–
di Gian Carlo Zanon
–
L’ombra di Lenni strusciava sull’asfalto e sui muri dell’Università La Sapienza mentre lui veniva verso di me: “Buongiorno sono Emanuele Berardi” … e l’ombra di Lenni si accucciò per qualche secondo ai suoi piedi come non aveva mai fatto neppure il suo cane Cipo, “punk senza cresta”. Così sta scritto nella pagina dei ringraziamenti.
Lui, l’autore di questo libro che racconta con immagini nude il divenire di Lenni, ha scelto la strada della biologia e fa il ricercatore in Belgio: “Avremmo dovuto starcene a casa oggi, qui è pieno di raggi gamma, per quello che sta succedendo nella centrale di Fukushimama, ma nessuno ci informa”, mi dice deciso.
Poi, seduti sugli scalini, alle spalle della statua della Minerva, ci siamo sistemati attorno al suo racconto e abbiamo parlato di Lenni. Il sole di marzo scaldava i pensieri mettendo in moto il ricordo che andava fondendosi alla memoria che grida dal libro. L’ombra di Lenni faceva segni di assenso col capo, mentre Emanuele raccontava di Lui: il protagonista del romanzo si muove nella periferia romana tra musica punk e un orizzonte trasfigurato dai palazzoni da dove, nelle notti di Centocelle, solo la Luna spunta a ricordargli mondi possibili. Il tragico controcanto di quella Luna è l’incubo di Černobyl’ , sempre presente nella sua vita da quando, da bambino, aveva seguito l’evento nei telegiornali e la madre aveva smesso di comprare il latte per i figli.
Il suo rifiuto per la società che incontra ogni giorno, che sa di morte, lo porta a scelte politiche ed esistenziali, condivise con gli amici e il fratello, che sfoceranno anche nello scontro fisico con la polizia: “L’adrenalina mi rendeva cattivo, freddo, avevo la salivazione quasi azzerata e il sapore acidulo della rabbia sotto la lingua”.
Poi ci sono le donne. Le donne per Lenni sono quella metà del cielo da dove si intravede sempre la Luna: c’è il rapporto con Matilda, la ‘sua’ ragazzetta borghese, rapporto che difende anche picchiando chi le si avvicina troppo. C’è Carlotta la ragazza bolognese che sogna per mesi e mesi per poi incontrarla con la pancia di donna incinta. C’è anche Deborah, la donna grande e sexi che aspetta inutilmente nel letto fantasticando amplessi.
Ci sono altri personaggi che camminano nel romanzo a fianco di Lenni come il suo amico Mahatma, quello con il “cappotto dalle tasche sfondate dai libri” che parla e risponde solo per citazioni letterarie, e poi … c’è la morte feroce di un essere umano vicino a lui, ucciso dai poliziotti durante una rapina, che, follemente, doveva servire per finanziare la lotta armata.
–
E Lenni deve fare i conti non solo con il lutto, ma anche con se stesso. E lo fa bevendo fino in fondo il dolore, chiuso, come un baco nella sua stanza buia, divenuta un bozzolo, da dove riemergerà un altro uomo che ora mi sta parlando di Lenni … ora chiuso nell’ombra, e nel libro.
–
Nella breve introduzione al romanzo, Fulvio Abbate parla del libro citando ‘Educazione sentimentale’ di Flaubert; e potrebbe avereragione se non fosse che, in tutti i cosiddetti romanzi di formazione, i protagonisti, o raggiungono, pagando con la propria immagine interna, un ‘equilibrio psichico’, adeguandosi allo stato delle cose come nel ‘William Meister’ di Goethe, o si suicidano come ne ‘Le ultime lettere di Jacopo Ortis’ di Foscolo. Emanuele Berardi non ci racconta la scelta di Lenni dopo la crisi, ma il lettore ‘sente’ che non sceglierà nessuna delle due strade.
In greco antico il significato della parola ‘crisi’ è ‘scelta’. E in cinese il concetto di crisi è composto da due ideogrammi che hanno il suono verbale di ‘opportunità’ e ‘pericolo’. La crisi attraversata da Lenni dopo la morte del fratello pericolosamente gli ha offerto l’opportunità di scegliere la propria vita, divincolandosi sia da chi e cosa lo voleva socialmente fallito e pieno di rabbia, sia da chi lo voleva veder entrare nei ranghi del sistema.
Anche, Oscar, il protagonista del libro de ‘Il tamburo di latta’, di Gunter Grass, citato nel libro di Emanuele Berardi, fa la sua scelta: a tre anni sceglie di non diventare come i grandi, violenti, che lo hanno deluso. Oscar sceglie non crescere fisicamente, ma la sua ribellione lo rende un nano deforme, che finirà per aderire al nazismo e poi rinchiuso in un manicomio. Non sarà così per Lenni.
Sulla copertina del libro ci sono due figure che rappresentano bene il sistema sociale prevalente dentro il quale noi, e Lenni, ci siamo mossi e ci muoviamo tutti i giorni: un burattino ribelle ammanettato da una marionetta del potere, che lo minaccia con pistola e manganello. La cultura dominante ci ripete ogni giorno che ci sono solo questi due modi di essere: o un burattino ribelle che pur di non divenire una marionetta tirata da fili invisibile finisce o in galera, o suicida, o drogato, oppure una marionetta che ha scelto il suicidio psichico invisibile e ora esercita la propria violenza, occultata e legittimata dalle leggi, sui più deboli di lui.
“Ho scritto questo libro cinque anni fa, per lasciarmi il passato alle spalle e liberarmi dai fantasmi”, dice Emanuele. Eppure lo sa che con la pubblicazione del suo romanzo si apriranno le vecchie ferite. E le ferite vanno riaperte e curate, perché, essendo biologo, Emanuele sa che dentro ci potrebbe essere ancora il pus fatale delle separazioni fatte girando la testa dall’altra parte.
Lo sa perché le sue scelte lo hanno portato a migrare sotto il cielo plumbeo del Belgio dove, presso il dipartimento di Cardiomiologia Traslazionale dell’Istituto di Cellule Staminali all’Università Cattolica di Lovanio, fa ricerca sui mediatori molecolari nella cachessia oncologica. Ricerca che salverà milioni di vite umane. Lui lo sa che questa è la vera ribellione contro una cultura di morte. Lui lo sa che tirare i sampietrini contro i poliziotti serve solo a cercare un falso bersaglio per cercare di dare un assurdo significato al proprio malessere interno.
Lo sa perché quando parla dalla sua gola esce fuori il re minore che, come scritto sul retro di copertina “è l’accordo più malinconico che ci sia”. Ed è forse quell’accordo che ha ritrovato dentro di sé, quando era ancora rinchiuso nel buio della sua stanza: “nel cuore dell’inverno ha sentito nascere dentro di sé un’invincibile estate”, come scriveva Albert Camus pensando agli anni bui della resistenza contro il nazifascismo. Lui ha ritrovato la Luna, e le ha parlato, di nuovo.
“Mi vuoi spiegare che senso ha la Luna, scritta con la maiuscola, e magari anche cosa rappresenta per te?”
“Il sole non si può guardare, perché acceca, la Luna invece la si può osservare con calma … e poi – dice piano Emanuele – rappresenta l’immagine della donna”.
Forse, facendo ricerche di biologia, lo sa che, se il sole è luce che ci ha ‘dato’ il pensiero, la Luna è speranza dell’esistenza di un essere umano uguale se pur diverso da sé. È quella speranza, unico sentimento umano rimasto nel vaso di Pandora, che ha spinto Lenni/Emanuele a realizzare la propria identità umana cercando la cura per milioni di individui di cui non vedrà mai il volto.
Quando usciamo da quell’Università così avara da negargli la possibilità di fare ricerca, l’ombra di Lenni arranca dietro di lui, come se non riuscisse più a combaciare con l’immagine dell’autore di ‘Luna di Lenni’.