–
WAIWAI *
–
Loretta Emiri **
–
La funzione di direttore del Centro di Artigianato rientrava nella categoria definita “incarico di fiducia”, e veniva attribuita a chi se ne fosse servito per ottenere risultati elettorali. Idoneità e competenza non erano requisiti richiesti. Ad eccezione di un funzionario che venne subito rimosso dall’incarico, nessuno di coloro che vidi alternarsi nella gestione del centro si preoccupò di sviluppare una politica per il settore; tantomeno dimostrò un minimo di serietà in relazione alla produzione indigena.
–
Correndo dietro alle false promesse dei politici, a ondate successive erano giunti in Roraima contingenti di poveri e diseredati provenienti da tutto il Brasile. La maggior parte degli oggetti esposti nel Centro di Artigianato denunciava il progressivo deterioramento dei valori etici e culturali degli emigranti. La manipolazione capitalista in atto stava facendo sì che un artigianato banale e omologato prendesse il posto di quelle che erano state arti regionali. Quanto agli indios, era chiesto loro di modificare, ad esempio, le dimensioni di alcuni oggetti o sopprimere parti di essi, così da facilitare il trasporto agli acquirenti. Ci fu un’epoca in cui la direttrice di turno utilizzava il centro per promuovere la sua produzione personale; e si serviva di cesti indigeni come basi di appoggio per bamboccetti e utensili in miniatura che riproducevano scene di vita quotidiana.
–
Nonostante queste premesse, a volte e del tutto casualmente, tra la chincaglieria esposta era possibile scovare pezzi indigeni originali, che in ogni loro particolare rispettavano e riproponevano materiali, tecniche e parametri artistici del gruppo etnico cui l’autore apparteneva. Quando l’occasione mi si presentava non me la facevo proprio scappare. Mettevo quegli oggetti al sicuro a casa mia, dove abbellivano spoglie pareti o sostavano in attesa di essere donati. In occasione di viaggi al sud del Brasile o in Italia, infatti, cosa di meglio offrire ad amici e conoscenti se non manufatti indigeni?
–
In Roraima scarsissime erano le notizie che circolavano sui waiwai. Comunque si sapeva che producevano un fine artigianato; che impiegavano molti giorni, addirittura settimane, per realizzare determinati oggetti; che le donne si specializzavano nella lavorazione della ceramica e nella produzione di ornamenti con semi e perline; che nei raffinati cesti da loro eseguiti gli uomini includevano disegni stilizzati di animali o di altri elementi della natura. Delle otto società indigene ancora rappresentate in Roraima, dal mio punto di vista, era la waiwai a produrre i manufatti più sofisticati.
–
Durante una ricognizione nel Centro di Artigianato ebbi la fortuna di imbattermi in materiale appena giunto dall’area waiwai. Mi portai a casa i pezzi più finemente lavorati, che erano: un cesto-setaccio, piatto e rotondo, con disegni di animali; un cestino cilindrico realizzato a partire da una base quadrata, abbellito con disegni geometrici e mazzetti di penne multicolori; un cesto-contenitore di forma parallelepipeda, anch’esso impreziosito da intrecci geometrici e penne variopinte, e composto da due volumi dei quali uno si sovrappone completamente all’altro e funge da coperchio. Inoltre feci incetta di pettini, piccoli oggetti che sintetizzano mirabilmente la grande arte waiwai.
–
Il pettine ha forma rettangoloide. I denti sono costituiti da sottili e appuntite asticelle di legno legate ad un asse, che è di legno a sua volta. Formato da due sezioni unite con filo di cotone bianco avvolto simmetricamente, e guarnito alle estremità con ciuffetti di piume di ara, l’asse delimita il punto in cui i denti spariscono sotto un compatto e levigato intreccio di fibre vegetali dando origine all’impugnatura del pettine. Le fibre sono bicolori e vengono lavorate in modo da riprodurre disegni geometrici. L’impugnatura è inserita dentro un osso tagliato longitudinalmente, che diviene il dorso del pettine. Le estremità dell’osso, non tagliate e più lunghe rispetto all’impugnatura, sono anch’esse guarnite con piccoli ciuffi di piume di pappagallo. Due cordicelle legano le estremità dell’asse di legno al dorso di osso, con il risultato di rendere compatto e robusto l’oggetto. Le tecniche seguite e i materiali usati sono gli stessi, ma non ci sono pettini che siano uguali fra di loro. La creatività degli autori si manifesta soprattutto nelle infinite varianti dei disegni geometrici. Affermazioni di identità personali all’interno di un’appartenenza sociale, su me quei disegni esercitavano un grande fascino, una forte attrazione.
–
Partecipai a un incontro statale di maestri indigeni. Ad eccezione di un’insegnante taurepang, erano tutti macuxi e wapichana. Per la prima volta nella storia di questo tipo di eventi, era rappresentato anche il popolo waiwai, nella persona di una giovane donna che stava a sua volta preparandosi per divenire maestra. Me la presentò un bianco che insegnava nell’unica scuola amministrata dallo Stato di Roraima in area waiwai. Non riuscimmo a dirci molte cose perché io non parlavo la sua lingua e lei conosceva ancora poco il portoghese, ma l’empatia si manifestò ugualmente. Un bel sorriso illuminava il volto della donna. Lunghissimi, neri e lucenti erano i suoi capelli. Mi tornarono in mente i tanti pettini che nel corso degli anni avevo comprato, ammirato, regalato. Nell’intimo formulai la speranza che, anche servendosi della scuola, i waiwai continuassero a esprimere la propria creatività, che seguitassero ad affermare la propria identità sociale pur facendo politicamente parte del Brasile.
–
* Il brano “Waiwai” è uno dei capitoli del libro Amazzone in tempo reale.
–
** Loretta Emiri è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas, i libri di racconti Amazzonia portatile, Amazzone in tempo reale (premio speciale della giuria per la Saggistica, del Premio Franz Kafka Italia 2013) e A passo di tartaruga – Storie di una latinoamericana per scelta, il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne. È anche autrice dell’inedito Romanzo indigenista, mentre del libro Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più, anch’esso inedito, è la curatrice. Suoi testi appaiono in blogs e riviste on-line, tra cui Sagarana, AMAZZONIA – fratelli indios, La macchina sognante, Fili d’aquilone, El ghibli, I giorni e le notti, La bottega del Barbieri, Pressenza, Euterpe.
–