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Pubblichiamo la “Storia di Salvatore Giuliano” tratta dall’Enciclopedia del crimine pubblicata tra il ’74 e il ‘75 da Fabbri Editori.
Il testo narra le vicende che portarono un contadino siciliano ad un ribellione omicida e suicida che sconvolse la regione siciliana per vari anni.
La storia del bandito Salvatore Giuliano si intreccia con quella italiana degli anni che vanno dal ’43 al ’50. In quegli anni ci fu lo sbarco degli Americani in Sicilia, 9 e 10 luglio ‘43; un tentativo di insurrezione separatista per far diventare la Sicilia uno Stato indipendente; le rivolte dei contadini che volevano la terra dei nobili latifondisti; e soprattutto la ‘resurrezione’ della mafia siciliana che era rimasta tranquilla ad aspettare tempi migliori per quasi vent’anni.
Tra le righe di questa drammatica vicenda – non dimentichiamo che fu Giuliano con i suoi uomini a compiere materialmente la strage di Portella della Ginestra – si vedono gli intrecci tra mafia e intelligence italiana e americana che hanno segnato la storia politica ed economica del mondo occidentale: dalla sbarco in Sicilia dell’esercito americano, all’omicidio di J.F. Kennedy, alle recente probabile trattativa Stato-Mafia di cui abbiamo parlato in un nostro recente articolo.
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Buona lettura
Emo Bertrandino
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La storia di SALVATORE GIULIANO
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Nella tragica Sicilia del dopoguerra, agitata dalle manovre dei separatisti, con l’onnipotente mafia sullo sfondo, emerge la figura di un bandito che, con le sue imprese, diventerà uno dei protagonisti di quegli anni
In Italia, negli anni compresi tra 1l 1947 e il 1950, due uomini si dividevano gli onori della cronaca e della popolarità, e il loro nome oltrepassò addirittura le frontiere della penisola. Questi due uomini, dei quali si poteva leggere quasi ogni giorno il nome sui giornali e di cui si parlava appassionatamente, non erano né il Papa né il presidente della Repubblica, e nemmeno astri del cinema, della canzone, oppure della politica. Questi due uomini erano Fausto Coppi e Salvatore Giuliano.
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Accade di rado che i personaggi entrino a far parte della leggenda mentre sono ancora vivi. Salvatore Giuliano è tra i pochi ad avere avuto questo privilegio. È vero anche, però, che il personaggio si prestava al ruolo leggendario: bello, idealista, generoso e soprattutto ribelle era l’ultimo rappresentante in Europa, forse il più riuscito, di quella folta schiera di banditi contadini come Mandrin in Francia, Oleka Doubuch in Ukraina, oppure Crocco e Ninco Nanco in Italia, che hanno sempre fatto battere il cuore delle folle perché sfidano le autorità in nome della giustizia, terrorizzano i ricchi e li spogliano dei loro beni per distribuirli ai poveri. Al pari dei suoi predecessori, Salvatore Giuliano è venuto alla ribalta in un particolare momento storico, propizio proprio a questo genere di epopea.
Gli orrori della guerra, le agitazioni, i disordini seguiti alla caduta del fascismo, la presenza del problema siciliano, la presenza cioè di una popolazione non solo affamata in seguito al blocco dal resto d’Italia, ma disorientata anche dal risveglio dei partiti dopo il lungo intorpidimento fascista, turbata e confusa dal miraggio americano, incidevano pesantemente sulla situazione generale.
Se Salvatore Giuliano è riuscito a diventare in così poco tempo una figura mitica, fu probabilmente
perché incarnava, meglio di chiunque altro, i sogni patetici della Sicilia che si ritrovava ancora una volta ‘contesa’, ‘occupata’ e ‘tradita’.
Concepito negli Stati Uniti, Giuliano nacque in Sicilia. I suoi genitori, Maria Lombardo e Salvatore Giuliano, erano emigrati all’inizio del secolo, nel 1904. Ma, dopo un soggiorno in America, durato diciotto anni, soggiorno che non li aveva affatto resi ricchi, decisero di tornare al
paese, Montelepre, non lontano da Palermo, dove possedevano una casetta e un pezzo di terra. Ciò avvenne durante la turbolenta estate del 1922, qualche mese prima della marcia su Roma e del colpo di Stato di Mussolini.
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Era un bravo ragazzo
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Salvatore nacque il 16 novembre. Era il quarto figlio dei Giuliano. Costoro avevano già un maschio, Giuseppe, e due bambine, Giuseppina e Mariannina. Al figlio venne imposto il nome del padre, ma, per distinguerlo, fu soprannominato Turiddu, diminutivo dialettale di Salvatore. I genitori di Giuliano formavano una coppia molto affiatata, coraggiosa, rotta alla fatica e interamente dedita ai figli.
Da buoni siciliani, Maria e Salvatore ponevano al di sopra di tutto l’unità e la coesione familiare. A quell’epoca – ma non è che da allora le cose siano cambiate molto – la famiglia siciliana costituiva un’unità chiusa in se stessa, che obbediva a regole proprie e che era convinta di non dover rendere conto di nulla a nessuno.
Nonostante il lungo soggiorno negli Stati Uniti, la famiglia Giuliano rispettò sempre questa regola ancestrale che nessun ‘occupante’, in venticinque secoli, era riuscito a rompere.
Maria non era una bella donna. Tarchiata, il corpo sfasciato dalle maternità e dagli anni di lavoro, aveva mani grandi e un volto rugoso. Ma il disegno delle labbra molto marcato, la fronte alta, e soprattutto gli splendidi occhi neri erano il segno evidente della sua forza di carattere, del suo orgoglio. Salvatore, il padre, era basso come la moglie, ma secco e nodoso come una pianta di vite. Piuttosto taciturno e tranquillo, accettava volentieri di tirarsi in disparte davanti al volere della moglie. Maria era veramente la testa, l’anima e il cuore di casa Giuliano.
Turiddu non lasciò mai la Sicilia e trascorse quasi tutta la sua esistenza a Montelepre.
Anche se, più tardi, fu costretto ad abbandonare il villaggio natio, non se ne allontanò mai di molto.
Quando raggiunse l’età per imparare a scrivere e leggere, Turiddu si recò a scuola ed ebbe come insegnante un certo Don Caiozzi.
La classe nella quale insegnava Caiozzi non doveva essere poi tanto diversa da quella in cui, a Recalmuto, avrebbe insegnato, qualche anno più tardi, lo scrittore Leonardo Sciascia, che la descrisse, nel romanzo La parrocchia di Regalpetra, con queste parole: “Trenta ragazzi che si annoiano, spezzano le lamette da barba per lungo, le piantano nel legno del banco per mezzo centimetro e le pizzicano come le chitarre; si scambiano oscenità che ormai mi tocca far finta di non sentire – tua sorella, tua madre; bestemmiano sputano fanno conigli dai fogli del quaderno, conigli che muovono le lunghe orecchie, un tremito che finisce in una pallottola di carta al mio improvviso richiamo. E barche fanno, cappellucci; o colorano le vignette dei libri adoperando il rosso e il giallo selvaggiamente, fino a strappare la pagina. Si annoiano, poveretti. Altro che favole, grammatica, le città del Mondo e quel che produce la Sicilia: alla refezione pensano, appena il bidello suonerà il campanello scapperanno fuori a prendere la Ciotola di alluminio, fagioli brodosi con rari occhi di margarina, la scaglia del corned beef, il listello di marmellata cheinvoltano nel foglio degli esercizi e poivanno leccando per strada, marmellata einchiostro”.
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Turiddu, così vuole la leggenda, si dimostrò un buon alunno, studioso e perfino disciplinato. Egli stesso l’ha detto e ripetuto: amava lo studio e ha sempre sofferto del fatto di non aver potuto dedicare maggior tempo alla sua istruzione. Sfortunatamente, quando compì i 13 anni, i genitori furono costretti a tenerlo in casa, avevano bisogno delle sue braccia – anche se erano le braccia di un bambino – per sostituire quelle del fratello Giuseppe, chiamato a fare il servizio militare. Turiddu rimpianse la scuola, ma si mise coraggiosamente al lavoro. In seguito, si sforzò, quando gliene rimaneva il tempo, di colmare le proprie lacune. Leggeva molto e un po’di tutto, qualsiasi cosa gli capitasse tra le mani, purché fosse un libro. Naturalmente, non è che a Montelepre la scelta fosse abbondante. Eppure più tardi, nel corso di un’intervista, Salvatore Giuliano suscitò lo stupore generale affermando che il suo autore americano preferito era John Steinbeck.
L’infanzia di Turiddu non fu infelice. Al contrario, tutto ci lascia supporre che egli, sia da piccolo sia da adolescente, abbia conosciuto un affetto amorevole da parte dei suoi genitori.
Un affetto come lo conoscono la maggior parte dei ragazzi siciliani, se non addirittura maggiore ancora. Salvatore Giuliano era bello e i siciliani sono molto sensibili alla bellezza. Non gli mancò mai l’affetto della madre e delle sorelle che lo adoravano. Era l’affetto della madre ad avere la prevalenza. Un affetto subito ricambiato dal piccolo Turiddu, ricambiato con fervore e con costanza. Un amore viscerale che non cessò mai. Possiamo anche aggiungere che Maria era l’unico essere, l’unica donna che Giuliano abbia amato appassionatamente.
Infatti quando ormai era il fuorilegge più celebre del momento, ogni volta che la polizia voleva colpirlo duramente, metteva in galera sua madre. A 15 anni, Turiddu era già un bellissimo ragazzo. Più alto di suo padre, snello, ben proporzionato, possedeva lo sguardo penetrante della madre, la sua bocca sensuale e i suoi folti capelli neri, la fronte e il collo che ricordavano quelli di una statua greca. Passava per un bravo ragazzo, molto sincero, molto religioso. Inoltre era anche un sentimentale. A18 anni si innamorò di una ragazzina di 14 anni, Mariuccia. Una ragazzina bionda, quanto lui era scuro, e con gli occhi azzurri. Mariuccia possedeva anche una altra attrattiva: suo padre viveva negli Stati Uniti, e tutto quanto aveva un riferimento anche pur minimo con l’America, faceva sognare ad occhi aperti Turiddu, il quale se n’era fatta un’idea attraverso le narrazioni quasi fantastiche di cui lo avevano imbottito i genitori, il fratello e le sorelle, fin da quando era piccolissimo.
Questo idillio, durò alcuni anni, finché Giuliano divenne un fuorilegge. Allora Mariuccia partì per l’America, e tutto finì.
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Primo contatto con la vita
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Turiddu intanto continuava ad aiutare il padre nella coltivazione del loro minuscolo pezzo di terra. Era un lavoro faticoso e poco remunerativo. Ma per tutti i contadini di Montelepre era la stessa cosa. La terra era ingrata e, nonostante secoli di duro lavoro, nulla cambiava mai. E nessuno mai che si ribellasse. Sembrava che a Montelepre nessuno si rendesse con- to della propria miseria. D’altronde, da chi si sarebbe potuto sperare aiuto? Chi conosceva l’esistenza di quel paesetto sperduto?
Nessuno. Almeno per il momento.
Ma se il mondo ignorava Montelepre, bisogna anche riconoscere che Montelepre faceva altrettanto nei confronti del mondo. La Germania hitleriana poteva invadere la Cecoslovacchia, per poi occupare la Polonia, e a Montelepre nessuno se ne dava pensiero. Come del resto accadeva in tutta la Sicilia, a Montelepre sembrava che la gente fosse stata addormentata da vent’anni di fascismo. Infatti, almeno stando alle apparenze, erano secoli che la Sicilia non mostrava un volto così calmo. Il prefetto Mori, inviato a Palermo da Mussolini per combattere la criminalità e per distruggere la mafia, sembrava che fosse riuscito a portare a buon fine il suo difficile incarico. Vero anche, tuttavia, che la repressione era stata durissima: le prigioni erano piene. A chi soggiornava in Sicilia per qualche tempo, come fece notare lo scrittore inglese Gavin Maxwell, “quella calma non significava affatto che il Paese avesse accettato l’ideale fascista, o la sua integrazione con il resto d’Italia, ma significava semplicemente che la popolazione riteneva meglio aspettare la propria ora, come tante volte aveva già fatto nel corso dei secoli”.
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In realtà – e ben presto se ne avrà la prova – i capimafia più importanti erano riusciti a sfuggire al colonnello Mori, oppure ad accordarsi con lui, e, nell’attesa di giorni migliori avevano cura di non farsi troppo notare.
Mussolini aveva idee grandiose sulla Sicilia, di cui voleva fare il centro e il cardine dell’impero che contava di conquistare sulle rive del Mediterraneo. A questo scopo, diede fra l’altro ordine di modernizzare la rete telefonica dell’Isola. La linea telefonica, che partiva da Palermo per collegare Trapani, doveva passare per Montelepre.
Turiddu non incontrò difficoltà nel farsi assumere dall’impresa incaricata del lavoro.
Si mostrò ben presto così in gamba, che dopo pochi mesi gli fu affidata la direzione di un piccolo gruppo di operai. Ma l’ascesa troppo rapida di questo giovanotto di appena 17 anni, che possedeva già un comportamento e un tono da capo, non piacque ai suoi compagni. Scoppiarono alcune liti, che si fecero sempre più frequenti, e Turiddu venne licenziato. Dopo aver cambiato lavoro tre volte, fece ritorno a casa sua.
Era furibondo. Per la prima volta in vita sua, aveva conosciuto l’ingiustizia. Per la verità, la dolcezza rassegnata del padre non erano state una buona preparazione per affrontare il duro mondo che lo circondava.
Salvatore non ebbe il tempo di ritornare al lavoro dei campi. L’esercito aveva bisogno anche di lui. L’Italia era sempre in guerra, ma Salvatore non partecipò al conflitto. Aveva appena terminato il corso di addestramento, quando gli alleati sbarcarono in Sicilia.
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