se rapportate al senso del mito e della tragedia, le ritengo totalmente assurde, e ritorno alle sconcertanti parole con cui Eva Cantarella ha descritto a Fahrenheit la figura di Antigone.
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Cantarella: «L’Antigone della quale parlo io non è il mito (…) io non parlo di quell’Antigone io mi occupo del personaggio di Sofocle (…) io ho cercato di mettere in evidenza come si stia dimenticando che questo mito nasce naturalmente (…) è completamente diverso dal personaggio che Sofocle fa di Antigone. (…) quelli che hanno letto la tragedia di Sofocle, l’Antigone, non possono che restare sconcertati dalla differenza tra quell’Antigone – che è una creazione di Sofocle – Prima della scrittura della tragedia di Antigoni non ci sono tracce nella letteratura, diciamo se l’è inventato lui questo personaggio. (…) leggendo Sofocle uno rimane sconcertato dalla differenza tra il personaggio che ci racconta Sofocle e il mito. (…) il personaggio di Sofocle è un personaggio insopportabile, una persona egoista, una persona che vive con una sola funzione poveretta (…) un personaggio chiuso in se stesso che ha un unico obiettivo, quello di seppellire quel fratello (…) che è morto combattendo contro la città (…) e si decide giustamente, giustamente di non seppellire il traditore quello che ha combattuto contro la città. Questa è una regola assolutamente normale contro la quale Antigone si ribella ma senza dare una motivazione… (…) la vocazione per la morte emerge (…) lei dice “per me la morte non può essere che un vantaggio” lei fa riferimento alle sue sventure e sogna solo di raggiungere i suoi morti, ma lo dice proprio esplicitamente (…) è una figura che si è autocondannata (…) la vicenda è tale che non può che desiderare quello (lei è esplicitamente democratica perché lei dice questa cosa non l’avrei mai fatto per uno schiavo (…)» Penso possa bastare!
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Sempre Cantarella, nel citato articolo sul Corriere afferma: «(…) ci sono due Antigoni opposte : il personaggio di Antigone è radicalmente diverso dal suo mito. (…) «Antigone è un’invenzione di Sofocle e io ho cercato di mettere in luce il carattere del personaggio, davvero inquietante. L’Antigone di Sofocle è una donna di un egocentrismo spaventoso, e di una assoluta indifferenza a tutto quello che non è lei, con una fissazione: dare sepoltura al fratello Polinice bandito dalla città mentre suo fratello Eteocle ha ricevuto tutti gli onori. Però ha una sorella, Ismene, di cui non tiene conto e tratta malissimo. (…) Il modo in cui Antigone tratta Ismene è terribile. Basta vedere il primo incontro nel giardino della casa di Creonte quando immediatamente la insulta. Ismene figura che io amo molto e che viene denigrata per non possedere le virtù della sorella, in realtà pronuncia una frase bellissima: “Io non posso agire contro la Polis, – quindi contro la società, contro la comunità probabilmente. Antigone a Creonte invece dice “sono d’accordo è importante, è giusto che ci siano le leggi, è giusto che tu le faccia rispettare perché è il tuo compito, è giusto che gli altri obbediscano, ma io Antigone non voglio obbedire. (…) Creonte ha ragione nel divieto di seppellire Polinice. (…) Polinice è un nemico della patria. Perché mai avrebbe dovuto avere sepoltura? La regola era che i cadaveri dei nemici della patria restassero insepolti. E Creonte dice ai tebani che, a partire dal divieto di seppellire Polinice, sarà un re giusto, (…) A me Antigone continua a essere estremamente antipatica. È una donna assolutamente senza cuore, senza sentimenti. Lei ha un unico obiettivo: andare con i morti, là sotto. (…) Qualcuno ha parlato di diritti umani anche nell’antichità (…) Io non credo che si possa parlare di diritti umani, perché questi si collocano nel tempo, e quindi ovviamente non possono essere gli stessi. Certo Antigone nel testo è anche un po’ razzista: per esempio quando dice che questa battaglia che fa per il fratello non la farebbe per uno schiavo»
Sugli interventi degli altri partecipanti al simposio – che, secondo il mio metro di giudizio, identifico come intellettuali epigoni del “pensiero debole” inaugurato dal Vattimo, a sua volta estimatore dell’ideologo del nazismo Heidegger – preferisco stendere un velo pietoso. Gli epigoni del pensiero debole di cui sopra, sembrano ben disposti a far il gioco delle parti dando un colpo al cerchio e uno alla botte: il gioco è il solito: si Antigone era nel giusto… ma però!; si Creonte era un tiranno… ma però! Inutile stupirsi: si sa, in certi ambienti, vige la norma sottaciuta del “can no magna can” diceva mia nonna vicentina buonanima.
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Per rispondere a Eva Cantarella ora cercherò di rispondere punto su punto. All’inizio già scaturisce un controsenso: prima E.C. afferma che si occupa «del personaggio di Sofocle”, “L’Antigone della quale parlo io non è il mito» e poi dice «io ho cercato di mettere in evidenza come si stia dimenticando che questo mito nasce naturalmente (…) è completamente diverso dal personaggio che Sofocle fa di Antigone.» Già qui rimango interdetta: prima Cantarella dice che si riferisce “al personaggio di Sofocle” e poi dice che si riferisce al mito. Mito che nascerebbe “naturalmente”?. Inoltre afferma che secondo lei Antigone “è una creazione di Sofocle”. C’è un po’ di confusione!
Quindi è il caso di definire meglio il rapporto che intercorre tra mito e rappresentazione scenica. Rapporto che in tutti gli interventi, a mio giudizio, appare molto confuso. I miti, in rapporto alla loro messa in scena, sono solo canovacci, in cui i caratteri dei personaggi sono ancor meno caratterizzati che nella Commedia dell’Arte. Provenendo da una narrazione orale, nel mito non esiste un canone per il quale un personaggio compie o subisce atti definiti e prefissati una volta per tutte. I personaggi mitici, e conseguentemente la struttura stessa dei miti, sono funzionali alla società in cui vengono narrati in un stretto rapporto tra l’aedo, colui che narra e gli ascoltatori coloro che ascoltano la narrazione. Certamente i personaggi si muovono all’interno di una congruità narrativa ed essendo collegati tra loro non possono scambiarsi i ruoli né uscire dallo scenario in cui sono miticamente collocati: Antigone non può certo innamorarsi anch’essa di Ippolito e lottare contro Fedra per averlo per sé. Sarebbe un assurdo. Nel mito quindi esistono delle indicazioni sugli scenari sociali, quindi politici e normativi, in cui i personaggi muovono i loro passi all’interno di una data struttura narrativa: Antigone, essendo nipote di Labdaco, appartiene alla stirpe dei labdacidi, essendo la nipote di Laio ne porta addosso il miasma, è figlia e sorella di Edipo, è sorella di Polinice ed Eteocle, di Ismene eccetera e si muove in questo contesto mitico. Tutto il resto è lasciato alla fantasia di aedi e tragediografi.
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Mettendo in scena Antigone Sofocle, a mio giudizio, non intende mettere in contrapposizione un’aristocratica che si contrappone ai valori della democrazia che, secondo Civica, verrebbe rappresentata da Creonte. Non sono la sola a contrappormi a queste “stramberie” filologiche di E.C. Già dieci anni fa Umberto Galimberti e Mariano Puxeddu rifiutavano e smontavano completamente il suo impianto filologico. «Definire “ortodossia inusitata” – scriveva Galimberti – l’adempimento di un sacro dovere (Grecia del V sec. A.C.) da parte di Antigone nel dare sepoltura dignitosa al fratello Polinice, significa ignorare completamente un capitolo importantissimo dei doveri considerati imprescindibili nel mondo antico: un vero e proprio errore da matita blu in un tema di allievi del Liceo Classico. Quanto al definire Creonte “un buon governante” c’è da restare allibiti: un tiranno che impone un divieto disumano, quale è la proibizione di dare sepoltura dignitosa a un cadavere, quale esso sia, in palese contrasto con i valori supremi di ogni società umana da Neanderthal fino a oggi, sarebbe un buon governante?»
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Ma veniamo agli scenari mitici entro i quali si svolge la vicenda della morte di Polinice e di Antigone. Le narrazioni mitiche giunte fino a noi concordano nel fatto che tra Eteocle e Polinice c’era un patto: si erano accordati di regnare ad anni alterni su Tebe. Apollodoro scrive: «dicono alcuni che a regnare per primo fu Polinice, il quale dopo un anno, passò il potere a Eteocle il quale poi non volle cedere il regno». Nei miti di Robert Graves sta scritto «Eteocle, che salì sul trono per primo, non volle abbandonarlo allo scadere dell’anno e, adducendo come scusa che Polinice si era dimostrato incapace e malvagio, lo scacciò da Tebe». Le due versioni sono pressoché identiche e narrano del tradimento di un patto tra i due fratelli. Tradimento che è causa delle successive vicende. Quando Polinice – che è si bandito dalla città, ma è il fratello che lo esilia per prendersi il potere – attacca Tebe in armi, per l’etica del tempo in cui proviene il mito, non commette alcun crimine; Polinice ha tutte le ragioni e le intenzioni che lo muovono non sono quelli di chi vuole impadronirsi illegalmente del potere, egli attacca Eteocle per prendersi ciò che gli appartiene di diritto, che ovviamente, stava all’interno della città: «Polinice per evitare una strage, si offrì di stabilire la successione al trono in un duello con Eteocle. Eteocle accettò la sfida e nel corso di un’aspra battaglia i due contendenti si ferirono mortalmente a vicenda.» (Robert Graves) Anche nel mito la verità sta nelle sfumature.
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Mi fermo un attimo per ricordare che qui ci si muove su tre livelli temporali: il primo livello temporale, non ben definito, da cui proviene il mito, in cui – come spiega bene Mario Vegetti nel suo saggio L’etica degli antichi – la virtù, (arete) e l’onore di un individuo sta nelle sue “prestazioni eccellenti” per il conseguimento di uno stato sociale a cui aspira. Per l’etica del tempo, Polinice è obbligato a tentare di riprendersi il potere perché altrimenti sarebbe un uomo senza onore, un apolide disonorato che nessuno vorrebbe ospitare.
Il secondo livello temporale è quello in cui Sofocle scrive e mette in scena la tragedia con lo scopo, non di demonizzare Antigone, in quanto troppo legata alle “leggi di sangue”. Leggi di sangue che poi sarebbero le leggi interiori, le leggi dettate dagli affetti che comprendono anche l’esigenza inconscia di realizzare l’ elaborazione del lutto. Leggi «non scritte e incrollabili degli dei. Non soltanto da oggi né da ieri ma da sempre esse vivono, da sempre: nessuno sa da quando» dice l’Antigone sofoclea; leggi che scavalcano ogni tempo perché appartengono specificatamente alla specie umana e quindi ad ogni individuo che non ha perduto nel corso del tempo la propria umanità avuta in dono alla nascita.
Il terzo livello temporale è quello in cui stiamo vivendo, in cui possiamo scegliere di innamoraci di questa fanciulla, che come racconta nel primo atto il Coro dell’Antigone di Jean Anouilh: «è quella che è seduta là in fondo, e che non dice niente. Guarda dritto davanti a sé. Pensa. Pensa che tra poco sarà Antigone, che sorgerà improvvisamente dalla ragazza chiusa, che nessuno prendeva sul serio in famiglia e si ergerà sola in faccia al mondo, sola in faccia a Creonte, suo zio, che è il re.» oppure possiamo rifiutarla, come è accaduto a E.C. “sin dal liceo” ritenendola «una donna di un egocentrismo spaventoso, e di una assoluta indifferenza a tutto quello che non è lei, con una fissazione: dare sepoltura al fratello Polinice» . Mentre il Coro di Anouilh dice: «Pensa che morirà, che è giovane, e che anche a lei sarebbe piaciuto vivere. Ma non c’è niente da fare. Lei si chiama Antigone e sarà necessario che reciti la sua parte fino in fondo…» vedo già E.C. agitarsi e affermare che Antigone «È una donna assolutamente senza cuore, senza sentimenti. Lei ha un unico obiettivo: andare con i morti, là sotto». Certamente, direbbe Antonio, Eva Cantarella è una donna d’onore, eppure anche Anouilh era innamorato di questa donna, come ne fu innamorato Albert Camus che seguiva la “legge del sangue” tanto da preferire la vita della madre alla lotta terroristica degli algerini che avrebbe potuto ucciderla.
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Ma torniamo a noi: il mito – che E.C. usa a fasi alternate secondo i propri canoni di giudizio – fa cadere le accuse contro Polinice di E.C. e dei suoi seguaci che difendono le ragioni di Eteocle e di Creonte. Inoltre, visto che Creonte è alleato di Eteocle, ne condivide la colpa, che è la causa della tragedia. Ma a Sofocle poco importa della ragion di stato di Creonte, egli vuole, evocando la legge del sangue, ricordare agli spettatori che le norme che non tengono conto degli affetti, delle esigenze di realizzazione umana e delle pulsioni che muovono gli atti degli esseri umani, sono destinate, fallendo, a causare tragedie immani e disumane. Lo viviamo tutti i giorni…
Eva Cantarella e i suoi sodali insistono sul fatto che ai tempi del mito era “normale” non seppellire i cadaveri dei nemici; E.C. dice «Creonte ha ragione nel divieto di seppellire Polinice. (…) Polinice è un nemico della patria. Perché mai avrebbe dovuto avere sepoltura? La regola era che i cadaveri dei nemici della patria restassero insepolti. E Creonte dice ai tebani che, a partire dal divieto di seppellire Polinice, sarà un re giusto»… frasi che mi fanno accapponare la pelle… sarò troppo sensibile. Troppo sensibile quanto Tiresia che dice a Creonte: «Di questa malattia soffre la città per tuo volere: poiché i nostri altari e i focolari tutti sono pieni del pasto che uccelli e cani hanno fatto del cadavere dell’infelice figlio di Edipo. (…) Suvvia, cedi al morto, e non colpire uno scomparso: che prodezza è uccidere un morto? Ti consiglio bene, per benevolenza verso di te. (…) E tu sappi bene che non compirai ancora molti giri di sole senza ripagare te stesso, in cambio di morti, un morto delle tue stesse viscere: in cambio di quelli di quassù che tu gettasti sotterra, ponendo indegnamente nel sepolcro una persona viva; mentre tieni qui un cadavere privo degli dei inferi, senza funebri onori, nefando».
Inoltre ricordiamo tutti come nell’Iliade il padre di Ettore si umilii di fronte a Ettore per riavere il corpo del figlio che sta subendo la stessa sorte del corpo morto Polinice.
Inoltre ancora Apollodoro (biblioteca III, 6-7, 79) scrive che Adrastro, uno degli eroi sopravvissuti alla lotta contro Eteocle, «si rifugiò presso l’altare della pietà e, dopo avervi deposto il ramo dei supplici, chiedava di poter seppellire i morti. Gli Ateniesi si armano sotto la Guida di Tideo, conquistano Tebe e consegnano i cadaveri ai parenti perché li seppelliscano.»
Ovviamente E.C.&Company affermano l’inaffermabile sulla sepoltura dei corpi, col solo scopo di demolire la figura tragica di Antigone che è «un personaggio chiuso in se stesso che ha un unico obiettivo, quello di seppellire quel fratello (…) che è morto combattendo contro la città (…) e si decide giustamente, giustamente di non seppellire il traditore quello che ha combattuto contro la città. Questa è una regola assolutamente normale contro la quale Antigone si ribella ma senza dare una motivazione» Senza dare una motivazione? Morto combattendo contro la città? Come se Eteocle e Creonte rappresentassero tutta la città. E tutto ciò, secondo E.C., Antigone lo farebbe solo perché vuole morire per raggiungere i suoi cari defunti, e non per un senso di giustizia come quello di Ilaria Cucchi per esempio che alla fine del processo dichiarò “adesso mio fratello potrà riposare in pace”.
Sembra impossibile che E.C. possa fare affermazioni come «Lei sogna solo di raggiungere i suoi morti» e altre frasi innominabili, come «Certo Antigone nel testo è anche un po’ razzista: per esempio quando dice che questa battaglia che fa per il fratello non la farebbe per uno schiavo» quando invece rispondendo a Creonte dice «Non uno schiavo è morto, ma un fratello» intendendo chiaramente che lei si dispera non per un qualunque sconosciuto ma per il fratello a cui era legata da affetti profondi. È così difficile da capire?
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Studiando l’opera di Sofocle, è necessario mettere sulla bilancia tutta la complessità della vicenda mitica, tutta la complessità di un’etica sociale in fermento nell’Atene periclea, tutta la complessità del pensiero di un tragediografo, che attorno al 440 a.C., decide di mettere in scena il dissidio tra le leggi non scritte – ma sacre e immutabili che per natura esistono nel singolo individuo – e le leggi funzionali al governo della città. Come ben rappresentato nell’Orestea di Eschilo e come ci ha insegnato Bachofen, il passaggio tra una civiltà in cui, nel bene e nel male, la legge (matriarcale) di sangue tribale prevale, ad un’altra in cui prevalgono le norme patriarcali, che prevedono una “democrazia” in cui solo i possidenti hanno diritto di voto, ed esclude donne, meteci e servi, non è mai subitanea, né indolore. Le nuove leggi “democratiche” prevedono che antiche divinità matriarcali che difendono la legge del sangue, come le Erinni, scompaiano per far posto a nuove divinità apollinee, patriarcali, pacificate, anaffettive, insensibili alle passioni umane: le Eumenidi.
Ma come ben mostra, a chi vuol vedere, Sofocle, ciò che viene costretto ad uscire dalla porta poi rientra dalla finestra: non esiste nella realtà umana la separazione tra dimensione politica e dimensione sacra, ovvero la dimensione intangibile interna al genere umano. Semmai sono le convenzioni sociali, introiettate sin dalla tenera età, che strutturano e determinano un comportamento scindendolo dal pensiero inconscio. «La disgiunzione fra volere divino e nomos (legge) umano, imposta dal sempre più manifesto carattere varabile e convenzionale di quest’ultimo, e sancita nell’Antigone, aveva certamente avuto un effetto traumatico» (Vegetti cit).
Antigone pur sapendo del pericolo in cui va incontro opponendosi a Creonte, si ribella perché quell’editto è stato messo in essere da un tiranno il giorno stesso in cui i fratelli si sono vicendevolmente uccisi. È questo che scrive Sofocle: Antigone non si ribella alle leggi della città, Antigone si ribella a un tiranno che per poter governare, decide di terrorizzare il popolo con un editto criminale. Egli non usa una legge o una norma già esistente, come affermano Cantarella&Company: Creonte in quel frangente in cui assume il potere della polis, mostra il suo carattere tirannico mettendo in atto un suo orrendo pensiero. Lo dice egli stesso «è stato ordinato alla città che nessuno lo onori di tomba e di compianto, ma sia lasciato insepolto cadavere, pasto di uccelli e cani, vergogna a vedersi. Questo è il mio pensiero». Questo è il suo pensiero scaturito in quei giorni, non una legge vigente. Questo dovrebbe… anzi no, deve “sconcertare” chi legge l’Antigone, e non la sua ribellione.
Dovrebbe essere chiaro a tutti che Creonte è un tiranno il quale, con il suo decreto, vuole terrorizzare l’intero popolo a cui promette benevolenza, ma solo dopo e se accetterà questo sua legge inumana. Con il termine tiranno non lo definisce solo Antigone: «Ma come avrei conseguito gloria più gloriosa, che componendo nel sepolcro mio fratello. Tutti costoro direbbero di approvare il mio atto, se la paura non chiudesse loro la lingua. Ma la tirannide, fra molti altri vantaggi, ha anche questo, che le è lecito fare e dire quel che vuole» ma anche Ismene (v.60).
,Tutti alla fine si schierano con Antigone: il Coro composto dai vecchi tebani, Ismene, Tiresia, Emone, persino Creonte cede alle ragioni di tutti ravvedendosi… tutti tranne Cantarella&Company.
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E a questo punto io mi chiedo quali siano i motivi psicologici di questa antipatia, di questa impossibilità di Eva Cantarella, e di chi come lei, non riesce invece ad entrare in empatia con l’Antigone Sofoclea. Certo sono fatti loro, ma nel momento in cui la loro avversione, la loro idiosincrasia, la loro insofferenza, la loro ostilità, la loro repulsione, diviene un pasto mediatico che destruttura ulteriormente – come se non ce fosse ancora bisogno – una visione dell’essere umano libero di poter decidere secondo scienza e coscienza e di potersi ribellare a leggi disumane scritte due giorni prima dal tiranno di turno, allora io mi ribello con i mezzi che ho a mia disposizione.
Mi ribello e mi chiedo: ma perché tanto astio da parte di E.C., “sin dal liceo”, per Antigone che salva la sorella dalla sua medesima sorte schernendola ma soffrendo: (VV. 545-555)? E perché tanto amore per Ismene? Secondo Eva Cantarella Ismene direbbe: “Io non posso agire contro la Polis” ma in realtà nel testo, rispondendo ad Antigone che l’accusa di disprezzare gli dei, dice «Non c’è disprezzo in me, ma non ho la forza di agire disprezzando al città» quindi sa che Antigone ha ragione ma lei non ha il coraggio di agire e, dice: «obbedirò a chi tiene il potere – quindi non alle leggi della città ma a Creonte– Sono costretta a farlo. Agire contro i propri limiti, è follia». Mi sembra chiaro che Ismene obbedisca all’editto perché ha paura di Creonte.
Non si capisce perché E.C. preferisca le ragioni pavide di Ismene e non quelle di Antigone e perché, per dare senso alla sua visione, cerchi di delineare il carattere delle due sorelle mentendo anche sui testi. Ma non sono certo io a dovere giudicare questo suo giudizio sulla ragazza di Tebe. Anche perché ogni individuo sceglie da che parte stare: c’è chi sceglie di stare con i creonti, come Ismene, chi con le vittime: Emone e la madre, e chi invece sceglie di essere Antigone che non accetta come fa la sorella imbelle di essere succube della propria paura e sceglie di essere pienamente se stessa, costi quel che costi. Lo hanno fatto anche i partigiani.
Nella tragedia di Sofocle alla fine tutti capiscono di aver sbagliato il loro giudizio, oppure si pentono della loro inerzia come fa a un certo punto Ismene che tenta di riscattarsi dichiarando di aver partecipato anch’essa al seppellimento di Polinice. L’unica a non rinunciare alla propria umanità è lei « quella che è seduta là in fondo, e che non dice niente. Guarda dritto davanti a sé. Pensa. Pensa che tra poco sarà Antigone, che sorgerà improvvisamente dalla ragazza chiusa, che nessuno prendeva sul serio in famiglia e si ergerà sola in faccia al mondo».
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È questa ragazzetta che ha solcato il tempo che atterrisce i pavidi, quelli che già al liceo hanno scelto di sedersi comodamente sulle poltrone della ragion di stato, e che quindi non possono che odiare chi mette in crisi il loro modo di essere.
Se gli esseri umani da migliaia di anni danno sepoltura ai loro defunti è perché con l’inumazione fanno “sparire” il caro estinto in un luogo in cui, dicono, troverà pace. Ma è chiaro che lo fanno per separarsi con affetto da chi non vedranno più… l’elaborazione del lutto è una faccenda molto complicata… vorrei aggiungere anche che questo mio affannarmi in difesa del senso del mito di Antigone è dovuto a una reazione di rifiuto di fronte a chi distrugge, più o meno inconsciamente, il senso di fiabe e miti parlando di Cenerentola e Biancaneve schiave e serve del maschilismo dei sette nani e del principe azzurro, e mettendo in scena di un Creonte partigiano che lotta contro un Antigone aristocratica ossessionata dalla sepoltura di suo fratello in camicia nera. Anche Giordano Bruno era un “ossessionato”: come leggiamo dal Giornale della Confraternita di San Giovanni Decollato, « … stette sempre con la sua maledetta ostinazione aggirandosi il cervello e l’intelletto con mille errori e vanità»; anche l’avviso che due giorni dopo il rogo si accampava sui muri di Roma raccontava l’immagine di un ribelle ossessivo: «et diceva che moriva martire e volentieri, e che la sua anima se ne sarebbe ascesa in paradiso … ». E certamente Bruno amava la vita. Nella sua opera teatrale Antigone Valeria Parrella fa dire alla protagonista «Se non fossi capace di questo atto tanto varrebbe che non fossi mai esistita» e lo dice alla pavida sorella che si ritrae di fronte ai doveri della pietas.
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La “legge del sangue” la seguono anche Ilaria Cucchi, il padre di Ilaria Salis, i genitori di Giulio Regeni, la Madre di Federico Aldrovandi, Elena Cecchettin… tutti ossessionati ovviamente, tutti contro la democrazia, contro le norme e le regole dello Stato, contro la ragion di Stato… che persone inquietanti! Ovviamente i benpensanti sono coloro che non capiscono che la narrazione mitica «è, nello stesso tempo, qualcosa di necessario e di impossibile. Necessario perché è la sostanza stessa della nostra vita, che non è mai vita naturale e immediata ma sempre implica un investimento di senso…» (Sergio Givone)
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Jean Anouilh – Antigone
Antigone – Quale sarà la mia felicità? Cosa dovrò fare per strapparne anch’io un pezzetto con i denti? Me lo sapete dire? Potete aiutarmi? A chi dovrò sorridere, a chi mentire, a chi vendermi? Chi dovrò lasciar morire girando la faccia dall’altra parte per avere anch’io il mio bocconcino di felicità?
Creonte – Stai zitta!
Antigone – Tu sai che ho ragione, te lo leggo negli occhi. Ma come potrai ammetterlo in questo momento…! Sei troppo occupato a difendere la tua felicità come un osso
Creonte – la tua e la mia, piccola imbecille
Antigone – Mi disgustate tutti con la vostra felicità! Siete come i cani che leccano tutto quello che trovano per la strada. Io non sono così modesta, io voglio tutto e subito! E che sia bello come quando ero bambina…altrimenti preferisco morire.
Lo so è difficile dire NO, quel NO di cui parla Albert Camus nel suo saggio filosofico L’Homme révolté «Che cos’è un uomo in rivolta? Un uomo che dice no. Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice sì, fin dal suo primo muoversi.» Ma dire NO è necessario… è davvero così difficile da capire?
Antigone (a Creonte)- Si, lo so voi non riuscite più a capirmi. Vi parlo da troppo lontano ormai, vi parlo da un luogo dove non vi è più permesso entrare con le vostre rughe , con la vostra ragione, la vostra pancia. Potete solo restarvene fuori seduto sulla porta come un mendicante, a sgranocchiare quella pagnotta dura che voi dite essere vita.
12 febbraio 2024
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