• Don Quijote «Il cavaliere dell’eterna gioventù … »

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    Miguel De Cervantes

    Don Quijote de la Mancha

    di Gian Carlo Zanon

    «Il cavaliere dell’eterna gioventù/ seguì, verso la cinquantina, /  la legge che batteva nel suo cuore./ Partì un bel mattino di luglio/ per conquistare il bello, il vero, il giusto./ Davanti a lui c’era il mondo/ coi suoi giganti abbietti/ sotto di lui Ronzinante/ triste ed eroico.»

    Così  inizia la bellissima  poesia di Nazim Hikmet, dedicata al personaggio scaturito dalla mente di Cervantes. Il grande poeta turco con poche versi traccia la più grande sintesi che sia mai stata fatta dell’opera di Miguel De Cervantes. Ed è straordinario che un uomo del novecento così distante, nel tempo, nello, spazio, nella cultura, dal letterato spagnolo, riesca a intuire così profondamente la rara umanità dell’eroe della Mancha.

    Ci avviciniamo a quest’opera con la dovuta umiltà e cercheremo di dire qualcosa su questo cavaliere apparentemente incongruo, assurdo, il quale sceglie una vita fuori dalla ragione dimostrando che è possibile vivere un sogno impossibile, senza essere distruttivo come lo sarebbe un pazzo. Il pazzo, delirando, altera la realtà; il poeta la fa … ricreandola.

    Come tutte le grandi opere letterarie il Don Quijote offre al lettore vari livelli di lettura e di interpretazione. Noi vorremmo, sempre con molta cautela, interpretarlo da un punto di vista particolare: le modalità percettive del personaggio, vale a dire il suo modo di “vedere” e  di “pensare” la realtà.

    Nel romanzo di Cervantes, Il cavaliere dalla triste figura, permea la realtà che incontra sulla sua strada con uno sguardo poetico, nel senso etimologico del verbo poieo: faccio.  Quindi potremmo dire che l’hidalgo della Mancha “fa la realtà”, la trasforma, in senso poetico, quel tanto che basta per rendere bella la sua vita, per sfuggire alla depressione, per dar senso all’esistenza che così com’è non ce l’ha. Quasi tutti noi conoscono solo il Don Quijote dei mulini a vento ma c’è ben altro. Ad esempio egli libera dei condannati alle galere che erano stati condannati a dieci anni di remi solo per aver rubato un po’ di pane o un cesto della biancheria.

     

    Lucio Dalla e Peppe Servillo nel film Quijote prossimante nelle sale

     

    Ma perché lo fa, perché libera i prigionieri e poi difende un povero apprendista malmenato dal padrone, rischiando egli stesso la galera? Ebbene lo fa per tener fede a una promessa fatta alla “signora dei suoi pensieri” colei che ha nominato: Dulcinea del Toboso.  Dulcinea non è una brutta sguattera come dice chi crede nel sentito dire, senza magari aver letto neppure una riga dell’opera di Cervantes. Dulcinea è un’ideale di donna che riappare dal passato del protagonista: «Avvenne, a quanto si crede, che in un paesetto presso il suo, ci fosse una giovane contadina di bellissima presenza, della quale egli era stato, un tempo, innamorato: ma, a quanto si dice, lei non lo seppe mai…» .

    Don Quijote stabilisce, per mezzo di questa immagine femminile interna, inconsapevolmente difesa e salvata, una “dialettica percettiva” con il reale, ed è quindi attraverso Dulcinea che Don Quijote percepisce e pensa la realtà. Questa immagine femminea diventa l’elemento irrazionale entro il quale egli si muove ribellandosi non solo alle ingiustizie ma anche al linguaggio imposto dalla consuetudine: il nostro eroe parla unicamente come, egli pensa, parlassero, i cavalieri erranti del medioevo: l’hidalgo non si esprime mai utilizzando un linguaggio comune.

    Quindi, dicevamo, non sono mai le leggi degli uomini o la ragione a guidare il suo fare, ma un’immagine ideale di donna ormai divenuta per Don Quijote etica interna e comportamento. La nipote, che non lo comprende, dice che egli cerca “el pan del trastrigo”, modo di dire intraducibile che significa più o meno: qualcosa di ancora più buono del pane fatto con la farina, qualcosa di impossibile: «Sognare un sogno impossibile per vincere un nemico invincibile».

    Già, sognare; e se la vicenda dei mulini a vento fosse un sogno? Se fosse un sogno si potrebbe interpretare come una lotta impari contro qualcosa di invisibile ed enorme; qualcosa di apparentemente invincibile che, però … si nutre  di vento, di nulla. Che senso ha allora combattere contro i mulino a vento? Forse, per Cervantes, la mulinomachia, rappresentava il combattimento contro la cultura della sua epoca, che proponeva, da una parte,  la ragione come unico modo di essere, dall’altra la religione come unica panacea per sconfiggere l’angoscia del nulla…generata dalla ragione. Ipotesi affascinante. Chissà, forse, inconsapevolmente, Cervantes, per mezzo di quel personaggio “strambo” creato dalla sua fantasia, lottò contro questi mostri che divorano il tempo umano, dato in dote agli esseri umani dalla propria nascita.

    Dopo tremila anni l’immagine dell’eroe puro, che dopo il “furbo” Odisseo, sembrava perduta per sempre, riappare con il Don Quijote. Egli è apparentemente, un personaggio emaciato e strano ma ha dentro di sé un’immagine femminile che rappresenta la fantasia interna irrazionale capace di trasformare la realtà. Cervantes crea un personaggio universale che diverrà un modello per raccontare un certo modo di essere. Possiamo citare due personaggi, tra i tanti, che hanno alcune similitudini con il protagonista dell’epopea donchisciottesca: Il Principe Myškin de L’Idiota di Dostoevskij e “il ragazzo che non parla” del film Il sogno della farfalla di Marco Bellocchio.

    «Sognare un sogno impossibile…» anch’io, questa volta, ho chiesto al redattore una mezza pagina in più, per poter… sognare meglio. Ho scritto un po’ troppo. Ma è così, succede, quando si viene presi dalla passione…lo diceva anche Hikmet: «Lo so/ quando si è presi da questa passione/ e il cuore ha un peso rispettabile/ Non c’è niente da fare , Don Quijote,/ niente da fare/ è necessario battersi contro i mulini a vento/. Hai ragione tu, Dulcinea è la donna più bella del mondo/ certo/ bisognava gridarlo in faccia/  ai bottegai/ certo dovevano buttartisi addosso/  e coprirti di botte/ ma tu sei il cavaliere invincibile degli assetati/ tu continuerai a vivere come una fiamma/ nel tuo pesante guscio di ferro/ e Dulcinea/ sarà ogni giorno più bella.»

    Tratto dalla rubrica di recensioni  Nel mezzo del cammin …  di Quattro Passi. Marzo 2007

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