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    Aleksandra Kollontaj

    Largo all’eros alato!

    Lettera alla gioventù lavoratrice

    Largo all’eros alato! Lettera alla gioventù lavoratrice

    L’AMORE COME FATTORE PSICO-SOCIALE

    Mio giovane compagno, mi chiedete quale sia il ruolo che l’ideologia proletaria assegna all’«amore». Quel che vi turba è che la gioventù lavoratrice sia attualmente «più occupata dall’amore e da tutte le questioni connesse» che dai grandi compiti con i quali la repubblica dei lavoratori deve misurarsi. Se le cose stanno così (da lontano mi è difficile giudicare), cerchiamo una spiegazione a questo fenomeno e ci riuscirà più facile trovare insieme una risposta alla prima domanda: qual è il posto occupato dall’amore nell’ideologia della classe operaia?

    È fuor di dubbio che la Russia sovietica è entrata in una nuova fase della guerra civile: il fronte rivoluzionario si è spostato sul terreno della lotta tra due ideologie, tra due culture: quella borghese e quella proletaria. L’incompatibilità tra le due ideologie è sempre più evidente, il contrasto tra le due culture contrapposte è sempre più aspro.

    Con la vittoria dei principi e degli ideali comunisti in campo politico ed economico, è indispensabile che si compia una rivoluzione nella concezione del mondo, nei sentimenti, nella struttura spirituale dell’umanità lavoratrice. Sin da ora possiamo notare il formarsi di un nuovo atteggiamento verso la vita, la società, il lavoro, l’arte, le « regole di «vita» (in altre parole, la morale). Di queste regole di vita le relazioni tra i sessi sono parte integrante. La rivoluzione sul fronte dello spirito corona la grande svolta provocata nella mentalità degli uomini da cinque anni di repubblica dei lavoratori. Ma più la lotta tra le due ideologie si fa intensa, più il campo che essa abbraccia è vasto, e più gli «enigmi della vita», di giorno in giorno più numerosi, si ergono inevitabilmente di fronte all’umanità; ad essi solo l’ideologia della classe operaia è in grado di dare una risposta soddisfacente.

    Fra questi problemi figura la questione da voi sollevata: l’«enigma dell’amore», o in altre parole la questione delle relazioni tra i sessi, problema antico quanto la stessa umanità. Nelle differenti tappe del suo sviluppo storico, l’umanità ha tentato di risolvere la questione in diversi modi. Le chiavi cambiano, ma l’«enigma» rimane tale. Esse dipendono dall’epoca, dalla classe, dallo «spirito del tempo» (la cultura).

    In Russia, durante gli anni della guerra civile e della lotta sull’orlo del baratro, poca gente si appassionava a quest’enigma. L’umanità lavoratrice era preda di altri sentimenti, di altre prove e passioni più attuali. In quei momenti chi si preoccupava seriamente dei dolori e dei tormenti dell’amore, mentre la morte cieca era in agguato dietro ogni uomo? Mentre la sola questione era questa: chi vincerà? La rivoluzione, cioè il progresso, o la controrivoluzione, cioè la reazione? Di fronte al terribile volto della sollevazione controrivoluzionaria, il dolce Eros alato (dio dell’amore) è dovuto timorosamente scomparire dalla superficie della vita. Mancavano tempo e forze morali superflue da poter essere consacrate «alle gioie e ai tormenti» dell’amore. Così vuole la legge di conservazione dell’energia morale e sociale dell’umanità. Globalmente, quest’energia è sempre incanalata verso lo scopo principale, immediato, in un dato momento storico. Per un certo periodo, tutto è parso dominato dalla semplice voce della natura: l’istinto biologico di riproduzione, l’attrazione dei sessi opposti.

    L’uomo e la donna si univano e si lasciavano senza complicazioni, molto più agevolmente, molto più facilmente di prima. Si univano senza grandi turbamenti interiori e si separavano senza lacrime né dolore.

    “L’amore fu senza gioia, la separazione sarà senza pena”.

    La prostituzione, questo è vero, era scomparsa, ma si assisteva alla evidente moltiplicazione di rapporti sessuali liberi, senza reciproci obblighi, il cui motore era l’istinto di riproduzione allo stato puro, senza l’ornamento delle emozioni amorose. Alcuni ne sono stati spaventati. Ma, di fatto, in quegli anni le relazioni tra i sessi non potevano prendere altra forma. O l’unione si manteneva, sulla base di un sentimento di cameratismo a tutta prova, di una lunga amicizia ancor più rafforzata dalla gravità del momento, oppure si creava occasionalmente, in mezzo ad altre preoccupazioni, per il soddisfacimento di un puro istinto biologico; e i due compagni si affrettavano a sbarazzarsene per non esserne intralciati nello svolgimento della loro principale ed essenziale attività, la rivoluzione.

    L’istinto di riproduzione allo stato puro, che sorge facilmente ma passa con rapidità, quest’attrazione sessuale senza radici spirituali e morali, questo «Eros senz’ali», assorbe molte meno energie individuali che non l’esigente Eros alato, l’amore che è intessuto di una sottile trama di svariatissime emozioni d’ordine spirituale e morale. L’Eros senz’ali non procura notti insonni, non fiacca la volontà, non confonde la fredda attività dell’intelletto. Nell’ora in cui risuonava per l’umanità lavoratrice l’appello incessante della campana a martello della rivoluzione, la classe dei combattenti non aveva il diritto di abbandonarsi all’Eros alato. In quei momenti era inopportuno, per i membri della collettività in lotta, utilizzare le proprie forze spirituali per esperienze marginali, senza diretta utilità per la causa della rivoluzione. L’amore individuale, fondato sulla «coppia», teso verso un solo essere, esige un enorme dispendio di energie spirituali. Ora, la classe operaia, che costituisce la vita nuova, aveva interesse non solo a risparmiare parsimoniosamente i propri mezzi materiali, ma anche a fare economia dell’energia spirituale e morale di ciascuno in vista dei compiti comuni della collettività. Ecco perché, in questo periodo di intensa lotta rivoluzionaria, l’impegnativo Eros alato aveva spontaneamente ceduto il posto al meno esigente istinto riproduttivo, l’Eros senz’ali.

    Ma oggi il quadro è mutato. La repubblica dei soviet, con essa tutta l’umanità lavoratrice, entra in un relativo e provvisorio periodo di calma. Si assiste all’inizio di un complesso lavoro di presa di coscienza e di messa in opera di tutto ciò che è stato conquistato, ottenuto, creato. Edificatore di nuove forme di vita, il proletariato deve saper trarre insegnamento da ogni fenomeno sociale e spirituale, comprendere ogni fenomeno, prenderne coscienza e assumerne il controllo, farne una delle armi della propria autodifesa di classe. Solamente quando avrà compreso non solo le leggi di produzione dei beni materiali, ma anche quelle che reggono il movimento spirituale, il proletariato si troverà armato sino ai denti di fronte al mondo decrepito della borghesia. Solamente allora l’umanità lavoratrice potrà affermarsi vittoriosa non solo in campo militare e lavorativo, ma anche sul fronte della cultura.

    Ora che in Russia il movimento rivoluzionario ha vinto e si è consolidato, ora che l’uomo non è più interamente assorbito dall’atmosfera del combattimento rivoluzionario, il tenero Eros alato, relegato provvisoriamente fra gli accessori, ricomincia a far valere i suoi diritti.

    Incontestabilmente, nella vita attuale della repubblica dei soviet si manifesta un progresso dei bisogni spirituali e morali, un’aspirazione alla conoscenza, un’attrazione verso le questioni scientifiche, l’arte, il teatro. Questa svolta mirante alla messa in opera, nel quadro della repubblica sovietica, delle ricchezze spirituali dell’umanità, coinvolge inevitabilmente la sfera delle emozioni d’amore. Vi è un accresciuto interesse per la psicologia sessuale, per l’enigma dell’amore. In misura più o meno grande, questo aspetto della vita tocca ormai ognuno di noi. Si notano con stupore fra le mani di lavoratori responsabili, che in questi ultimi anni non leggevano che editoriali della “Pravda”, protocolli e resoconti, dei libretti in cui si canta l’Eros alato…

    Che cos’è? È forse reazione? Un sintomo di decadimento dell’opera rivoluzionaria? Niente di simile. È tempo di disfarsi dell’ipocrisia del pensiero borghese. È tempo di confessare con franchezza che l’amore è non soltanto un fattore imperioso della natura, una forza biologica, ma è anche un fattore sociale. L’amore è un’emozione profondamente sociale nella sua essenza. In tutti gli stadi della evoluzione dell’umanità (sotto forme e aspetti diversi certo), l’amore è apparso come parte integrante della cultura spirituale della società. La borghesia stessa, che parlava dell’amore come di un «affare privato», salvava di fatto le sue norme morali per incanalare l’amore nella direzione che meglio serviva i suoi interessi di classe. A maggior ragione l’ideologia della classe operaia deve tener conto dell’importanza dell’emozione d’amore in quanto fattore che può essere utilizzato (al pari di qualsiasi altro fenomeno psico-sociologico) per il bene della collettività. Che l’amore non sia affatto un fenomeno «privato», una semplice storia tra due «cuori» che si amano, che racchiuda in sé un “principio di coesione” prezioso per la collettività è dimostrato dal fatto che l’umanità, in tutte le tappe del suo sviluppo storico, ha dettato delle norme per determinare «come» e «quando» l’amore doveva considerarsi «legittimo» (rispondente cioè agli interessi della collettività del momento), e quando invece doveva considerarsi «colpevole», criminale (cioè in conflitto con gli obiettivi posti dalla società).

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    RIFERIMENTI STORICI

    Fin dai primissimi stadi della sua esistenza sociale, l’umanità ha posto delle regole non solo ai rapporti tra i sessi, ma anche all’amore.

    Nella società di clan, la morale ergeva a suprema virtù l’amore determinato dai vincoli del sangue. In quell’epoca, la famiglia ed il clan avrebbero disapprovato la donna che si fosse sacrificata per l’uomo amato, ma consideravano virtù i sentimenti di attaccamento tra sorelle e fratelli. Secondo gli antichi greci Antigone, rischiando la propria vita, fa sotterrare i corpi dei suoi fratelli; ciò fa di lei un’eroina agli occhi dei suoi contemporanei. La società borghese odierna non vedrebbe in questo atto di una sorella (non di una sposa) che una mera «curiosità».

    Nell’epoca in cui dominava il principio tribale e in cui si formavano i primi embrioni d’una struttura politica, l’amicizia tra due appartenenti alla stessa tribù era la forma d’amore che maggiormente veniva tenuta in considerazione. In quei secoli era estremamente importante, per una collettività sociale e debole, che usciva appena dallo stadio delle relazioni elementari di parentela, trovare dei legami di ordine spirituale e morale per unire saldamente i propri membri. Il sentimento che meglio conveniva a questo scopo era l’amore- amicizia, non l’amore tra i sessi. In quel tempo, gli interessi della collettività erano il rafforzamento e la moltiplicazione, in seno all’umanità, non dei legami spirituali e morali tra sposi, bensì di quelli che univano i membri della tribù, organizzatori e difensori della tribù e della “polis” (tra uomini, beninteso: non ci si preoccupava in alcun modo dell’amicizia tra donne, poiché la donna non contava come fattore della vita sociale). L’amore «tra amici» era celebrato molto più dell’amore coniugale. La gloria di Castore e Polluce non era tanto dovuta alle loro imprese in favore della patria, quanto alla loro fedeltà reciproca e alla loro incrollabile amicizia. L’«amicizia» (o la sua apparenza) obbligava lo sposo che amava sua moglie a cedere il suo posto nel letto matrimoniale all’amico preferito o all’ospite con il quale doveva allacciare dei rapporti d’«amicizia».

    Nel mondo antico, l’amicizia, la «fedeltà all’amico sino alla morte», si trovavano nel novero delle virtù civiche. L’amore, nel senso odierno del termine, non aveva nessun ruolo e non attirava praticamente l’attenzione né dei poeti né dei drammaturghi dell’epoca. L’ideologia dominante di allora relegava l’amore nel rango delle emozioni strettamente individuali, con le quali la società non aveva nulla a che fare; in quanto ai matrimoni, essi erano fondati sulla ragione, non sull’amore. L’amore veniva posto accanto agli altri divertimenti; era un lusso che poteva permettersi unicamente il cittadino che aveva adempiuto a tutti i suoi obblighi nei confronti della “polis”. Nel mondo antico, il «saper amare», qualità preziosa agli occhi dell’ideologia borghese unicamente nella misura in cui l’amore non esce dai confini della cultura borghese, non veniva preso in considerazione quando si definivano le «virtù» e le qualità dell’uomo. Solo il sentimento di amicizia veniva apprezzato. L’uomo che compiva delle imprese e rischiava la propria vita per un amico era considerato come un eroe e la sua condotta veniva annoverata tra le «virtù morali». Al contrario, l’uomo che rischiava la propria vita per la donna che amava non si attirava che riprovazione e, talvolta, disprezzo. Le leggende parlano dell’amore di Paride per la bella Elena, che aveva causato la guerra di Troia, come di un errore, la cui conseguenza era stata una «sciagura» universale.

    Contrariamente a quanto faceva il feudalesimo, la morale dell’antichità non citava nemmeno come esempio degno d’imitazione l’amore che ispirava grandi imprese. Solamente nell’amicizia il mondo antico vedeva un insieme di emozioni, di sentimenti suscettibili di cementare i vincoli spirituali tra i membri della tribù e di consolidare un organismo sociale ancora debole. Al contrario, negli stadi ulteriori dello sviluppo della cultura l’amicizia cesserà di essere considerata come una virtù morale. Nella società borghese, fondata sull’individualismo, su una concorrenza ed una competizione esasperate, l’amicizia, come fattore morale, non trova posto.

    Il secolo del capitalismo considera l’amicizia come una manifestazione di «sentimentalismo», come una debolezza d’animo assolutamente inutile, e perfino nociva, rispetto agli obiettivi di classe della borghesia. L’amicizia diviene oggetto di scherno. Nella New York di oggi, o a Londra, Castore e Polluce non si attirerebbero altro che un sorrisetto sdegnoso. Neppure la società feudale considerava l’amicizia come una qualità da coltivare e incoraggiare negli individui.

    La dominazione feudale teneva ad una stretta osservanza degli interessi della famiglia nobile, della stirpe. Ciò che definiva allora le virtù non erano tanto le relazioni reciproche dei membri della società, quanto i doveri di un appartenente alla stirpe nei confronti di questa e delle sue tradizioni. Il matrimonio era interamente determinato dagli interessi della famiglia, e il giovane (la giovanetta non possedeva alcun libero arbitrio) che sceglieva la propria moglie a dispetto di questi interessi si esponeva ad una severa condanna. All’epoca del feudalesimo non era ammesso porre un sentimento o un’ inclinazione di ordine personale al di sopra degli interessi della famiglia: una simile azione veniva considerata «peccato». Secondo i concetti della società feudale, amore e matrimonio potevano benissimo non coincidere.

    Tuttavia, nell’epoca feudale il sentimento d’amore tra i sessi non era affatto relegato in secondo piano; al contrario, fu allora che esso ottenne, per la prima volta nella storia dell’umanità, un certo qual diritto di cittadinanza. A prima vista può sembrare strano che l’amore sia stato ammesso in quanto tale in un’epoca di severo ascetismo, di costumi rudi e brutali, in un’età in cui regnavano la violenza ed il diritto del più forte. Ma se si considerano più da vicino le cause che hanno determinato il riconoscimento dell’amore in quanto fenomeno socialmente legittimo, e persino auspicabile, allora si può vedere chiaramente ciò che ha generato questo riconoscimento.

    L’amore, in certi casi ed in circostanze determinate, può essere un motore suscettibile di spingere l’uomo innamorato a compiere una serie di imprese di cui sarebbe stato incapace in una condizione morale meno elevata, meno esaltata. Del resto la cavalleria esigeva da ciascuno dei suoi membri altissime qualità personali in campo bellico: coraggio, stoicismo, valore, eccetera. Non era tanto l’organizzazione dell’esercito che decideva allora delle sorti di una battaglia, quanto le qualità individuali dei contendenti. Innamorato di una «dama del cuore» inaccessibile, il cavaliere compiva più facilmente «miracoli d’ardimento», si lanciava volentieri nei duelli, offriva in olocausto la propria vita alla sua bella. Il cavaliere innamorato era animato dal desiderio di «distinguersi», in modo da attirare su di sé i favori della donna amata.

    L’ideologia cavalleresca prese in considerazione questo fenomeno: riconoscendo nell’amore uno stato psichico molto utile agli scopi della classe feudale, essa mantenne nondimeno il sentimento stesso entro limiti ben definiti. In quei tempi, l’amore coniugale non era né stimato né cantato, e la coesione delle famiglie che vivevano nei castelli feudali o nelle fortezze dei boiardi russi non era certo dovuta a questo sentimento. L’amore era preso in considerazione, come fattore sociale, unicamente quando si trattava di un cavaliere innamorato della “donna di un altro”, il che lo obbligava ad andare a battersi o a compiere nobili gesta. Più la donna era inaccessibile, più il cavaliere doveva impegnarsi per ottenerne i favori, e più era spinto di conseguenza a sviluppare in sé le qualità e le virtù apprezzate dalla sua casta (ardimento, resistenza fisica, perseveranza, coraggio, eccetera).

    Abitualmente, ogni cavaliere sceglieva come «dama del cuore» proprio la donna meno accessibile: la sposa del suo sovrano e, non di rado, la regina. Solo un simile «amore platonico», senza appagamento carnale, spingendo il cavaliere verso gesta eroiche, obbligandolo a compiere miracoli d’ardimento, era ritenuto degno di imitazione e considerato come una «virtù». I cavalieri non sceglievano quasi mai, come idolo da adorare, una giovinetta. Per quanto di rango elevato, nella scala della feudalità, potesse essere una giovinetta rispetto ad un cavaliere, l’amore che questi nutriva per lei non poteva che condurre al matrimonio, con il quale spariva inevitabilmente il movente psicologico che spingeva il cavaliere a compiere le imprese.

    Ma ciò non era ammesso dalla morale feudale: di qui la coesistenza di un ideale di ascetismo (continenza sessuale) con l’elevazione dell’amore al rango di virtù morale. Nello zelo impiegato per purificare l’amore da ogni aspetto carnale, da ogni «peccato», per trasformarlo in sentimento astratto, completamente avulso dalla sua base biologica, i cavalieri giungevano alle più mostruose aberrazioni: sceglievano come «dama del cuore» una donna che non avevano mai visto; fra le amate c’era perfino la «Vergine Maria, madre di Dio»… non si poteva certo andare più lontano. L’ideologia feudale vedeva innanzitutto nell’amore uno stimolante che rafforzava le qualità indispensabili ad ogni cavaliere; «l’amore platonico», l’adorazione di un cavaliere per la dama dei suoi pensieri servivano gli interessi dell’ordine della cavalleria: ecco ciò che determinava il punto di vista sull’amore nell’epoca dello sviluppo del feudalesimo. Un cavaliere che non avrebbe sentito alcuno scrupolo nel rinchiudere sua moglie in un convento, o anche nel farla andare al supplizio per tradimento carnale, per «adulterio», si sentiva molto onorato che un altro cavaliere l’avesse eletta a «dama del cuore»; egli non avrebbe mai impedito alla sua sposa di procurarsi degli «amici del cuore», dei «cavalieri serventi». Ma, pur esaltando e celebrando l’amore platonico, la morale cavalleresca non esigeva affatto che l’amore regnasse nel matrimonio o in un altro tipo di unione tra i sessi. L’amore era una cosa, il matrimonio un’altra.

    L’ideologia feudale distingueva nettamente queste due nozioni. Solo più tardi, nei secoli quattordicesimo e quindicesimo, la morale della borghesia in fase ascendente riunificò queste nozioni. Ecco perché, nel medioevo, accanto ad un’alta raffinatezza delle emozioni d’amore, si incontra una inimmaginabile rozzezza dei costumi nei rapporti tra i sessi. L’accoppiamento sessuale, fuori dal matrimonio così come nell’unione più legittima, privato della gentilezza e della spiritualità dell’amore, era divenuto un atto di ordine soltanto fisiologico.

    Apparentemente, ipocritamente, la Chiesa tuonava contro la dissolutezza, ma incoraggiando a parole l’«amore platonico» favoriva di fatto relazioni sessuali animalesche. Lo stesso cavaliere che non abbandonava mai l’emblema della donna dei suoi pensieri, che componeva in suo onore i versi più dolci, che rischiava la vita al solo fine di ottenere da lei un sorriso, violentava tranquillamente le giovani borghesi, o ordinava al suo intendente di portare con la forza al castello le più graziose figlie di contadini per il suo piacere. Da parte loro, le spose dei cavalieri non disdegnavano le occasioni per gustare, all’insaputa del marito, le gioie dell’amore con paggi o menestrelli, non rifiutando le loro carezze neppure ad un domestico piacente, malgrado tutto il disprezzo che poteva nutrire una dama medievale per la «plebaglia».

    Con il declino del feudalesimo e l’apparire delle nuove condizioni di vita dettate dagli interessi della borghesia nascente, si osserva la graduale formazione di un nuovo ideale morale nelle relazioni sessuali. Rigettando l’ideale dell’«amore platonico», la borghesia assume la difesa dei diritti del corpo fino ad allora scherniti, e introduce nella stessa nozione di amore l’unione, l’esistenza simultanea del principio fisico e del principio spirituale. Secondo la morale borghese, amore e matrimonio non devono assolutamente venir disgiunti, così come faceva la cavalleria: al contrario, il matrimonio deve essere determinato dall’inclinazione reciproca dei futuri sposi. In pratica, naturalmente, «per interesse», la borghesia stessa violava molto spesso questo imperativo morale, ma il riconoscimento dell’amore in quanto base del matrimonio aveva profonde radici di classe.

    Sotto il regime feudale, i vincoli familiari erano suggellati con autorità dalle tradizioni del casato, del clan. Il matrimonio era di fatto indissolubile: sulla coppia sposata pesavano i comandamenti della Chiesa, l’autorità senza limiti del capofamiglia, la potenza delle tradizioni, la volontà del sovrano.

    Le condizioni di formazione della famiglia borghese erano tutt’altra cosa; questa aveva per base non il possesso in comune delle ricchezze della stirpe, bensì l’accumulazione del capitale. La famiglia era allora la custode vivente dei beni: ma affinché si accelerasse l’accumulazione, importava alla classe borghese che i beni acquisiti dal padre e dal marito fossero spesi con «economia», con intelligenza e calcolo: in altri termini, che la donna fosse non solo una «buona casalinga», ma la reale collaboratrice e amica del suo sposo.

    Con l’instaurazione dei rapporti capitalistici e con l’insediamento della società borghese, la sola famiglia solida poteva essere quella in cui, accanto alla buona amministrazione economica, esistesse una cooperazione di tutti i componenti della famiglia interessati all’atto di accumulazione delle ricchezze. Ma questa cooperazione era realizzata tanto più pienamente quanto più i vincoli, affettivi e spirituali, erano numerosi tra gli sposi, così come tra i figli e i loro genitori.

    Il nuovo modo di vita economico di quest’epoca, che comincia tra la fine del quattordicesimo secolo e l’alba del quindicesimo, genera una nuova ideologia. Le nozioni di amore e di matrimonio si modificano a poco a poco. Il riformatore Lutero e tutti i pensatori e uomini d’azione del Rinascimento e della Riforma (quindicesimo e sedicesimo secolo) hanno saputo perfettamente cogliere e valutare la forza sociale che il sentimento d’amore racchiudeva in sé. Coscienti che per consolidare la famiglia (l’unità economica che forma la base della società borghese) occorreva una stretta intesa tra tutti i suoi membri, gli ideologi rivoluzionari della borghesia in ascesa produssero un nuovo ideale morale dell’amore: l’amore che unisce in sé due principi, l’uno carnale, l’altro morale. Combattendo il celibato dei preti, i riformatori di quell’epoca irridevano senza pietà all’«amore platonico» dei cavalieri, che costringeva il cavaliere innamorato a nutrire continue aspirazioni d’amore, senza speranza alcuna di soddisfare i suoi desideri carnali. Gli ideologi della borghesia, i riformatori, riconoscevano la legittimità dei normali bisogni del corpo. Il mondo feudale divideva l’amore in mero atto sessuale da un lato (nel matrimonio o con delle concubine) e in amore «nobile», platonico dall’altro (l’amore del cavaliere per la sua «dama del cuore»). L’ideale morale della borghesia includeva nel concetto di amore tanto la naturale attrazione tra i sessi quanto l’attaccamento tra i cuori. L’ideale feudale separava l’amore dal matrimonio: la borghesia li riuniva, rendendo amore e matrimonio concetti sinonimi. In pratica, evidentemente, la borghesia si distaccava molto spesso dal proprio ideale: ma mentre, durante il feudalesimo, i matrimoni venivano conclusi senza che fosse minimamente sollevata la questione della reciproca inclinazione, la morale borghese esigeva che anche nei casi di matrimonio per interesse gli sposi dessero ipocritamente l’impressione di amarsi realmente. Alcuni residui di tradizioni del feudalesimo sono giunti, attraverso i secoli, fino ai nostri giorni e sopravvivono in buona intesa con la morale borghese. In base a punti di vista feudali sul matrimonio e sull’amore si regolano ancor oggi i membri delle famiglie coronate e dell’alta borghesia che le circonda. In questo ambiente si considera «ridicolo» e malaccorto un matrimonio contratto per reciproca inclinazione. I giovani principi e principesse debbono sottomettersi ai doveri caduchi delle tradizioni familiari ed ai calcoli politici, e legare per sempre la loro esistenza a qualcuno che non amano. La storia conosce numerosi drammi simili a quello dello sfortunato figlio di Luigi Quindicesimo, che fu condotto all’altare in seconde nozze mentre le lacrime versate sulla sua defunta moglie, teneramente amata, non si erano ancora asciugate.

    Una simile subordinazione del matrimonio a considerazioni familiari ed economiche esiste presso i contadini. La famiglia contadina, diversamente da quella della borghesia industriale delle città, è innanzitutto un’unità di lavoro, di produzione economica. Gli interessi ed i calcoli economici uniscono così strettamente e così solidamente la famiglia contadina che i vincoli morali rivestono un ruolo secondario. Nelle famiglie artigiane del medioevo non si parlava d’amore nel concludere i matrimoni. Nel sistema artigianale, la famiglia era anche l’unità produttiva e la sua coesione era fondata sul lavoro. L’ideale dell’amore nel matrimonio comincia ad apparire in seno alla classe borghese unicamente quando la famiglia, a poco a poco, si trasforma da unità di produzione in unità di consumo, e nello stesso tempo si fa “custode” del capitale accumulato.

    Ma, pur difendendo i diritti di due «cuori innamorati» ad unirsi, anche a dispetto delle tradizioni familiari, pur irridendo all’«amore platonico» e all’ascetismo, e proclamando l’amore base del matrimonio, la morale borghese mantiene sempre l’amore in un ambito strettamente limitato. L’amore non è legittimo che in vista del matrimonio. Al di fuori del matrimonio legale, l’amore è immorale. Va da sé che questo ideale era dettato da considerazioni meramente economiche: la volontà di impedire la dispersione del capitale tra i figli naturali. Tutta la morale della borghesia era fondata su questa volontà: assicurare la concentrazione del capitale. L’ideale dell’amore era la coppia sposata, che indirizza congiuntamente le proprie energie all’accrescimento del benessere e della ricchezza della cellula familiare, isolata dalla società. Laddove gli interessi della famiglia e quelli della società divergevano, la morale borghese optava a favore della famiglia. (Per esempio: l’atteggiamento indulgente non della legge, ma appunto della morale borghese verso i disertori, il proscioglimento morale dell’azione che rovina i suoi soci per la propria famiglia, eccetera). Con l’utilitarismo che le è proprio, la borghesia si è arrangiata per trar profitto dall’amore, trasformando questo sentimento e quest’emozione in lievito per il matrimonio, in strumento per il consolidamento della famiglia.

    Beninteso, il sentimento d’amore non ha potuto trovare il suo posto nei limiti assegnatigli dall’ideologia borghese. Si è verificata la nascita, la riproduzione, la moltiplicazione dei «conflitti amorosi», che hanno trovato il loro riflesso in un nuovo genere letterario: il romanzo, forma artistica generata dalla classe borghese. L’amore usciva sempre dai limiti che gli imponeva lo stretto letto dei rapporti coniugali legittimi, per espandersi talvolta sotto forma di libere unioni, talaltra sotto forma di adulterio, condannato dalla morale borghese ma diffuso nella pratica.

    L’ ideale borghese dell’amore non risponde ai bisogni dello strato più numeroso della popolazione: la classe operaia. Non corrisponde nemmeno al modo di vita dell'”intellighentsija” lavoratrice. Da qui nasce, nei paesi a capitalismo altamente sviluppato, l’ interesse per i problemi del sesso e dell’amore, la ricerca della chiave che permetterebbe di risolvere questo vecchio e crudele enigma: come costruire i rapporti tra i sessi affinché, pur elevando il grado di felicità, non entrino in contraddizione con gli interessi della collettività?

    È una questione che si pone nuovamente, al giorno d’oggi, alla gioventù lavoratrice della Russia sovietica. Un rapido sguardo all’evoluzione dell’ideale delle relazioni amorose e coniugali vi aiuterà, mio giovane compagno, a comprendere che l’amore non è affatto un «affare individuale», come si potrebbe credere a prima vista. L’amore è un prezioso fattore psico-sociale sul quale l’umanità ha istintivamente posto l’accento, nell’interesse della collettività, lungo tutto l’arco della sua storia. Spetta all’umanità lavoratrice, munita del metodo scientifico del marxismo e grazie anche all’esperienza del passato, risolvere la questione: qual è il posto che l’umanità nuova deve riservare all’amore all’interno dei rapporti sociali? quale deve essere, di conseguenza, l’ideale d’amore corrispondente agli interessi della classe in lotta per la propria affermazione?

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    L’AMORE DA COMPAGNI

    La nuova società dei lavoratori, la società comunista, è fondata sul principio della solidarietà. Ma cos’è la solidarietà? Ma la “coscienza” non solo della comunanza degli interessi, ma anche dei vincoli spirituali e morali intessuti tra gli appartenenti al collettivo. Una struttura sociale edificata sulla solidarietà e la cooperazione esige dalla società un «potenziale d’amore» notevolmente sviluppato: in altre parole, che le persone siano capaci di provare dei sentimenti di autentica simpatia. Senza di che, la solidarietà non può essere durevole. Per questo l’ideologia proletaria tenta di far nascere e rafforzare in ciascun membro della classe operaia sentimenti di partecipazione alle sofferenze ed ai bisogni dei suoi compagni di classe, di comprensione delle altrui aspirazioni, di profonda coscienza dei suoi legami con gli altri appartenenti al collettivo. Ma tutti questi sentimenti di simpatia, di compassione, di rispetto, sgorgano da un’unica, comune sorgente: la facoltà di amare, non nel senso strettamente sessuale, ma nella larga accezione di questo termine.

    In quanto emozione (sentimento), l’amore costituisce un elemento di coesione, e quindi un elemento organizzatore. Che l’amore sia una grande forza di coesione, la borghesia ne è perfettamente cosciente, e ne tiene conto. Ecco perché l’ideologia borghese, allo scopo di consolidare la famiglia rese «l’amore coniugale» una virtù morale: agli occhi della borghesia, essere «un buon padre di famiglia» costituiva per l’uomo una grande e preziosa qualità.

    Il proletariato, da parte sua, non può non tener conto del ruolo psico-sociale che l’amore, in senso lato o nel campo dei rapporti sessuali, può e deve svolgere per il rafforzamento dei vincoli, non coniugali e familiari, ma riguardanti lo sviluppo della solidarietà collettiva.

    Qual è dunque l’ideale amoroso della classe operaia? Quali sono i sentimenti e le emozioni che l’ideologia proletaria pone alla base dei rapporti tra i sessi?

    Abbiamo già constatato, mio giovane compagno, che ogni epoca ha il suo ideale di amore, che ogni classe, nel proprio interesse, vuole introdurre nella nozione morale dell’amore i contenuti che le sono propri. Ogni fase culturale, portando con sé le più ricche emozioni umane nel campo spirituale e morale, ridipinge con i propri colori i toni delicati delle ali di Eros. Nelle varie fasi dello sviluppo economico e sociale, il contenuto della nozione di amore è mutato, certe sfumature delle emozioni presenti nel sentimento d’amore si sono accentuate, mentre altre diminuiscono d’intensità.

    Da semplice istinto biologico, l’istinto riproduttivo, proprio di tutti gli animali sessuati, superiori o inferiori che siano, l’amore, nel corso della plurimillenaria esistenza della società umana, è divenuto qualcosa di sempre più complesso che genera nuove emozioni spirituali e morali. Da fenomeno biologico, l’amore è divenuto un fattore psico-sociale.

    Sotto l’azione delle forze economiche e sociali, l’istinto biologico di riproduzione, che ha determinato i rapporti sessuali nei primi stadi dello sviluppo dell’umanità, ha subito due degenerazioni in direzioni diametralmente opposte. Da un lato, per uno scopo riproduttivo, sotto la spinta di rapporti socio-economici abnormi, e in particolare sotto il dominio del capitalismo, il normale istinto sessuale, la normale attrazione tra i sessi, sono degenerati in “malsana libidine”. L’atto sessuale si è trasformato in uno scopo a sé stante, in strumento per procurarsi un «godimento supplementare», in concupiscenza esacerbata da eccessi e perversioni, sotto la spinta di una artificiale esaltazione della carne. Se un uomo si lega ad una donna, non è più perché una sana inclinazione sessuale lo ha fortemente attratto verso quella donna in particolare; al contrario, senza provare ancora alcun bisogno sessuale, l’uomo “cerca” la donna la cui presenza risvegli in lui l’attrazione sessuale e gli permetta così di godere attraverso l’atto sessuale fine a se stesso. Su questo è costruita la prostituzione. Se la presenza della donna non provoca l’eccitazione attesa, quelli abituati agli eccessi sessuali faranno ricorso ad ogni sorta di perversioni.

    Si tratta di una deviazione dell’istinto biologico che è alla base dell’amore tra i sessi, verso una malsana concupiscenza che trascina quest’istinto ben lontano della sua primitiva fonte.

    D’altra parte, durante millenni di vita sociale e di cambiamenti culturali, l’attrazione fisica dei sessi si è arricchita di tutta una serie di emozioni spirituali e morali. Nella sua forma attuale, l’amore è uno stato d’animo estremamente complesso, che si è da molto tempo allontanato dalla sua primitiva fonte (l’istinto biologico di riproduzione) e spesso si trova perfino in netto contrasto con essa.

    L’amore è una sorta di conglomerato, un complesso insieme formato di passione, di amicizia, di tenerezza materna, di inclinazione amorosa, di comunanza di spirito, di pietà, di ammirazione, di abitudine e di molte altre sfumature sentimentali ed emotive. Di fronte ad una simile complessità è sempre più problematico stabilire un nesso diretto tra voce della natura, Eros senz’ali (l’attrazione fisica dei sessi), e Eros alato (l’attrazione carnale mista a emozioni spirituali e morali). L’amore-amicizia, nel quale non v’è alcuna componente fisica, l’amore spirituale per una causa o un’idea, l’amore impersonale per la collettività: tutti questi fenomeni sono la testimonianza di quanto il “sentimento d’amore” si sia distaccato dalla sua base biologica, di quanto si sia «spiritualizzato».

    Ma v’è di più. Si assiste spesso alla nascita, fra le diverse manifestazioni del sentimento d’amore, di una stridente contraddizione, dell’inizio di un conflitto. L’amore per una «causa che vi è cara» (quindi non semplicemente una causa, ma una causa che per l’appunto vi è «cara») trova difficilmente posto accanto all’amore che provate per l’eletto, o l’eletta, del vostro cuore; l’amore per la collettività deve lottare contro l’amore per il marito, la moglie, i figli. Un amore-amicizia è in contraddizione con un amore-passione simultaneo. In un caso domina l’armonia spirituale, nell’altro l’intesa carnale costituisce il fondamento dell’amore.

    L’amore è divenuto multiforme e multicorde. Ciò che l’uomo d’oggi, nel quale le fasi della cultura hanno sviluppato e accentuato nel corso di molti millenni diverse sfumature di amore, prova nel campo delle emozioni amorose non può essere racchiuso in un termine, «amore», troppo generico, e quindi inesatto.

    Sotto il dominio dell’ideologia borghese e del sistema di vita capitalistico-borghese, il carattere multiforme dell’amore genera una serie di drammi psicologici dolorosi ed irresolvibili. Dalla fine del diciannovesimo secolo, il carattere multiforme dell’amore è divenuto il tema prediletto degli scrittori psicologi. L’«amore a due», persino «a tre», ha molto interessato e turbato, a causa del suo «mistero», un buon numero di perspicaci rappresentanti della cultura borghese. Negli anni intorno al 1860, il nostro pensatore e pubblicista russo A. Herzen (Iskander), nel suo romanzo “Di chi la colpa?”, ha tentato già di mettere a nudo questa complessità dell’animo, questo sdoppiarsi del sentimento. Nel suo romanzo a sfondo sociale “Che fare?, Cernysevskij ha cercato anch’egli di trovare la soluzione del problema. I maggiori scrittori scandinavi (Hamsun, Ibsen, Bjomson, Heidenstam) si sono soffermati spesso su quest’ambiguità del sentimento, sui molteplici aspetti dell’amore. Gli scrittori francesi del secolo scorso vi sono egualmente tornati sopra più di una volta; è il caso sia di Romain Rolland, le cui idee sono prossime al comunismo, che di un autore lontano da noi come Maeterlinck. Geni poetici quali Goethe e Byron e audaci pionieri nel campo dei rapporti sessuali come George Sand hanno tentato di risolvere questo complesso problema, il «mistero dell’amore», nella pratica della loro vita; Herzen, autore del romanzo “Di chi la colpa?”, ne ha fatto una personale esperienza, così come numerosi altri grandi pensatori, poeti, uomini politici. Ancor oggi, il peso del «mistero dell’ambiguità dell’amore» grava sulle spalle di un buon numero di persone «semplici», che cercano vanamente la chiave della sua soluzione nell’ambito del pensiero borghese. Ma la chiave si trova nelle mani del proletariato. Solo l’ideologia ed il sistema di vita della nuova umanità lavoratrice possono risolvere questo complesso problema.

    Parliamo qui dell’ambiguità dell’amore, delle complicazioni di Eros alato, ma non bisogna confondere questa ambiguità con il caso di relazioni sessuali (Eros escluso) di un uomo con molte donne, o di una donna con molti uomini. La poligamia, nella quale il sentimento non riveste nessun ruolo, può comportare una serie di conseguenze sgradevoli, nocive (esaurimento prematuro dell’organismo, rischi accresciuti di malattie veneree, specie nelle condizioni abituali eccetera) ma simili relazioni, per quanto complicate, non creano «drammi interiori». I «drammi», i conflitti si manifestano quando coesistono diverse sfumature, diverse manifestazioni dell’amore. Una donna ama un certo uomo «dal fondo dell’anima», i loro pensieri, le loro aspirazioni, le loro volontà sono in armonia; ma la forza delle affinità carnali la attira irresistibilmente verso un altro. Un uomo prova per una certa donna un sentimento di tenerezza piena di attenzioni, di compassione piena di sollecitudine, mentre trova in un’altra comprensione e sostegno per le migliori aspirazioni del proprio io. A quale delle due deve consacrare la totalità di Eros? Perché dovrebbe lacerare, mutilare il proprio animo, se la pienezza del suo essere si realizza unicamente con la permanenza dell’uno e dell’altro vincolo?

    Nella società borghese questa dicotomia dell’amore, del sentimento, è causa di sofferenze ineluttabili. Per millenni, una cultura fondata sull’istinto di proprietà ha inculcato negli uomini la convinzione che il sentimento d’amore aveva anch’esso come base il principio della proprietà. La ideologia borghese ha messo in testa alla gente l’idea che l’amore, compreso l’amore reciproco, dava il diritto di possedere interamente e senza spartizioni il cuore dell’essere amato. Quest’ideale, questo esclusivismo nell’amore, derivava naturalmente dalla forma di unione coniugale stabilita e dall’ideale borghese di «amore totale ed esclusivo» tra gli sposi. Ma può forse un simile ideale corrispondere agli interessi della classe operaia? Non è, al contrario, importante ed auspicabile, dal punto di vista dell’ideologia proletaria, che i sentimenti delle persone divengano più ricchi, più diversificati? Che l’animo abbia molte corde, lo spirito molti aspetti è una realtà. Ma non è forse questo il fattore che può favorire la crescita ed il consolidamento di una complessa ed intrecciata rete di vincoli spirituali e morali, grazie alla quale si consoliderà la collettività sociale dei lavoratori? Quanto più numerosi saranno i fili tesi da animo ad animo, da cuore a cuore, da spirito a spirito, tanto più agevole sarà la realizzazione dell’ideale della classe operaia: la solidarietà fra compagni e l’unità.

    L’essere esclusivi in amore, l’esigere «totalmente assorbiti» dall’amore, non può costituire l’ideale dei rapporti tra i sessi dal punto di vista dell’ideologia proletaria. Al contrario, lo scoprire che Eros alato è multiforme e multicorde non produce nel proletariato né orrore né indignazione, come avviene per l’ipocrita morale borghese. Al contrario il proletariato tenterà con tutte le sue forze di indirizzare questo fenomeno (risultato di complesse cause sociali) nella direzione corrispondente ai suoi compiti di classe in un dato momento della lotta, in un dato momento della costruzione della società comunista.

    Il fatto che l’amore sia multiforme non è, di per sé, in contraddizione con gli interessi del proletariato. Al contrario, esso facilita il trionfo di quell’ideale di amore nei rapporti tra i sessi che sta già prendendo forma e cristallizzandosi in seno alla classe operaia. Si tratta precisamente dell’amore da compagni. L’umanità patriarcale immaginava l’amore nella sua forma di relazione tra consanguinei (amore dei fratelli e delle sorelle, amore per i genitori). La cultura antica poneva al vertice di tutto l’amore- amicizia. Il mondo feudale elevava al rango di ideale l’amore «platonico» del cavaliere, l’amore fuori del matrimonio e senz’alcun rapporto con l’appagamento carnale. L’ideale d’amore della morale borghese era l’amore coniugale, la coppia legittima.

    L’ideale d’amore della classe operaia, che discende dalla cooperazione nel lavoro e dalla solidarietà di spirito e di volontà dei membri di questa classe, uomini e donne, si differenzia naturalmente, sia per la forma che per il contenuto, dalle nozioni dell’amore proprie alle altre epoche culturali. Ma cos’è l’amore da compagni? Significa forse che l’austera ideologia della classe operaia, elaborata nell’atmosfera arroventata delle lotte per la dittatura del proletariato, vorrà scacciare senza pietà il tenero e fremente Eros alato dai rapporti sessuali? Assolutamente no. Non solo l’ideologia della classe operaia non ha intenzione di abolire Eros alato, ma al contrario essa libera la strada al riconoscimento del valore dell’amore come forza psicosociale.

    La morale ipocrita della cultura borghese ha strappato senza pietà le piume dalle ali multicolori e sgargianti di Eros, obbligandolo a frequentare unicamente le «coppie legittime». Al di fuori del matrimonio, l’ideologia borghese lascia posto unicamente ad un Eros senza piume e senza ali: l’unione sessuale momentanea, sotto forma di carezze comperate (prostituzione) o rubate (adulterio).

    La morale della classe operaia invece, nella misura in cui ha già iniziato a cristallizzarsi, trascura completamente la forma esteriore che possono assumere i rapporti d’amore tra i sessi. Per ciò che concerne gli obiettivi di classe del proletariato, è del tutto indifferente che l’amore assuma la forma di un’unione duratura e legalizzata o che si esprima semplicemente in una relazione passeggera. La ideologia della classe operaia non impone alcun limite formale all’amore. Al contrario, fin da ora essa guarda soprattutto al contenuto dell’amore, delle sfumature sentimentali ed emozionali che uniscono i due sessi. E in questo senso, l’ideologia della classe operaia darà la caccia a Eros senz’ali (la concupiscenza, la soddisfazione carnale egoista per mezzo della prostituzione, la trasformazione dell’atto sessuale in scopo a se stante, del tipo «facile piacere») molto più rigorosamente e spietatamente di quanto non facesse la morale borghese. Eros senz’ali è contrario agli interessi della classe operaia. In primo luogo, conduce inevitabilmente a degli eccessi, e di conseguenza ad un esaurimento fisico che non può che diminuire l’energia lavorativa della umanità. In secondo luogo, rende l’animo sterile, ostacolando così lo sviluppo ed il rafforzamento dei legami spirituali e dei «sentimenti di simpatia». In terzo luogo, è di solito basato sull’ineguaglianza dei diritti nei rapporti sessuali, sulla dipendenza della donna nei confronti dell’uomo, sulla fatuità e sulla rozzezza maschili, il che può unicamente frenare lo sviluppo del sentimento di solidarietà fra compagni. La presenza di Eros alato agisce esattamente in senso contrario.

    Va da sé che alla base di Eros alato troviamo la medesima attrazione di un sesso per l’altro che in Eros senz’ali, ma la differenza è grande: nell’essere che ama un altro essere, si risvegliano e si manifestano proprio quei tratti dell’animo che sono indispensabili agli edificatori della nuova cultura: delicatezza, sensibilità desiderio di aiutare l’altro. L’ideologia borghese voleva che l’essere umano manifestasse queste qualità unicamente nei confronti dell’eletto, o l’eletta, del suo cuore, in altre parole nei confronti di un unico essere. Ciò che conta innanzitutto per l’ideologia proletaria, è che queste qualità siano risvegliate e sviluppate nell’essere umano, e che si manifestino non solo nei rapporti con l’eletto del cuore, ma anche nelle relazioni con tutti gli appartenenti alla collettività.

    È del pari indifferente al proletariato sapere quali sono le sfumature, le sfaccettature che predominano in Eros alato: la delicatezza dei sentimenti amorosi, il calore della passione, o l’armonia spirituale. La sola cosa che gl’interessi è che, quali che siano queste sfumature, l’amore contiene gli elementi spirituali e morali necessari al rafforzamento ed allo sviluppo del sentimento di solidarietà fra compagni.

    Il riconoscimento, anche nell’amore, dei diritti reciproci, la capacità di tener conto della personalità dell’altro, un fermo e mutuo sostegno, una sollecitudine attenta ed una reale comprensione di ciascuno per i bisogni dell’altro, congiunti alla comunanza degli interessi o delle aspirazioni: ecco l’ideale dell’amore da compagni che l’ideologia proletaria sta forgiando per sostituire il caduco ideale di amore coniugale «assorbente» ed «esclusivo» della cultura borghese.

    L’amore da compagni costituisce l’ideale di cui il proletariato ha bisogno nel periodo gravido di responsabilità e di difficoltà in cui lotta per fondare e consolidare la propria dittatura. Ma non v’è alcun dubbio che, quando la società comunista sarà divenuta una realtà, Eros alato si presenterà sotto un aspetto interamente rinnovato, completamente sconosciuto a tutti fino ad oggi. In quel momento, i «vincoli di simpatia» tra tutti i membri della nuova società si saranno sviluppati e consolidati, la «forma dell’amore» sarà molto più grande, e l’amore-solidarietà avrà un molo motore analogo a quello della concorrenza e dell’amor proprio nella società borghese. Il collettivismo dello spirito e della volontà riporterà la sua vittoria sulla fatuità individualista. La «fredda solitudine morale», alla quale le persone, nella società borghese, tentavano spesso di sfuggire attraverso l’amore e il matrimonio, sarà scomparsa; molteplici e svariati vincoli uniranno le persone in una vera comunanza spirituale e morale. I sentimenti degli uomini s’indirizzeranno verso lo sviluppo della coscienza sociale, mentre l’ineguaglianza tra i sessi, affondata nella memoria dei secoli passati, e ogni forma di dipendenza della donna dall’uomo saranno scomparsi senza lasciar traccia.

    In questa società nuova, collettivista sul piano spirituale ed emozionale, Eros occuperà, sullo sfondo di una gioiosa unità e fratellanza tra tutti i membri del collettivo, un posto d’onore, come sentimento destinato a decuplicare la gioia degli uomini. Quale sarà quest’Eros nuovo, trasfigurato? La più ardita immaginazione non saprebbe tracciarne il ritratto. Ma una cosa è chiara: maggiore sarà la solidarietà in seno all’umanità nuova, maggiore sarà la coesione morale in tutti i settori della vita, della creatività, delle relazioni umane, e minore sarà il posto per l’amore inteso nel senso attuale del termine. Il difetto permanente dell’amore così com’è al giorno d’oggi è che, assorbendo i pensieri ed i sentimenti dei «cuori amanti», esso distacca e isola la coppia innamorata dal resto della collettività. Questo accantonamento della «coppia innamorata», questo isolamento morale da una collettività in cui i compiti, gli interessi, le aspirazioni di tutti i membri formeranno una trama complessa e compatta, diventerà non solo superfluo, ma psicologicamente irrealizzabile. In questo mondo nuovo, la forma riconosciuta, normale ed auspicata di unione dei sessi sarà probabilmente fondata sull’attrazione sessuale sana, libera e naturale (senza eccessi né perversioni), insomma su un «Eros trasfigurato».

    Ma per il momento ci troviamo ancora in una fase di svolta tra due culture. Durante questo periodo di transizione, insieme alla lotta accanita dei due mondi su tutti i fronti, compreso quello ideologico, il proletariato ha interesse a favorire al più presto e con ogni mezzo l’accumulazione delle riserve di «sentimenti di simpatia». In questo periodo, l’ideale morale che determina i rapporti sentimentali non è il mero istinto sessuale, bensì una grande varietà di emozioni amorose e di solidarietà, tanto per gli uomini quanto per le donne. Per rispondere agli imperativi della nuova, nascente morale proletaria, queste condizioni devono essere fondate su tre principi basilari:

    1. Uguaglianza reciproca (nessuna predominanza maschile né schiavitù e annullamento della personalità della donna nei rapporti d’amore).

    2. Riconoscimento reciproco dei diritti dell’altro, il che esclude la pretesa di possedere interamente il cuore e la anima del partner (sentimento di proprietà creato e conservato dalla cultura borghese).

    3. Sollecitudine da compagni, attitudine ad ascoltare e comprendere i moti dell’animo dell’essere caro (la cultura borghese esigeva questa sollecitudine nell’amore unicamente da parte della donna).

    Ma, pur proclamando i diritti di Eros alato (l’amore), l’ideologia della classe operaia subordina l’amore reciproco tra i membri della collettività ad un sentimento più imperioso: l’amore-dovere verso la collettività stessa. Per quanto grande sia l’amore che lega i due sessi, per quanto numerosi siano i legami di cuore e di spirito che intesse tra di loro, i vincoli dello stesso tipo con l’intera collettività debbono essere ancora più forti, più numerosi, più organici. La morale borghese esigeva: tutto per l’essere amato. La morale proletaria prescrive: tutto per il collettivo.

    Ma già mi sembra di sentire la vostra domanda, mio giovane amico: va bene, mi direte. Ammettiamo che le relazioni d’amore, sul piano di un solido spirito di solidarietà tra compagni, divengano l’ideale della classe operaia. Ma quest’ideale, questa nuova «misura morale» dell’amore, non farà a sua volta gravare un grosso peso sulle emozioni amorose, per caso non sgualcirà, non mutilerà le fragili ali del «timido Eros»? Dopo aver liberato l’amore dai ceppi della morale borghese, non stiamo forse per imprigionarlo in nuove catene?

    Sì, mio giovane amico, avete ragione. Rigettando la «morale» borghese nel campo dei rapporti amorosi e coniugali, l’ideologia proletaria non può non forgiare a sua volta la propria morale di classe, le sue nuove regole nelle relazioni sessuali, meglio rispondenti agli interessi della classe operaia, educare i sentimenti in una direzione determinata, e per ciò stesso imporre anche certe catene. Nella misura in cui si tratta dell’amore forgiato e sviluppato dalla cultura borghese, incontestabilmente il proletariato strapperà molte piume alle ali dell’Eros di formazione borghese. Ma deplorare che la classe operaia imprima così il suo sigillo sui rapporti tra i sessi, per armonizzare con i suoi compiti il sentimento dell’amore, significa non saper guardare verso il futuro. È chiaro che in luogo delle vecchie, l’ideologia della classe in ascesa saprà sistemare nuove piume sulle ali di Eros: e saranno piume di una forza, di una bellezza e di una lucentezza ancora mai viste. Non dimenticate, mio giovane amico, che l’amore cambia e si trasforma inevitabilmente con le basi economiche e culturali dell’umanità.

    Se, nei rapporti d’amore, la passione cieca, assorbente, esigente, perde vigore, se il sentimento di proprietà ed il desiderio egoista di vincolare a sé «per sempre» l’essere amato deperiscono, se la prepotenza maschile e la mostruosa rinuncia della donna al proprio io scompaiono, si assisterà allo sviluppo di altri preziosi aspetti dell’amore: il rafforzamento del rispetto della personalità dell’altro, la attitudine a prendere in considerazione i suoi diritti, lo sviluppo della comprensione reciproca, la crescita dell’aspirazione ad esprimere l’amore non solo con i baci e le carezze, ma anche con l’azione congiunta, con l’unità delle volontà, con la comune opera creativa.

    Il compito dell’ideologia proletaria non è quello di scacciare Eros dai rapporti sociali, ma solamente quello di riempire la sua faretra di frecce di nuova tempra, di educare il sentimento dell’amore tra i sessi nello spirito della nuova grande forza psichica: la solidarietà fra compagni.

    Spero, mio giovane amico, che sia ora divenuto chiaro per voi che il crescente interesse manifestato dalla gioventù lavoratrice per le questioni dell’amore non è un sintomo di «decadenza». Saprete adesso trovare voi stesso il posto che l’amore deve occupare non solo nell’ideologia del proletariato, ma anche nei rapporti quotidiani tra i giovani lavoratori.

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