–
di Gian Carlo Zanon
–
Stavo pensando a cosa poter scrivere sull’eliminazione dell’art. 18, perché di eliminazione si tratta, quando mi è giunta la notizia della morte di Tonino Guerra. Di lui mi era rimasta un’immagine di due anni fa, quando venne premiato con il David di Donatello. Era maggio, mi sembra fosse il 7, ma questo non importa. Ricordo che aveva parlato dei tagli alla cultura. Ricordo vagamente – ne ho cercato tracce sul web ma non ho trovato nulla – ciò che aveva detto: dalle sue parole era uscita un’immagine estrema nella sua forza e nella sua semplicità e lui, avendo sceneggiato i miglior film di Antonioni come Deserto rosso e Zabriskie Point ne sapeva di immagini. No, non scrivo chi è l’autore dei due film citati, se non lo sapete è meglio che cambiate giornale, magari leggetevi Novella 2000…
L’immagine dicevamo, l’immagine evocata dalle parole di Tonino era quella di una enorme piazza, dove attori, registi, musicisti, artisti e la gente comune affluiva in silenzio, e li rimaneva in silenzio per giorni e giorni e giorni. Tonino Guerra aveva detto che secondo lui questo era un modo per ribellarsi ad un governo che aveva decretato la morte dell’arte. Perché l’arte non serve a nessuno avevano detto, poi non essendo politicamente corretto si erano scusati, ma ormai lo avevano detto, tradendo così la consegna della mente ipocrita che dice «certe cose si pensano ma non si dicono, si possono dire solo quando si sta tra castrati, castrati della stessa razza». Che stronzi, che stronzi.
–
Lui da artista aveva immaginato, una grande piazza dove una moltitudine di esseri umani rimaneva in silenzio a ricordare la ribellione della nascita: quei primi venti, trenta secondi in cui il neonato, in un silenzio che potrebbe sembrare mortale, pensa ad un’immagine primaria che dia senso alla sua ribellione contro quella natura non umana che non potrà mai insegnarli a fare arte. La ribellione della nascita è la prima invisibile ‘forma d’arte’, e il suo primo fare è pulsione fantasia.* Un atto d’amore che annullando la natura matrigna ricrea nel silenzio la memoria fantasia dell’esperienza avuta, imprescindibile pensiero inconscio dell’essere umano che gli permetterà in seguito, con la percezione fantasia, di essere come quegli artisti e i quei poeti che sanno ‘vedere’ ciò che gli altri non vedono, ma anche essere politico ed immaginare una società di eguali dove vivere più umanamente.
Certo è che politici che sanno immaginare utopie non ne vedo molti in giro ultimamente e anche questo attacco all’ultimo Fort Apache rappresentato dall’articolo 18 dello statuto dei lavoratori mi dice che ormai c’è ben poca speranza di rinsaldare il tessuto sociale che sembra ormai esploso in milioni di pezzi come nell’immagine cult di Zabriskie Point per l’appunto.
I nostri tecnocrati hanno fatto un lavoro di fino per dividere ciò che ancora rimaneva unito nella nostra società. La scala sociale che con le sue sinapsi articolate ancora fino a qualche anno fa dava un impulso benefico alla società è ormai distrutta. Esistono solo degli ascensori ben presidiati da guardie del corpo prezzolate dai quali salgono i servi del potere con le borse piene di sangue dei cittadini per poi ridiscendere con nuovi ordini sempre più feroci. Anche le file dei servi si assottigliano sempre più: servono sempre meno kapò per raspare il fondo del barile dei cittadini italiani.
Il potere teo-plutocratico può rastrellare la linfa che lo mantiene in vita attraverso canali invisibili, come quello della chiesa cattolica. D’altronde lo avete visto tutti Nosferatu Monti andare a celebrare il concordato fascista con lo Stato vaticano. Il Concordato: «Tu gli dici che la realizzazione dell’essere umano è solo dopo la morte, ma qui in terra deve star buonino però, se no niente … e io continuo a darti un bel po’ di miliardi».
Non so chi ha paragonato l’articolo 18 allo scalpo del nemico ucciso da mostrare con orgoglio … chiunque sia ha visto benissimo. L’art 18 era un simbolo non solo dei lavoratori ma di tutta una società civile che in quel modo si poteva difendere dalle sopraffazioni vigliacche di chi pur non sopportando le schiene dritte di chi rivendicava ogni giorno la propria dignità ed identità umana, doveva obtorto collo accettare la dialettica tra datore di lavoro e lavoratore. Se passa quest’infamia sociale, l’ordine delle cose verrà completamente rovesciato e dal caos non potrà che sorgere una società senza regole, dove il più forte si sentirà autorizzato a disfarsi del più debole. Chi aveva sperato, vedendo le lacrime della Fornero, in un governo dal volto più umano, aveva visto male: quelle non erano lacrime … era vasellina allo stato puro.
Forse aveva ragione Tonino Guerra. Soltanto ritrovando il grido del silenzio e vivendolo nelle piazze affollate possiamo dire «la misura è colma, andatevene tutti a casa, e ridateci la voce che ci avete rubato».