Jackson Pollock – Convergence – 1952
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21 febbraio 2012
Stavo sul tram, pensavo a come presentare questo nuovo ‘strano periodico’. Pensavo che non volevo scrivere discorsi programmatici. Pensavo che non servono a nulla e che questa ‘cosa’ è in divenire, è come una sostanza ancora senza forma o se preferite un big bang neonato che ha appena intrapreso la sua conquista nello spazio che sta contemporaneamente creando e che … paranoico? Ma si ogni tanto un po’ di paranoia fa bene all’amor proprio.
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Insomma stavo lì sulla metropolitana in preda ad onanismi redazionali quando due dementi probabilmente usciti dal neurodeliri sono saliti sul mezzo, si sono seduti al mio fianco, ed hanno cominciato a snocciolare il rosario: io, e una donna ragazza al mio fianco ci siamo guardati, come dire: «… ma questi da dove sono usciti?» poi, io, mi sono alzato e mi sono seduto qualche vagone più in là, invece la ragazza è rimasta lì a sorbirsi le ave marie e i πάτερ ἡμῶν dai due credenti ecolalici. Il biascichio religioso era stato appannato e confinato come un rumore molesto quando, dopo neanche due secondi, una signora tutta acchittata ha cominciato a ragliare con il cellulare incollato all’orecchio. Si, era una di quelle persone che trovano la loro massima realizzazione nel far diventare pubblici i loro insulsi problemi privati.
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Ho smesso di pensare alla ‘cosa’ cercando una via d’uscita che mi è stata, fortunatamente offerta da un gruppo di gitani, con chitarra e fisarmonica e altri strumenti, i quali, con in incerto ‘Besame mucho’, hanno coperto i rumori impazziti del mondo.
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Ritornato alle mie ambasce ho pensato alla riunione redazionale che mi attendeva dove si doveva decidere come presentare il nuovo … questa ‘cosa’.
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Uno dei redattori, quello con le manie poetiche, l’altro giorno ci ha mandato una e-mail avvertendo tutta la redazione che il titolo della ‘cosa’ – I giorni e le notti N.d.R. – non era poi così originale, c’era una poesia sfigata di Ungaretti: «I giorni e le notti/suonano/in questi miei nervi/di arpa//vivo di/questa gioia/malata di universo/e soffro/di non saperla/accendere/nelle mie/parole», ed un romanzo di uno scrittore russo, Kirill Michajlovič, un collega che fu un importante redattore del Novij Mir negli anni cinquanta (http://it.wikipedia.org/wiki/Konstantin_Michajlovi%C4%8D_Simonov) Gli volevo rispondere con un semplice ma eloquente «estik….» ma, usando l’arcaico linguaggio del corpo, ho semplicemente alzato le spalle … e il problema del plagio è stato risolto.
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Ed ora eccomi qui a cinque minuti dalla pubblicazione del primo editoriale senza sapere bene cosa dire per presentare questo nuovo… sito? Giornale? Periodico? … dunque … ecco potrei, per esempio, cominciare ad invitare amici e compagni e conoscenti – non solo quelli che scrivono bene – a far vivere questa ‘cosa’ mandandoci i loro pensieri verbali, per cercare insieme di svelare, con la molteplicità dello sguardo, l’enigma della realtà che ci si presenta davanti come Sfinge indecifrabile ogni giorno ed ogni notte che ci manda la rivoluzione degli astri causata dal big bang.
Il motto, ‘diario polifonico’ posto sotto la testata vorrebbe disegnare nella mente di chi legge l’idea di nuovi e multipli modi di interpretare e verbalizzare realtà. Questa ‘cosa’ vorrebbe essere – e il condizionale è d’obbligo – un contenitore di approfondimenti in forma di diario personale. Si potranno pubblicare articoli, piccoli saggi, racconti, lettere e romanzi a puntate come si faceva nell’ottocento per i ‘romanzi d’appendice’. Il giornale vorrebbe essere, come sta scritto nel sottotitolo, un diario a più voci, nel senso che tutti (quasi tutti) potranno descrivere le loro percezioni e i loro pensieri sulla politica e su quant’altro in …‘forma privata’. So che può sembrare un ossimoro, pubblicare una cosa privata è un controsenso in termini, ma, adesso, non trovo altri termini o immagini verbali per esprimere la ‘cosa’.
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Quello che sto, e stiamo cercando di fare, è creare una nuova forma di giornalismo più soggettivo e più diretto dove chi scrive non deve necessariamente usare il neutro o il pluralis maiestatis ma può anche usare la prima persona, mettendo in campo la propria soggettività: «io ho visto, letto, sognato, questo e, penso, immagino, prevedo, che ….»
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Naturalmente gli articoli – che dovranno, per il momento, essere inviati a questa email: igiornielenotti@yahoo.it, saranno filtrati ed, eventualmente, rimandati all’autore con dei suggerimenti correttivi.
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Gli autori potranno firmarsi con il proprio nome o con uno pseudonimo.
Questo editoriale e la lettera di Giulia De Baudi, pubblicata il 24 febbraio, è un esempio di come vorrebbe essere questa ‘cosa’ che avrà la forma e il contenuto che le daranno man mano gli autori degli scritti con la loro poetica ovvero attraverso la molteplicità del loro sguardo sul mondo.
L’immagine di Pollock che sovrasta l’articolo sta a significare … beh questo ditelo voi.
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Adriano Meis … un redattore
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greta bruni
29 Febbraio 2012 @ 15:21
evviva il/la neonato/a!!!!
franca nardi
29 Febbraio 2012 @ 15:48
Che bella opportunità, al di là dell’uso che io potrò farne. Basta avere una sensibilità condivisa e potrebbe sortire un bel servizio per una comunità partecipata.
Gian Carlo
29 Febbraio 2012 @ 21:24
Grazie Greta per l’auguroso augurio, Diciamo che è più una bimba, figlia del Giorno e della Notte, si potrebbe chiamarla anche Aurora o Rocio che in spagnolo significa rugiada: ciò che rimane al Giorno della Notte
Si Franca vediamo che sarà di questa bimba, toccherà dargli la pappa e coccolarla in tanti per farla vivere felice …
hermes handbags 2012
18 Luglio 2012 @ 01:16
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