Ho tradotto un altro articolo di Yoani Sánchez. Il testo parla delle parole prostituite dai giornalisti cubani per vigliaccheria o per ottenere privilegi. Certamente questo accade anche da noi, ma certamente a Cuba, lo stridio per strappo tra realtà vera e la “realtà” rappresentata dalla propaganda, deve essere assordante. È chiaro che sia qui che là per rendersi conto della scissione tra la realtà vera e quella rappresentata dagli informatori mediatici, occorre una forte dose di vitalità e di onestà intellettuale. La differenza tra Italia e Cuba sta casomai nella violenza fisica a cui vengono sottoposti colore che, come Reinaldo Escobar, il compagno di Yoani Sánchez citato nell’articolo, si ribellano alla menzogna istituzionale abbellita ogni giorno dai media cubani. A Cuba ci vuole indubbiamente molto coraggio per sfidare l’oligarchia castrista al potere, difendendo le proprie parole dalla lebbra informatica che ha contaminato i giornalisti cubani.
« Rischiare la propria vita, per poco che possa valere, per fare stampare un articolo, una poesia, un dialogo, questo significa apprendere il vero prezzo delle parole» scriveva Albert Camus reduce dalla Resistenza francese contro i nazifascisti e i collaborazionisti.
In coda all’articolo di Yoani Sánchez ho deciso di far pubblicare un articolo e un video pubblicato nel 2013 da Il Fatto Quotidiano, in cui la pratica squadristica degli actos de repudio viene messa in atto a Perugia, contro Yoani Sánchez, durante una conferenza sul giornalismo a cui era stata invitata. È chiaro che in quell’occasione per ovvi motivi non è successo nulla di tragico. Se fosse successo a Cuba le cose sarebbero andate molto diversamente. Se volete saperne di più su questa violentissima pratica intimidatoria a cui sono sottoposti gli attivisti anticastristi potete leggere questo articolo.
Pubblichiamo anche un articolo su Reinaldo Escobar, compagno della giornalista argentina che descrive molto bene il clima in cui vivono coloro che “per una insofferenza quasi organica”, direbbe Camus, non annullano la realtà politica cubana.
Nora Helmer
Stile Revista Cuba
di Yoani Sánchez
Reinaldoparla poco delle sue tappe come giornalista officiale. A volte lo fa, mescolando frustrazione e sollievo. Frustrazione per la sua responsabilità nella fabbricazione di tanti stereotipi e sollievo per la sua espulsione dal periodico Juventud Rebelde che lo rese un uomo libero.
La Revista Cuba Internacional, dove lavorò per quasi tre lustri, ha nella sua memoria un angolo appartato.
Nella nostra casa abbiamo scelto tutta una categoria di notizie a cui abbiamo appioppato il nome di questa pubblicazione.
Se appare sulla stampa un articolo che racconta con toni rosa la vita di un paesino di provincia, è un’altra notizia che mettiamo in rapporto con quella linea editoriale che ha prodotto così tanti danni.
Quando un corrispondente provinciale parla nella televisione delle meraviglie di una fabbrica di accumulatori senza dar conto della quanti in realtà se ne stanno producendo … ci guardiamo negli occhi, ridiamo e affermiamo: «questo servizio è fatto nel peggior stile della Revista Cuba». Se sulla stampa un articolo spiega la vita di un piccolo paese di provincia dipingendolo con toni idilliaci, facciamo anche in questo caso il nesso con questa linea editoriale che tanti danni produsse e sta producendo.
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Mayerín, a differenza di Reinaldo, da poco si è laureata nella Facoltà di Comunicazione Sociale. A volte chiama da un telefono pubblico per commentarmi il suo ultimo articolo pubblicato in un sito digitale con il quale collabora. «Hai visto – mi chiede – cosa sono riuscita a infilare nella terza riga del secondo paragrafo?» Leggo il pezzo per verificare il coraggio della mia amica giornalista e trovo che, invece di scrivere “il nostro caro e invincibile Comandante in Capo” ha messo semplicemente “Fidel Castro”. Che grande audacia la sua!
Diverse generazioni di professionisti dell’informazione hanno dovuto percorrere una strada fatta di censura, propaganda ideologica e ovazione al potere. Edulcorare la realtà, utilizzare i media nazionali come vetrina di falsi risultati e riempire i periodici di una Cuba ritoccata e falsificata, sono alcuni mali della nostra stampa ufficiale. Se nei lettori e negli spettatori televisivi queste deformazioni lasciano un sapore amaro, nei giornalisti l’effetto è ancora peggiore.
I giornalisti finiscono per prostituire le proprie parole per non avere problemi o per ottenere determinati privilegi. Il prestigio sociale del reporter cade in picchiata e la stampa si trasforma in uno strumento di dominazione politica. Il reporter che da bambino ha sognato di scoprire qualche scandalo e di approfondire un fatto fino alle sue estreme conseguenze, potrà scegliere tra sottomettersi o sbattere la porta, continuare a truccare la realtà o essere dichiarato un “non giornalista” dal governo.
vedi questo video
http://www.youtube.com/watch?v=E_ZhvFi07VA
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di Yoani Sánchez
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Reinaldo habla poco de su etapa como periodista oficial. Cuando lo hace, tiene una mezcla de frustración solievo. La primera por su responsabilidad con la fabricación de tantos estereotipos y el segundo porque al expulsarlo del periódico Juventud Rebelde lo convirtieron en un hombre libre. Un lugar destacado en sus memorias tiene la Revista Cuba Internacional, donde trabajó por casi tres lustros.
En nuestra casa hemos creado toda una categoría de noticias con el nombre de esa publicación. Cuando un corresponsal de provincia habla en la televisión de las maravillas de una fabrica de acumuladores sin mencionar cuántos realmente se están produciendo… nos miramos, reímos y aseguramos: “eso está al peor estilo de la Revista Cuba”. Si en la prensa un texto explica en tonos rosas la vida de un pequeño pueblo de provincia, lo relacionamos también con esa línea editorial que tanto daño hizo y ha hecho.
Mayerín, a diferencia de Reinaldo, acaba de graduarse en la Facultad de Comunicación Social. A veces llama desde un teléfono público para comentarme sobre su último artículo en un sitio digital donde colabora. ¿Viste -me pregunta- lo que logré colar en la tercera línea del segundo párrafo? Así que me acerco para comprobar el atrevimiento de mi amiga reportera y encuentro que, en lugar de escribir “nuestro querido e invencible Comandante en Jefe”, ha puesto simplemente “Fidel Castro”. ¡Vaya osadía la suya!
Varias generaciones de profesionales de la información han debido entrar por el carril de la censura, la propaganda ideológica y el aplauso al poder. Edulcorar la realidad, usar los medios nacionales como vitrina de falsos logros y llenar los periódicos con una Cuba retocada y falseada, son algunos de los males de nuestra prensa oficial. Si en los lectores y televidentes esas deformaciones dejan un sabor amargo, en los periodistas el efecto es aún peor.
Los informadores terminan prostituyendo su palabra para no meterse en problemas o para alcanzar ciertos privilegios. El prestigio social del reportero cae en picada y la prensa se convierte en instrumento de dominación política. A ese informador, que cuando niño soñó con destapar algún escándalo o investigar un hecho hasta sus últimas consecuencias, sólo le quedará entonces plegarse o tirar la puerta, seguir maquillando la realidad o ser declarado como un “no-periodista” por el gobierno.
Yoani Sanchez contestata a Perugia
Video
http://www.youtube.com/watch?v=EVpYyUpVaxI
Yoani Sanchez contestata a Perugia. L’onore nazionale è salvo
di Massimo Cavallini | 29 aprile 2013
L’onore nazionale è salvo. Anche in Italia – a Perugia, per essere precisi – Yoani Sánchez è stata sottoposta a quello che va sotto il nome (in spagnolo) di ‘acto de repudio’. Era accaduto per la prima volta, settimane fa, a Sao Paulo do Brasil, prima tappa del lungo tour che la Sánchez ha intrapreso a metà febbraio subito dopo l’abolizione, a Cuba, della famigerata ‘tarjeta blanca’. Vale a dire: di quel ‘permiso de salida’ che (in aperta violazione della libertà di movimento sancita dalla Carta Universale dei Diritti dell’Uomo) qualsivoglia cittadino cubano aveva fino ad allora dovuto chiedere al governo per uscire dal paese nel quale era nato (‘permiso’ che a Yoani già era stato negato, mi par di ricordare, una ventina di volte). E si era poi riprodotto, quell’atto di ripudio, in pressoché tutte le soste, latinoamericane ed europee, della famosa ‘bloguera’.
Teatro dell’immancabile replica italiana: il Festival del Giornalismo, dove Yoani era la star d’uno dei molti dibattiti in calendario. Stessi slogan, stesse grida (‘venduta’, ‘mercenaria’), stessi cartelli, stessi dollari falsi gettati in aria come coriandoli. Con un’unica – e, per l’orgoglio nazionale, molto gratificante – variante italica:un ‘stronza, stronza’, istericamente gridato da una delle più attive ripudianti in direzione della ripudiata. E dall’altro lato della barricata – a Sao Paulo come a Perugia – stessa serafica reazione di Yoani: una paziente attesa, sottolineata da un imperturbabile ed ironico sorriso. Stesso commento finale (tanto nei casi in cui, come a Rosario, in Argentina, la conferenza ha infine dovuto esser sospesa per l’aggressività del ‘ripudiatori’, quanto in quelli in cui la conferenza si è poi, in effetti, più o meno tranquillamente svolta): ‘Ormai ci sono abituata. E poi vedere la gente protestare liberamente è molto bello. Vorrei che anche a Cuba (dove si può ripudiare per ordine del governo, ma non protestare n.d.r.) si potesse fare altrettanto’.
Elementare, Watson. Tanto elementare che pressoché impossibile è chiedersi, a questo punto, come i ‘ripudiatori’ d’ogni latitudine ancora non si siano resi conto – in Brasile, in Argentina, in Spagna o in quello che fu il Belpaese – di quel che è ovvio. Ovvero: di come l’unico vero risultato del loro ripudio sia quello di ingigantire la figura di Yoani Sánchez. Più loro gridano, più gettano al vento i loro dollari falsi, più insultano, e più Yoani s’illumina. E s’illumina proprio perché più evidente diventa il contrasto tra la leggerezza delle sue parole (o persino dei suoi silenzi, come nel caso di Rosario) e la tenebrosa realtà d’un regime la cui più visibile dimensione cultural-umana (dentro il paese, o tra i suoi sostenitori in terra straniera) è ormai, per l’appunto, quella dell’atto di ripudio. La bella e la bestia. Come fanno i filocastristi di casa nostra (e quelli di casa altrui) a non vedere che proprio questo è il titolo della rappresentazione che mettono in scena ad ogni apparizione della ‘bloguera’? Quali sono – oltre al fanatismo ed all’ignoranza, presenze, queste, del tutto ovvie – le vere cause di questa molto specifica forma di cecità?
Mi riprometto di tornare prestissimo sull’argomento, esaminando più in dettaglio non soltanto gli atti di ripudio veri e propri – quelli delle grida e degli insulti che, peraltro, si esaminano da soli – ma anche le più sofisticate disquisizioni (sofisticate, ma per molti versi, ancor più volgari dello ‘stronza, stronza’, che ha marcato la contestazione di Perugia) che, da anni ormai, si sforzano d interpretare il ‘fenomeno Sánchez’ nel quadro d’una cosmica cospirazione. Mi riferisco, naturalmente ai più illustri praticanti della ‘yoanologia’, o ‘yoanofobia’ – ormai a pieno diritto divenuta una branca dell’anti-scienza – che, da tempo, come l’Ahab di Melville, vanno ossessivamente inseguendo per mari e oceani Yoani, la balena bianca, spiandone ogni movimento, facendole in conti in tasca e ‘sfidandola’ a rispondere a domande, per lo più ridicole ed alle quali la bloguera già ha, in ogni caso, risposto mille volte. Arguti dietrologi che, scrutando gli abissi del ‘grande complotto’, non riescono a vedere quello che hanno sotto il naso. Ovvero (passando ad altra favola): come i piccoli racconti di vita di Yoani Sánchez non siano, con tutta evidenza, che un’aggiornata riedizione del ‘Re Nudo’ di anderseniana memoria. E come qui, ridotto all’osso il problema, stiano le vere ragioni del suo (di Yoani) planetario successo.
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Perché Yoani non è, in fondo, che questo. Un bambino (o una bambina) che in questi anni ha rivelato – e ha rivelato su scala globale, grazie all’inedita forza della ‘grande rete’ – quello che tutti vedevano, ma non osavano rivelare: la nudità del sovrano. O, fuor di metafora: l’assenza d’ogni forma di libertà (e di molte altre cose) nella Cuba generata da una rivoluzione che voleva (e che per un periodo davvero è stata) una forza liberatrice,. La storia dell’atto di ripudio di Perugia è, a ben vedere, raccontabile tutta dentro questa contrapposizione. Da un lato la bambina di Hans Christian Andersen. Dall’altro – il lato dei ‘ripudiatori’ – i cortigiani imbelli. Un’ennesima allegoria della storia antica del servilismo. Uno spettacolo pietoso.
di Carlo Davide Lodolini e Marta Serafini
Yoani Sanchez e Reinaldo Escobar:
una coppia contro le ingiustizie di Castro
Questa articolo è uscito su Sette il 28 gennaio del 2010 ed è il risultato di una chiacchierata molto lunga avvenuta in una notte nel dicembre del 2009 tra Yoani Sanchez, suo marito Reinaldo, e noi due in viaggio sulle strade di Cuba. La ripubblichiamo qui nella speranza che Yoani e suo marito tornino presto in libertà.
Yoani non è una buona cubana. O, almeno,così dice lei. Non le piace il rum, non le piace la salsa e non gioca a domino. Yoani, 34 anni, la revolución, all’Habana con il marito Reinaldo Escobar (61 anni, giornalista come lei), la fa a modo suo. Dal 2007 ha aperto un blog, Generación Y (Y come Yoani, come le iniziali dei nomi scelti per i figli nati a Cuba negli anni ’70, come la forma dei suoi orecchini). Racconta la vita dei connazionali, tra difficoltà, speranze, file per il pane e delusioni. Per questa sua attività è stata selezionata dalla rivista Time come una delle 100 persone più influenti del 2008. A Cuba, invece, il suo blog è da tempo oscurato in tutta l’isola.
Il regime di Raúl Castro (fratello di Fidel, al potere da metà del 2006) la tiene sotto controllo, l’accusa di essere una spia e non la fa uscire dal Paese nemmeno per ritirare i premi. Al ’appuntamento in un bar del quartiere Vedado arriva per primo suo marito. In avanscoperta, per controllare che non sia una trappola. «Lei è sempre in ritardo, come tutte le giornaliste», scherza. Poi Yoani appare in uno sventolio di capelli lunghi e abito di cotone. Sorride, ma è nervosa. La gente ai tavoli ascolta allibita, mentre Yoani e Reinaldo criticano ad alta voce il governo.
Fuori, la polizia ci guarda. Spiegano, senza odio, che in novembre sono stati aggrediti.
«Ero per strada. Si è accostata una macchina coreana, che solo persone del governo possono permettersi, con una targa civile», dice lei. «Dall’auto scendono quattro uomini che mi costringono a salire. Ho minacciato di chiamare la polizia. Uno di loro ha telefonato dal suo cellulare di ultima generazione agli agenti, che sono arrivati, ma non sono intervenuti. Poi dentro la macchina i quattro mi hanno picchiata. Ora tengo pronto sul cellulare un messaggio di Twitter da “postare” subito nel caso mi arrestino».
Dopo l’aggressione di Yoani, dopo averle curato le ferite, dopo i titoli sui giornali dimezzo mondo, Reinaldo decide di non stare a guardare: «Dal mio blog ho dato appuntamento per il 20 novembre all’agente Rodney, pseudonimo di uno degli aggressori di Yoani. All’incontro ho trovato una finta manifestazione di studenti. Aspettavo, mentre i giornalisti non sapevano se dare retta a me o ai dimostranti. In realtà gli studenti erano poliziotti in borghese o funzionari, persone che ci tengono d’occhio già da tempo. Il gruppo ha iniziato a urlarmi contro. Poi mi hanno picchiato».
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Ora gli internauti hanno proposto Yoani per il Nobel per la Pace.
Sotterfugi, gente mascherata. Il regime di Castro non si compromette del tutto e sceglie spesso di appaltare il lavoro sporco. «La dittatura cubana non è un regime sanguinario. Ma sanguinolento. I funzionari stanno molto attenti a non mostrare il pugno forte in maniera aperta. Non è il Cile di Pinochet», spiegano. Le aperture sono state promesse da Raúl. Ma la realtà di chi vive sull’Isla è un’altra, soprattutto per chi si permette di criticare. A dimostrarlo, la classifica di Reporter Sans Frontières dei Paesi con giornalisti in prigione, in cui Cuba occupa il terzo posto.
«Ultimamente c’è stato un giro di vite, continuiamo a non essere liberi di andarcene, mentre i turisti canadesi ed europei vengono qui a bere rum e a fare sesso con le cubane». Un esempio di apertura? «È vero che l’istruzione e i libri sono gratuiti. Ma è anche vero che i testi sono obsoleti, così chi studia non sarà mai pronto per il futuro. Un medico specializzato guadagna meno di un ragazzo che pulisce le auto all’angolo della strada. E se vuoi, a Cuba, puoi anche non lavorare, tanto il minimo di sussistenza te lo garantisce il governo. In molti scelgono di non fare niente. E se un giorno le cose cambieranno non saranno pronti». La fame che aumenta, l’embargo che continua. È difficile sperare.
Solo il 10 per cento della popolazione è connessa, assenti i provider privati, e il costo di un’ora di connessione è pari a metà del salario mensile medio. Obama ha concesso a Cuba di agganciarsi al cavo della dorsale atlantica, il regime ha risposto che Cuba non accetta l’elemosina. «Internet qui è lento. Molti siti sono bloccati. Si possono vedere solo dai computer degli alberghi. Per scaricare la posta ci vogliono ore. Inoltre un pc (vecchio, di nuovi non ce ne sono) costa carissimo (mille eurocirca), e può comprarlo legalmente solo chi è gradito al governo». Ma Yoani e Reinaldo non si sono persi d’animo e per scrivere il loro blog mandano via mail i post a un gruppo di amici all’estero che a loro volta li pubblicano e li traducono in tutte le lingue. Creatività insomma, anche per risolvere i problemi quotidiani:
«L’alternativa agli alberghi è connettersi da un’utenza governativa quando gli uffici sono chiusi, con la complicità di qualcuno o acquistando le password al mercato nero, ma bisogna fare attenzione: se sei intercettato chi controlla si accorge del trucco».
Così Yoani e Reinaldo hanno appena fondato un’accademia di blog con l’apporto di filosofi, ingegneri, giornalisti: «È gratuita e priva di gerarchia. Insegniamo l’uso di internet, come realizzare un blog. In tutta l’isola saranno una settantina le persone come noi. Siamo pochi, ma stiamo crescendo. Oggi usiamo i blog, Facebook,Twitter. Domani vedremo».
Yoani e Reinaldo combattono a viso aperto. Con gli occhi sinceri di Yoani, mentre racconta che sta preparando un’azione pubblica. «Per ovvi motivi di sicurezza non possiamo svelare i dettagli, ma abbiamo deciso di fare qualcosa di pratico. Sarà sensazionale». Poi un nuovo libro, autobiografico questa volta (in Italia è già stato pubblicato per Rcs Cuba Libre, con una raccolta dei suoi post), e il desiderio di creare un’Internazionale dei blogger perché «al momento abbiamo pochi contatti con altri giornalisti dissidenti nel resto del mondo, ma sarebbe diverso se potessimo unirci».
Tra una birra e l’altra, la notte scivola morbida sulle strade buie dell’Avana, con le case diroccate che stanno in piedi per miracolo e le ragazzine sul Malecón che sospirano guardando i turisti.
«Manca poco alla fine del regime. Siamo al collasso, non produciamo nulla, le fabbriche non funzionano. Quando cadrà sarà dura. Poi forse saremo finalmente liberi.
Raúl è in una brutta posizione: il suo “peccato originale” è di aver conquistato il potere senza la legittimazione del popolo». A risolvere i problemi, soprattutto secondo i giovani, potrebbe essere Obama, un presidente qui atteso quasi come il Messia. Ma per Yoani e Reinaldo non è così semplice: «Obama ha revocato le restrizioni ai viaggi e alle rimesse in denaro degli emigrati cubani in Usa con parenti sull’isola. Ma porta sulle spalle il peso dei sogni di molte persone nel mondo. E credo che questo peso sia troppo per un uomo solo».
Si amano, Yoani e Reinaldo, si vede da come si guardano, da come si sfiorano mentre parlano, nonostante la differenza di età. Nonostante la paura. «Ci siamo conosciuti attraverso un amico comune perché volevo mettere le grinfie sui suoi libri proibiti»,racconta lei. «Sarebbe più giusto dire che mi ha perseguitato», ribatte lui. E se Yoani ama il marito, ama anche Cuba (rum e salsa escluse, naturalmente). «Questo Paese è la sua cultura, la sua letteratura, la sua poesia. Cuba è la famiglia e gli amici. Per un po’ ho vissuto nel Canton Ticino per studiare, lì internet era velocissimo. Però la nostalgia di casa ha avuto la meglio».
Già, perché Yoani è una cubana vera che della sua terra non può fare a meno.
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Video sulle violeze contro Reinaldo Escobar http://www.youtube.com/watch?v=lUCCbq6F390
Leggi anche http://www.elmundo.es/america/2009/12/11/cuba/1260543291.html
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