di Gian Carlo Zanon
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«Ed ecco formarsi a apparire le carovane dei nomadi: ventimila, centomila, duecentomila. Varcando le montagne si riversano nelle ricche vallate: tutti affamati, inquieti come formiche in cerca di cibo, avidi di lavoro, di qualunque lavoro: sollevar pesi, spingere o tirare carichi, raccogliere, tagliare; qualunque cosa, per sostentarsi».
John Steimbeck, The Grapes of Wrath (Furore)
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«Oggi sappiamo che non ci sono più isole e che i confini sono effimeri. Sappiamo che in un mondo in accelerazione costante, nel quale si attraversa l’Atlantico in meno di un giorno, in cui Mosca parla con Washington in poche ore, siamo condannati alla solidarietà o, a seconda dei casi, alla complicità».
Albert Camus, 26 novembre 1946 – Né vittime né carnefici – Democrazia e dittatura internazionali; Combat, 26 novembre 1946
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«Una quantità sempre crescente di essere umani non è già più necessaria al piccolo numero che, plasmando l’economia, detiene il potere. Una folla di esseri umani si ritrova così, secondo la logica imperante, senza una ragionevole ragione di vita in questo mondo dove sono comunque nati. Per ottenere la facoltà di vivere, per averne i mezzi, dovrebbero poter rispondere ai bisogni delle reti che governano il pianeta, a quella dei mercati. Il fatto è che i mercati non rispondono più alla loro presenza e non hanno bisogno di loro. O di pochissimi e di sempre meno di loro. La loro vita non è più “legittima” ma solo tollerata. Fastidiosa…».
Viviane Forrester, L’orrore economico, 1997.
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Oggi si sta dissolvendo il lavoro. Possiamo sperare di vivere una vita più autentica e creativa?
«Il paradosso risiede nel fatto che è proprio la società del lavoro ad abolire il lavoro…La sostituzione del lavoro con la tecnologia e la disoccupazione strutturale potrebbero in sé essere un fattore positivo: in una società razionale, le tecnologie permetterebbero a tutti di lavorare molto di meno, e ciò sarebbe un bene. Invece la società capitalista non si interessa all’utilità o meno, ma alla sola produzione del “valore”: chi non ha un lavoro viene tagliato fuori dalla società. Ma quando la crisi del capitalismo raggiungerà il suo apice, almeno la metà della popolazione globale diventerà un’umanità superflua. Quindi, quello che potrebbe rappresentare una chance, in realtà è una tragedia.»
Intervista di Flore Murard- Yovanovitch a Anselm Jappe, l’Unità 30.6.13
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“Le notizie sono pessime invece sul fronte demografico. Cento anni fa eravamo meno di due miliardi. Oggi siamo più di sette miliardi; e mentre le previsioni erano che fino a poco tempo fa questa crescita si sarebbe arrestata a circa 9,6 miliardi di persone nel 2050, l’ultima previsione o meglio proiezione della Agenzia ad hoc delle Nazioni Unite è che nel 2100 saremo quasi 11 miliardi. Beninteso, è sicuro che a questi 11 miliardi non arriveremo mai, visto che saremo decimati dalla fame, dalla sete e probabilmente anche dalle guerre per procurarsi cibo ed acqua.”
Giovanni Sartori – Corriere della sera – 16 agosto 2013
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–È un momento storico estremo. Molti se ne sono accorti, altri no. Altri ancora, pur sapendolo, lo ignorano o lo nascondono. L’umanità è di fronte ad una scelta: autodistruzione dell’umano, o realizzazione dell’umano. L’ex ministro montiano Fabrizio Barca, ora astro nascente del Pd, parla da qualche mese di “conoscenza diffusa” e quindi condivisa, ma finora, per quanto ne so, non ha diffuso né condiviso nessuna conoscenza. Molti, moltissimi, politici e i loro portavoci mediatici, parlano dello sviluppo del lavoro giovanile. I governanti fanno assurdi “pacchetti lavoro” per l’assunzione di 200mila giovani e lanciano anatemi su chi oserà fermare il Governo, quando sanno benissimo (a meno che non siano decelebrati) che la disoccupazione giovanile aumenterà, aumenterà e aumenterà. Oggi è al 12,1% e quella giovanile al 24, 8%. Fra sei mesi controlleremo se si è abbassata di due punti come vaticina Enrico Letta.
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Infatti al 31 maggio 2016 i dati del Sole24Ore dicono che : cresce anche la disoccupazione giovanile, che risale al 36,9%. – Un vero genio il Letta!
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Ogni giorno l’informazione mediatica mi dice che si sta cercando di salvare un alberello e non leggo mai dell’asteroide nazicapitalista che potrebbe distruggere l’umanità degli esseri umani. O di molti, moltissimi di loro.
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Sono un inguaribile catastrofista che si nutre di fantapolitica e di fantafinanza? Magari!
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Non comprendere, come ha scritto Andrea Ventura nel suo libro La trappola, che la crisi che stiamo vivendo è una crisi sistemica che coinvolge non solo l’economia e il mondo del lavoro, è molto grave:
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L’autore nella premessa scrive «… un devastante sodalizio tra teorie economiche errate e gruppi di potere economico e finanziario continua a costituire l’orizzonte all’interno del quale vengono definite le politiche pubbliche per arginare la crisi. Essendo questo sodalizio il risultato del percorso storico che l’ha generata, non si può essere ottimisti sul futuro”.
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Questa crisi, avverte Ventura, “contiene in sé qualcosa di più profondo. Quella che stiamo attraversando, infatti, può essere considerata una ‘crisi antropologica’, cioè la crisi di un’identità che si definisce nel rapporto razionale, utilitaristico, con gli oggetti materiali, e che è priva della possibilità di sviluppare un discorso coerente sulle questioni direttamente attinenti alla socialità».
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Ho voluto iniziare l’articolo citando The Grapes of Wrath di Steimbeck non solo per mostrare la tragedia degli Okies negli anni della grande depressione americana, ma anche per sottolineare che da quel dramma coloro che si salvarono ne uscirono grazie a scelte economiche coraggiose che avevano come fondamenta idee di bene comune, di eguaglianza e di solidarietà sociale. E questo ci mostra una strada da seguire. Ci vorrà un altro uomo illuminato come Franklin Delano Roosevelt e un nuovo New Deal , rapportati però alla realtà antropologica contingente, per frenare la corsa verso l’orrore della disumanizzazione della società planetaria.
«… siamo condannati alla solidarietà o, a seconda dei casi, alla complicità». Scriveva Albert Camus nelle vesti di giornalista/artista che “vede” prima della moltitudine la realtà e la svela attraverso l’arma che gli è più congeniale: il pensiero verbale reso visibile all’altro attraverso il proprio scrivere.
Quindi se non vogliamo essere complici dobbiamo, come dice Fabrizio Barca, diffondere e condividere ciò che sappiamo sulla realtà economica senza fermarci davanti al politicamente corretto.
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Ho lavorato, a livelli dirigenziali, per trent’anni nel mondo della produzione industriale entrando nel fitto di quella realtà. In questa esperienza ho maturato delle certezze obiettive che riguardano l’impatto tecnologico nel mondo del lavoro. Penso di dire un’ovvietà quando dico che nell’era della robotizzazione ogni tecnologia elimina posti di lavoro. Fino a pochi anni fa questa realtà si è tenuta a bada aumentando la crescita produttiva che veniva assorbita dal consumismo. Ora tutto ciò non è più possibile per vari fattori: l’esaurimento delle materie prime, esaurimento delle risorse naturali, impatto ambientale non più sostenibile, ecc..
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Di ciò economisti e politici avrebbero dovuto accorgersi e cercare delle strategie per frenare la crescita, la sovrappopolazione, e dividere fra gli esseri umani la ricchezza dei territori. Di ciò gli economisti e i politici e gli informatori mediatici hanno taciuto come è stato ordinato loro dal gotha della finanza asserragliata nei bunker antiumanità.
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Non hanno alibi coloro che, pur sapendo, pur potendo, non fanno nulla o molto, molto poco, per deviare questa meteora mortale. Viviane Forrester nel 1997 aveva già reso pubblico ciò che stava emergendo dalla realtà economica, quindi la classe dirigente aveva il dovere di avvertire i cittadini e lavorare insieme per affrontare la realtà delle cose. Invece si sono riuniti per decretare il destino dell’umanità di cui una parte, quella “inservibile” va tenuta in uno stato di semi incoscienza letargica dalle televisioni che dispensano la droga del nulla. La razionalità dice loro che il genere umano o è strumento, merce, oggetto, compratore compulsivo, oppure va messo da parte … dove? Poi si vedrà!
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« La loro vita non è più “legittima” ma solo tollerata. Fastidiosa…». Verrà forse “rottamata” da persone come Renzi che utilizzano questo termine parlando di esseri umani.
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La domanda, citata in apertura, che la giornalista dell’Unità Flore Murard- Yovanovitch rivolge al filosofo Anselm Jappe è molto importante perché evidenzia un metodo di pensiero che contempla la realizzazione del genere umano: «Oggi si sta dissolvendo il lavoro. Possiamo sperare di vivere una vita più autentica e creativa?» Se, come risponde Jappe, la mancanza di lavoro è strutturale in quanto, come ho cercato di spiegare, è legata al fattore tecnologico che di fatto rosicchia mese per mese posti di lavoro, una soluzione sarebbe quella di lavorare meno e lavorare tutti. Ma la risposta di Jappe è ancora legata al paradigma della razionalità: «… in una società razionale, le tecnologie permetterebbero a tutti di lavorare molto di meno». Il filosofo tedesco, probabilmente per la sua impostazione filosofica che assume la “ragione” come unico modello capace di equilibrare la società, non si rende conto che è proprio la ragione utilitaristica che – annullando la realtà umana dal suo orizzonte epistemologico – spinge alle estreme conseguenze il pensiero razionale, come d’altronde successe in Germania quando si eliminarono tutti i portatori di handicap perché non erano utili alla società: “la loro vita non era più “legittima” ma solo tollerata, fastidiosa” come quella di chi non serve più ad una società dei consumi.
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Mi spiace contraddire il filosofo Anselm Jappe il quale pensa che l’essenza della realtà umana sia quella della ragione capace di porre rimedio ai disequilibri economici e sociali. La ragione è quella di Heidegger che vagheggiava di “spazi vitali” da riempire di tedeschi che, essendo una razza eletta avevano più diritto di sopravvivenza degli altri. La ragione è quella dei Krupp dei Thyssen che per dare lavoro ai tedeschi dovevano costruire cannoni. La ragione è quella dei Governi italiani che legittimano il parassitismo industriale eliminando, come stanno facendo con il “decreto del fare”, le norme di sicurezza e le responsabilità penali e civili degli appaltatori. La ragione dice che altrimenti i cantieri chiudono e le fabbriche delocalizzano.
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La ragione è quella che vede l’altro da sé come un oggetto da sfruttare. Il pensiero irrazionale sano, dato che non è legato all’utile ma alla realizzazione di sé che non può escludere l’altro da sé, vede l’altro come un eguale con il quale fare una dialettica che abbia come fine la creazione di una società più giusta ed umana.
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Penso che ci si debba intendere: chi vede la realtà esclusivamente attraverso la logica razionale, annulla la realtà umana e tende a reificare il reale depauperandolo. Chi è in grado di guardare la realtà umana in modo profondo senza negarla, non può che cercare di realizzare la propria esistenza in rapporto con l’altro. Il pensiero razionale, fondamentalmente asociale, in quanto vuole solo massimizzare il proprio utile, distrugge la società. Il pensiero irrazionale che vede l’altro come un eguale, la crea e la arricchisce. Il genere umano è “condannato” alla solidarietà e quindi alla realizzazione umana.
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«E maturò il pensiero che il rapporto interumano era vero se ognuno tendeva a realizzare la propria identità quando, anche senza rendersi conto, si muoveva verso l’altro per determinare o favorirne la realizzazione».
Massimo Fagioli, Left n.25 2013
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prima publicazione – 3 luglio 2013
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