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di Giulia De Baudi
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Bella giornata oggi. Freddina ma assolata. Ho letto gli articoli dei giornali che parlavano dell’inversione di tendenza (nel Nord Italia) tra matrimoni civili e non civili, cioè religiosi, e mi sono detta: e vaiiiiiiiiiiiiiiiii!!! Ma vuoi vedere che gli italiani stanno uscendo dal delirio religioso!!!
Secondo l’Istat si.
I titoli:
l’Unità : Al Nord i matrimoni civili sorpassano quelli religiosi
La Stampa:La società che cambia -Cara famiglia, l’Italia non ti riconosce più- Le separazioni in aumento, i divorzi in calo, i matrimoni (40% civili)
La Stampa: Un mondo precario che preferisce convivere
Corriere: Istat, al Nord più matrimoni civili
Corriere: I matrimoni secolarizzati del Nord
Repubblica: I matrimoni civili superano quelli in chiesa – Sorpasso storico al Nord
Come vedete dai titoli i giornalisti, anche se con qualche peccatuccio (che significa Un mondo precario che preferisce convivere? Significa forse che i precari si sposano civilmente nonostante siano cattolici molto praticanti? Ma mi faccia il piacere!) si evince questa mutazione della realtà civile.
Ma c’è anche chi non molla. Leggetevi un po’ ‘sto titoletto:
Repubblica – Monsignor Sigalini, presidente della commissione Cei per il laicato “È vero, stiamo perdendo terreno adesso i corsi per chi già convive”
Sob … sgomento … doppio sgomento!!!Ma che significa? Ma di che corsi parla? Ma come fa il Sigalini che occupa una carica religiosa ad essere “presidente per il laicato”? è come dire che i rappresentanti del potere finanziario fanno gli interessi dei cittadini … forse, in realtà … questo non è un esempio proprio azzeccato … lasciamo perdere.
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Dice il Monsignore «Da tempo ci stiamo attrezzando con corsi di preparazione al matrimonio aperti a fidanzati, ma anche a conviventi che hanno già figli.» Ma che sta dicendo questo tizio? Vuole fare i corsi preparatori a chi vive, senza pentirsi, nel peccato mortale? Ma che magnanimità!!! Se il pastore tedesco … nooooo non il commissario Rex, quello è un altro pastore tedesco.
Spostiamoci almeno di tre passi dal delirio religioso che affligge i credenti o da una, meno grave dal punto di vista psichiatrico ma più grave dal punto di vista etico, ipocrisia cronica che sfocia nella dissociazione comportamentale, e cerchiamo di capire cosa intendano giornalisti e monsignori quando dicono che la causa di questa caduta repentina dei matrimoni incivili è da attribuire al “processo di secolarizzazione della nostra società”.
Dal mio punto di vista, essendo un individuo pensante (sono una cosiddetta atea, ebbene si!) vedo la secolarizzazione delle società come un’uscita dall’alienazione religiosa nei suoi innumerevoli aspetti culturali. Ergo come una, seppur lenta, guarigione della società civile.
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Come sappiamo il termine secolarizzazione nella sua accezione più formale riassume il processo di perdita di rilevanza della religione nella vita sociale. Ma nella sua verità più profonda secolarizzazione significa uscire da riferimenti culturali che hanno come base il sovrannaturale; e sovrannaturale significa“ciò che è fuori dalla realtà”. L’individuo secolarizzato non assume più come dato reale l’esistenza di un dio da cui tutto discende ma si affida al proprio pensiero, che dovrebbe essere alieno (e il condizionale è d’obbligo) ad ogni credenza metafisica. L’individuo secolarizzato, ad esempio , non si affiderà più in materia di scienza a dogmi e precetti religiosi (il sole gira attorno alla terra, l’anima viene insufflata da dio già nello zigote, una vergine ha partorito, ecc. ) ma userà il proprio pensiero per scandagliare il mondo naturale e la realtà psichica degli esseri umani. L’individuo secolarizzato non penserà di aver dentro di sé un’anima atemporale ed infinita ma una psiche umana finita, con un inizio e una fine.
Anche se il buon Angelo Aquaro nel suo articolo di oggi su Repubblica, È l’ateismo la terza “religione” del mondo, afferma – ma che mattacchione – che l’ateismo è un culto «il culto in ascesa nel mondo porta il nome di ateismo» in realtà la verità vera è un’altra.
Però a guardar bene è vero che questo fonema, ateo, non rappresenta bene l’essenza di chi non crede. La lettera “a”, privativa, ci parla di una mancanza. E anche se il buon Ratzinger qualche anno fa ha affermato, con una frase da nazista, che a chi manca Dio manca la dignità umana, in realtà si può pensare che manchi il pane, che manchi il latte, ma non si può pensare che all’ateo manchi Dio per il semplice fatto che Dio esiste solo nella mente di chi crede. E quindi il buon Aquaro mi offende quando dice, con un becero gioco di parole, che essendo atea aderisco ad un culto.
Detto questo, se vogliamo dare un vero senso alle parole, forse dobbiamo affermare che la parola da contrapporre a credente non è ateo, non è nemmeno non credente, non è neppure secolarizzato perché presuppone un rientro nel tempo dal quale io personalmente non sono mai uscita; la parola giusta per esprimere un rifiuto radicale a questi deliri religiosi è … pensante.
19 dicembre 2012
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