«Ogni generazione si crede votata a rifare il mondo. La mia sa con certezza che non lo rifarà. Ma il suo compito è forse più grande. Consiste nell’impedire che il mondo si disfi...». A. Camus (discorso del Nobel)
Interpretare il mito. Impresa ardua … non fosse altro per il fatto evidente che il mito non è un fatto reale al quale dare un’interpretazione e quindi un senso. Il mito è già un’interpretazione poetica degli accadimenti storici. L’unico modo per uscirne è assumere, facendo come quando al cinema si vivono i sentimenti dei protagonisti, il mito come ‘realtà’, anche se sappiamo perfettamente che la narrazione mitologica non è mera cronaca di fatti accaduti ma ciò che permane di quegli accadimenti in forma mitopoietica, vale a dire che il mito da a fatti accaduti, anche centinaia di anni prima, un senso soggettivo/poetico. Se vogliamo il mito, in quanto è il contenuto di una realtà arcaica ricreato in forma poetica, ha, se non più, lo stesso valore conoscitivo del fatto storico. Il mito è uno strumento di conoscenza che svela ciò che la cronaca dei fatti non rappresenta alla nostra mente cosciente, passando per i sentieri nascosti della ‘percezione/sensazione’ poetica.
Questo materiale arcaico, che ha una struttura interna atta a reggere il senso del mito, venne usato e viene usato ancora, (si pensi ad esempio a quante volte viene nominata, spesso impropriamente, la veggente inascoltata Cassandra nei discorsi alle camere dei deputati e senatori) nel bene e nel male, per scopi politici nel senso più ampio del termine.
Antigone è uno di questi miti, tuttora molto presente nella nostra cultura, e rappresenta lo scontro mortale tra le legge interiore soggettiva, rappresentata dagli dei ctoni, (Antigone) e la legge scritta da uomini politici che si rifanno a divinità olimpiche patroni della ragion di stato (Creonte). Il mito di Oreste che uccide la madre Clitennestra, e viene poi viene salvato in extremis da Apollo dalla giustizia delle Erinni, divinità infere protettrici della giustizia, sa narrare molto bene questa differenza.
Per capire il senso di un mito si deve necessariamente conoscerlo nella sua interezza e saper dare alle parole scritte dai poeti e dai tragediografi greci il senso che avevano nel tempo in qui venivano scritte. Dire ad esempio che Antigone si appella alla religione intesa come la si intende ora è un grave errore che porta completamente fuori strada. Anche affermare, come fa il professor Carlo Galli, che Polinice è un traditore che combatte “contro la propria patria” è un errore madornale. Polinice è stato esautorato ingiustamente dal regno di Tebe e non lotta “contro la patria”, come continua a dire Creonte, ma contro Eteocle che è l’usurpatore, e contro Creonte suo alleato. Basta saper leggere. Inoltre c’è da tener presente che le tragedie sono interpretazioni politiche che, anche se non possono alterare la struttura portante del mito (Euripide lo farà trascinando alla morte la tragedia attica) danno comunque allo spettatore una visione parziale in quanto soggettivizzata dal tragediografo.
Il mito
Antefatto della vicenda: Eteocle e Polinice, figli di Edipo, si erano accordati per spartirsi il potere sulla città di Tebe: avrebbero regnato un anno a testa, alternandosi sul trono. Eteocle allo scadere del proprio anno non aveva voluto lasciare il proprio posto al fratello, sicché Polinice, con l’appoggio del re di Argo Adrasto, aveva dichiarato guerra al proprio fratello attaccando la città di Tebe:
Coro «Luce del sole,/ la più bella che mai brillò /Su Tebe dalle sette porte, /apparsa sei…infine,/sulle acque Dircee.
Sette guerrieri alle sette porte,/schierati gli uni contro gli altri,/molte armi di bronzo lasciarono/come tributo a Zeus, il dio/ che mette in fuga gli eserciti. /E…i due figli sventurati,/ nati dallo stesso padre e dalla stessa madre,/ l’uno contro l’altro le lance/ due volte vittoriose levarono/e… morte divisero, in parti uguali.»
Sofocle, Antigone
Eteocle l’usurpatore e Polinice lo spodestato, figli di Edipo e Giocasta, e fratelli di Antigone ed Ismene, si uccidono vicendevolmente lasciando vacante il trono di Tebe. Morti tutti i pretendenti al trono maschi, Creonte cognato di Edipo e quindi zio dei due fratricidi, diviene per diritto dinastico re di Tebe. Ancora i cadaveri dei due fratelli sono caldi quando Creonte decide di dare sepoltura al corpo di Eteocle con tutti gli onori, ma, per sfregio, non a quello di Polinice, che deve essere lasciato in pasto ai cani e ai corvi. Inoltre emana una legge: chiunque proverà a dare sepoltura a Polinice verrà condannato a morte.
Antigone, prossima alle nozze con Emone, figlio di Creonte, sfidando la legge scritta da Creonte, decide di far in modo che il corpo morto del fratello si salvi dallo scempio a cui è sottoposto.
Coro: ”Ecco, ancora una volta vedrete recitare la storia di Antigone. Antigone è la magrolina seduta lì in mezzo. Sta pensando. Pensa che tra poco sarà Antigone, che si lascerà alle spalle la magra ragazzina scontrosa che nessuno prendeva sul serio in famiglia e che dovrà affrontare Creonte suo zio che è il Re”
Anouilh – Antigone
Arrestata mentre cerca di coprire il cadavere del fratello con uno strato di terra, viene condotta davanti a Creonte Re, zio, e futuro suocero. E li inizia lo scontro dialettico tra lei, poco più che bambina, e Creonte:
Creonte «E tu invece, e sii breve; conoscevi l’editto? Sapevi che era proibito fare quello che hai fatto?»
Antigone«L’editto era pubblico, lo conoscevo, certo»
Creonte«E hai osato trasgredire questa legge?»
Antigone«Non è stato Zeus a proclamarla, e Dike, che dimora con gli dei sottoterra, non ha stabilito per gli uomini leggi come questa. Non ho pensato che i tuoi decreti avessero il potere di far sì che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte dagli dei. Leggi immutabili che non sono di ieri Né di oggi, ma esistono da sempre, e nessuno sa da quando, per timore di un uomo io non potevo subire il castigo degli dei.»
Coro«Ecco la fiera figlia di un fiero padre, non sa piegarsi alla sorte»
Sofocle, Antigone
Antigone, nonostante l’intervento di Emone in sua difesa, viene condannata ad essere murata viva.
Poco dopo che la condanna è stata eseguita c’è l’intervento di Tiresia, il cieco veggente, che con le sue parole convince Creonte a desistere dalla sua follia. Strappato alle fauci dei cani e ricomposto il cadavere di Polinice, Creonte si reca a liberare dalla sua cella eterna Antigone … ma vi giunge troppo tardi: Antigone per sfuggire ad un’orribile agonia si è impiccata e Emone vedendola senza vita si da la morte; Euridice sua madre e moglie di Creonte alla notizia della morte del figlio si uccide.
Troppo spesso questo mito, che è stato rivisitato e/o messo in scena da grandi autori da Sofocle a Seneca, da Alfieri a Cocteau, da Anouilh a Brecht, dalla Cavani a Marco Bellocchio (scena finale che chiude il suo film Diavolo in corpo) – quando giunge fra le mani di critici e filosofi viene, troppo spesso, destrutturato fino a distorcerne il senso.
Antigone rappresenta un archetipo della nostra cultura e il punto di crisi (intendendo “crisi” nella sua primaria accezione etimologica di “scelta”) tra le esigenze della realtà umana e la ragione, spesso vestita dalle leggi dello stato, sempre presente nel farsi della nostra esistenza. Ad esempio ribellarsi a leggi inique come la legge 40 sulle norme in materia di procreazione non solo è un diritto dell’individuo ma è un dovere umano. Infatti la legge è stata smantellata non da un voto democratico ma da singoli cittadini che, come Antigone, si sono ribellati ed hanno lottato e vinto contro di essa. Creonte li avrebbe sacrificati alla Ragion di stato. Anche scendere in piazza contro la decisione governativa di mandare i militari ad ‘esportare democrazia’ nel Vicino Oriente, fu una giusta ribellione.
Critica e interpretazione
Milioni di parole sono state spese, su questo mito. Per non correre il rischio di perderci in migliaia di testi prendiamo a prestito due lavori: Storia di Antigone di Cesare Molinari e Legge e coscienza morale,una lezione radiofonica che il professor Carlo Galli tenne nel 1999.
Entrambi i lavori, pur essendo molto interessanti, hanno, secondo me, delle forti lacune interpretative: I due intellettuali annullano completamente gli affetti inconsci, positivi e negativi, che muovono i due contendenti. Annullando queste intenzionalità inconsce, che strutturano il mito, l’interpretazione è pressoché impossibile. Vediamo perché.
Partiamo dalla lezione di Galli alla quale hanno partecipato attivamente alcuni studenti che hanno fatto domande molto originali alle quali, secondo me, il professore non ha risposto.
Galli mi scuserà ma leggendo questa sua lezione sembra quasi che non abbia letto attentamente la materia che sa indagando. Oppure l’ha osservata senza una libbra di passione dimenticandosene:
Galli:
«Questa sera siamo qui a parlare del rapporto fra la legge e la coscienza morale. Cominciamo col guardare una scheda filmata preparata dalla redazione».
«Il dovere che Antigone avverte come proprio si scontra con il dovere codificato dalla legge; il conflitto tra la legge scritta e la legge della coscienza, attraverso la storia della civiltà umana lo si ritrova nelle molte forme che ha assunto l’opposizione tra diritto naturale e diritto positivo. Il diritto positivo è il risultato, codificato in legge, della volontà legislativa umana. Il diritto naturale è un diritto non scritto, che si ritiene però sia scritto nella coscienza degli uomini».
Già qui posso intervenire dicendo che quando l’Antigone di Sofocle si appella alle: «… leggi non scritte degli dei, leggi immutabili che non sono di ieri o di oggi, ma esistono da sempre, e nessuno sa da quando.» la ragazza Tebe intende le leggi che devono fare capo alla realtà umana della nascita che confligge solo con chi questa l’ha perduta, già nei primi mesi di vita, nelle tragedie del rapporto con l’altro da sé.
Possiamo dire, facendo capo alla Teoria della nascita dello psichiatra Massimo Fagioli, che il neonato già nei primi momenti di vita, ha in sé una ‘sapienza di uguaglianza’ che lo porta naturalmente alla ricerca del rapporto con l’altro da sé, per fare in modo che questo suo ‘sapere’ venga confermato. Tra l’altro queste leggi naturali e primarie dell’umano non sono metafisica ma sono inscritte, per esempio, nella costituzione italiana quando parla di eguaglianza e in quella americana che accenna alla realizzazione umana verso la felicità.
Tra l’altro due studentesse, usando altri termini, parlano di questa realtà primaria comune in ogni essere umano:
Prima studentessa:
«Per quanto riguarda la coscienza morale, abbiamo pensato ad un oggetto che è: Il grillo parlante di Pinocchio, perché meglio rappresenta quella che è, in ognuno di noi, quella voce, che, davanti a delle situazioni, ci porta ad avere determinati comportamenti».
Seconda studentessa:
«Mi ricollego direttamente a quello che Lei ha detto: “la legge morale è assoluta dentro di noi”. Ora io dico: se la legge morale fosse veramente assoluta, cioè se fosse veramente qualcosa dentro di noi, io penso che non ci sarebbe veramente opposizione tra legge positiva e coscienza morale. Perché? Perché, se questa morale fosse veramente un assoluto, se fosse qualcosa dentro di noi, potrebbe essere qualcosa che abbiamo in comune. E quindi potremmo riuscire in qualche modo a stilare delle leggi positive che non siano in contrasto con questa legge morale assoluta».
Ma Galli tutto preso dalla difesa della ragion di stato travalica il mito stesso:
Galli:
«…c’è l’assoluto di Creonte e l’assoluto di Antigone, l’assoluto del dittatore e l’assoluto del tirannicida, che lo uccide».
«e l’assoluto del tirannicida, che lo uccide».?????? Ma dove ha visto il tirannicidio?
Nel mito di Antigone c’è un uomo violento e in quanto tale ingiusto, Creonte, e una ragazza che vuole solo che il fratello non venga lasciato in pasto ai cani. Per dare sepoltura a Polinice non fa male a nessuno, neppure ai cittadini di Tebe che oscillano tra il rispetto, per paura, di quella legge e il rifiuto. Cittadini che vengono trattati dal tiranno alla stregua di schiavi. In questo modo arrogante Creonte risponde al corifeo (come soltanto un tiranno può trattare i suoi cortigiani Molinari)
Creonte al corifeo che rappresenta le istanze dei cittadini: «Smettila, prima di farmi infuriare anche tu con le tue parole per non essere giudicato stupido e vecchio ad un tempo» Bell’esempio di democrazia. In realtà la ‘legge dello stato’ a cui si appella Creonte, e Galli, è una legge ad personam e quindi asociale, che vuole solo stabilire l’assolutismo del potere nella città. Il pensiero razionale è pressoché questo: se vengo ubbidito quando emano una legge assurda, cancello l’identità umana dei cittadini facendone dei servi pronti ad ogni mio comando.
Basterebbe avere ben presente il dramma che provoca la presa di posizione di Creonte per capire l’ingiustizia di quella legge: morte di una fanciulla colpevole solo di aver coperto di terra il fratello; suicidio del figlio Emone; suicidio della moglie Euridice; cancellazione (tardiva) della norma scritta da se stesso che dimostra la mancanza di giustizia inscritta in quei comandi. Che si deve dire di più? Dov’è la pretesa ragione di Creonte?
Creonte si è sempre dimostrato un uomo infido come quando, nell’Edipo tiranno di Sofocle, tornato dal responso delfico, getta fango su Edipo colpevole di aver ammazzato, senza saperlo, il padre. Un padre tanto ‘buono e giusto’ che alla nascita del figlio non trova meglio da fare che darlo in pasto alle belve del monte Citerone; e quando lo incontra a trivio da adulto tenta di ferirlo al viso e agli occhi con lo staffile appuntito.
Creonte è anche colui che, con la complicità di Eteocle, – un altro galantuomo – vuole a tutti i costi avvelenare le ultime ore di vita di Edipo trascinandolo con la forza a Tebe perché ne diventi, da morto, il nume tutelare: Edipo a Colono.
Per assurdo: cosa sarebbe successo se invece Polinice fosse stato lasciato alla pietas della sorella: non sarebbe successa nessuna tragedia. Persino Achille restituisce il cadavere di Ettore al padre. Avrà dunque un senso l’etica che propone Omero … o no?
Ma tra i miti appartenenti alla tradizione orale, e poi inscritti da Omero nell’Iliade, e la tragedia di Sofocle, che attinge ad un mito arcaico, sono passati almeno ottocento anni. ‘Grazie’ alla filosofia, (sempre pronta legittimare il potere qualunque esso sia) le leggi dello stato sono mutate radicalmente ed inesorabilmente, come racconta magistralmente Mario Vegetti nel suo Etica degli antichi.
L’etica della comunità, e le norme che da lei provengono, sono già mutate tra l’Iliade e l’Odissea: in quest’ultima non c’è più Achille, il guerriero guidato dalla “rovinosa ira”, che non ha nessun filtro tra pensiero ed atto; al suo posto c’è Odisseo “l’uomo dal multiforme ingegno’ , il furbo che nasconde la propria intenzionalità omicida; l’uomo della ragione e del potere che lascia Calipso “colei che nasconde”, che gli avrebbe donato l’”immortalità” di un amore infinito, per tornare a regnare, dopo aver fatto strage degli antagonisti e delle ancelle colluse, su Itaca.
Galli, parlando dell’Antigone sofoclea, palesa una ‘neutralità’ super partes , ma in realtà stronca sul nascere le intuizioni che, guarda caso, vengono sempre dalle ragazze:
Terza studentessa:
«Però vorrei ricordare che nella tragedia di Sofocle il pensiero di Antigone e la coscienza morale di Antigone in fondo è la stessa della città. Allora, in quel caso, non è che la legge non viene incontro alla comunità, ma va contro la comunità?»
Galli:
«Certamente, se Antigone è da interpretarsi come propone lei»
Ma come « se Antigone è da interpretarsi come propone lei»? e che altro modo la vuole interpretare? Il fatto è che l’Antigone innanzitutto bisogna leggerla … magari attentamente.
Eppure deve averla letta e in qualche modo pensata:
Galli:
Creonte dice «Io non posso tollerare che la città si comporti allo stesso modo verso l’amico e verso il nemico. Io sono la città e Vi dico che non posso comportarmi allo stesso modo verso chi difende la città e verso chi la aggredisce».
Ecco, senza saperlo Galli ci offre la chiave per capire la lucida pazzia di Creonte: «Io sono la città ». Anche Berlusconi ha pensato, e probabilmente continua a pensare, che l’Italia sia ‘roba sua’. E per rendere congrua la propria paranoia ha fatto leggi che la legittimano.
Solo che Creonte, come ho scritto poc’anzi, troppo tardivamente, si sveglia dal coma di onnipotenza e cerca di porre rimedio all’ingiusta legge da lui stesso emanata. Berlusconi ancora no.
Ma Galli non è l’unico intellettuale a ‘vedere’ Antigone come un mostro «L’infelice Antigone lo sa, lo sa da sempre, data appunto la sua origine mostruosa». Ha ottimi camerati proni alla ragione di stato, (che è quasi sempre la ragione del più forte) e che come lui confondono l’eroismo con il martirio:
Galli:
«…perché Antigone non è un’eroina come siamo abituati a pensare noi alle eroine. Non è Giovanna d’Arco. C’è un lato oscuro di Antigone. Il lato oscuro, torno a dire, è che Antigone è la voce del sangue, la voce del legame, non di libertà, quale può e deve essere dato dalla politica. Ma è la voce di un legame cieco, un legame assoluto, un legame che non ci siamo scelti, dentro il quale nasciamo, al quale, secondo Antigone, dobbiamo assoluta obbedienza: il legame del sangue, che, per lei in quel momento, trovava la propria figura più forte, più convincente, nel fratello, perché, data la sua nascita, poveretta, Voi capite che l’unica persona con cui aveva un rapporto non tale da renderla folle, da spaccarle l’identità, anzi dal rafforzare la sua identità, l’unico rapporto era quello col fratello».
Beh … Galli mi scuserà ma qui siamo al delirio, inteso come perdita di rapporto con la realtà dell’oggetto.
Uno: Antigone è un mito e non un fatto storico agiografato come Giovanna d’arco.
Due: Antigone è una persona sana di mente con una forte identità umana e non una che sente le voci – sintomo di schizofrenia – come Giovanna d’Arco.
Tre: quale sarebbe il suo “lato oscuro” ? La ribellione a leggi inumane?
Quattro: cosa intende Galli per legge del sangue? Sembra che per lui sia qualcosa inscritto nei geni; una specie di peccato originale genetico «…la voce di un legame cieco, un legame assoluto, un legame che non ci siamo scelti, dentro il quale nasciamo, ».
Certamente è vero che Antigone invoca un legame parentale:
Ismene: «Vuoi seppellirlo? Anche se è proibito?»
Antigone: «È mio fratello, è anche tuo fratello. Se tu ti opponi non sarò io a tradirlo»
Sofocle, Antigone
Questo vincolo lo si può anche chiamare “legame di sangue” se questo fa piacere a qualche ermeneuta, ma che significa per la ragazza di Tebe se non un vincolo affettivo al quale non può venir meno anche se una legge orrenda glielo vieta?
E sappiamo dove si va a finire quando ideologicamente questi ‘legami di sangue’ vengono infranti in nome dello Stato, quando bambini e adolescenti vengono indottrinati a tal punto di denunciare i genitori per scarsa adesione ideologica: nazismo, fascismo, stalinismo, totalitarismo.
Invece per Galli la ribellione di Antigone non è altro che: «la voce di un legame cieco». C’è da inorridire.
«Antigone si batte in nome di un comandamento morale, in nome di quelle “leggi non scritte” che le impongono di seppellire il fratello per onorare la pietas verso i morti. Creonte difende un principio giuridico con l’ostinazione di chi ritiene che nessuna legge morale possa elevarsi al di sopra della legge dello stato.»
Maria Grazia Ciani – Introduzione a Antigone, variazioni sul mito.
Non si possono mettere sullo stesso piano le istanze umane di Antigone con questa “ostinazione” di Creonte che è puro nazismo. E queste interpretazioni se non sono deliranti sono perlomeno singolari.
Come scrive Cesare Molinari nel suo Storia di Antigone l’eroina tebana è strettamente legata, non al sangue come insiste nel dire Galli, ma al culto delle divinità materne e ctonie ovvero al mondo degli affetti. Gli dei inferi per il pensiero arcaico sono le divinità interne: affetti, pulsioni, desiderio. (Sembra che Galli non riesca a capire il significato di sangue. Ne parla come se fosse un mero elemento fisiologico e perciò senza nessuna dignità umana).
Come dicevo Galli non è l’unico ad interpretare Antigone in questo modo. Vi sono altri blasonati alfieri della ragione di stato teutonica come Goethe che liquida il mito trovando nella tragedia “lo scontro tra due passioni” o come Hegel che vede nel dramma sofocleo “l’impossibilità di mediazione tra due opposti principi: la naturalità della famiglia e l’autorità della stato”.
Ma di cosa stiamo parlando? Non stiamo parlando di un giovane uomo lasciato ai cani? Non stiamo parlando di una adolescente condannata a morte solo per aver cercato di sotterrare suo fratello? E da quando in qua un pensiero iniquo nel momento in qui diviene legge deve essere rispettato?
Mi domando cosa ci sia sotto tutta questa cultura che snaturando il mito, cerca in tutti i modi di condannare gli esseri umani (come quelle studentesse che interrogano Galli) a snaturare il proprio sentire interno in nome … udite … udite “di una sintesi superiore”.
Altri arrivano ad espropriare Antigone della propria femminilità. Io credo di più a ciò che ha scritto Anouilh:
«Si lo amo. Amo un ragazzo puro intransigente e fedele. Ma se, quella che voi chiamate vita, quella che voi chiamate felicità, dovesse passare su di lui e spegnerlo… se non dovesse più impallidire quando io impallidisco , se non dovesse credermi morta quando ritardo cinque minuti, se non dovesse più sentirsi abbandonato e detestarmi quando rido senza di lui, se dovesse imparare anche lui a dire sempre si… allora non amo più quel ragazzo. …» Antigone – Anouilh
E allora mi viene da pensare che la mostruosità di Antigone di cui parla Galli «L’infelice Antigone lo sa, lo sa da sempre, data appunto la sua origine mostruosa» forse è la vitalità che permette agli esseri umani di ribellarsi a queste credenze che astrattamente dicono: “fuori delle leggi dello stato c’è solola barbarie” senza dire a quali leggi dello stato ci si riferisce.
Forse si dimenticano che sono stati i ribelli che nel ‘43 hanno scelto di fare la Resistenza, rivoltandosi a leggi disumane, coloro che hanno poi scritto la nostra costituzione.
–
Questa nostra cultura dominante, sempre inginocchiata davanti alla cosiddette autorità culturali che umanamente erano una vera schifezza (e da questa loro disumanità hanno tratto le loro edificanti idee sulla natura umana) sembra non in grado di interpretare i contenuti affettivi del mito e si rifugia, ‘saggiamente’, nella neutralità del non essere.
A loro ha già risposto Antigone attraverso le parole che Anouilh ha scritto per lei alle soglie della seconda guerra mondiale:
Creonte – perché alla fine di tutto, credimi, la felicità non è altro che la vita stessa
Antigone – Tra sé : la felicità…
Creonte – Una parola imbarazzante vero?
Antigone – Quale sarà la mia felicità? Cosa dovrò fare per strapparne anch’io un pezzetto con i denti? Me lo sapete dire? Potete aiutarmi? A chi dovrò sorridere, a chi mentire, a chi vendermi? Chi dovrò lasciar morire girando la faccia dall’altra parte per avere anch’io il mio bocconcino di felicità?
Creonte – Stai zitta!
Antigone – Tu sai che ho ragione, te lo leggo negli occhi. Ma come potrai ammetterlo in questo momento…! Sei troppo occupato a difendere la tua felicità come un osso.
Creonte – la tua e la mia, piccola imbecille
Antigone – Mi disgustate tutti con la vostra felicità! Siete come i cani che leccano tutto quello che trovano per la strada. Io non sono così modesta, io voglio tutto e subito! E che sia bello come quando ero bambina…altrimenti preferisco morire.
(…)
Antigone (a Creonte)- Si, lo so voi non riuscite più a capirmi. Vi parlo da troppo lontano ormai, vi parlo da un luogo dove non vi è più permesso entrare con le vostre rughe , con la vostra ragione, la vostra pancia. Potete solo restarvene fuori seduto sulla porta come un mendicante, a sgranocchiare quella pagnotta dura che voi dite essere vita.