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Nuova frontiera *
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Loretta Emiri **
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Durante la corsa all’Ovest nel 1850, la frontiera americana si spostava continuamente, per cui era sempre nuova. Durante la convenzione democratica di Los Angeles del luglio 1960, John Kennedy sostenne che i pionieri moderni dovevano portare i valori della democrazia verso una nuova frontiera scientifica e spaziale, di sviluppo, di condivisione e benessere sociale, di pace e libertà; da quel momento “Nuova frontiera” divenne lo slogan della sua campagna elettorale. Durante l’amministrazione di colui che era il più giovane presidente degli Stati Uniti, la locuzione passò a sintetizzare l’azione politica rinnovatrice che Kennedy e il suo governo volevano realizzare.
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I discorsi glieli preparava Arthur Schlesinger Jr., che si ispirava al pensiero di Gaetano Salvemini. Avete capito cosa c’è dietro la corta frase che ho appena scritto? Il pensiero di un grande italiano del sud alimentava la riflessione del presidente degli Stati Uniti e dei suoi collaboratori. Come si è potuti arrivare, in tempi recenti, a innalzare al rango di politico italiano un uomo del nord che “ce l’aveva duro”, e non di cervello stiamo parlando? Allo scervellato è stato permesso di sbavare odio contro i fratelli del sud, farneticare propositi di secessione della Padania, farfugliare preconcetti, predicare stereotipi, fomentare il razzismo. Nessuno, nemmeno il presidente della Repubblica e la sua corte di saggi-consiglieri-consulenti-garanti, ha impedito che il simbolo per eccellenza dell’unificazione del Paese, il “Va pensiero” del Nabucco di Verdi, venisse utilizzato come inno del partito di quei barbari che, centocinquant’anni dopo, l’Italia la volevano squartare di nuovo. Barbari che hanno anche strumentalizzato immagini di indiani d’America mettendo loro in bocca slogan ridicoli e castronerie sul diritto all’autodeterminazione di una regione italiana.
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Scarpetta seguiva con interesse le vicende politiche, scontrandosi spesso con il padre la cui lettura della realtà differiva abbastanza dalla sua. Ciononostante conserverà un bel ricordo delle loro animate discussioni che, prima di ogn’altra cosa, provano che il papà non reputava fosse una perdita di tempo trascorrere dei momenti ascoltando e confrontandosi con la figlia adolescente.
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Kennedy era un bell’uomo, ma ciò che infiammava Scarpetta erano le sue parole. “Non chiedete cosa può fare il Paese per voi, chiedetevi cosa potete fare voi per il Paese”; erano frasi come questa che i giovani volevano udire perché, se la democrazia è partecipazione, allora i non-vecchi devono attivamente e creativamente essere coinvolti nella costruzione di una società migliore. Alle altre Nazioni Kennedy chiese di unirsi nella lotta contro ciò che chiamò “i comuni nemici dell’umanità…..la tirannia, la povertà, le malattie e la guerra”. In un discorso pubblico criticò la costruzione del Muro di Berlino. Durante la “Crisi dei missili di Cuba”, militari e ministri del governo avrebbero voluto sferrare un attacco aereo; invece lui ordinò il blocco navale e avviò i negoziati con i sovietici. I missili furono ritirati, ma anche quelli americani posizionati in Turchia. Angosciata, consapevole del fatto che il mondo era sull’orlo di una guerra atomica, Scarpetta aveva trascorso ore immobili incollata al televisore in attesa dell’evolversi dei fatti. Dopo una fitta corrispondenza tra USA e URSS, nell’agosto del 1963 si arrivò a quello che è considerato uno dei successi diplomatici dell’amministrazione Kennedy: la firma del Partial Test Ban Treaty, accordo che proibiva agli Stati aderenti di realizzare esperimenti nucleari a terra, sott’acqua, nell’atmosfera, ma non quelli sotterranei. Sempre al 1963 risale il cambio di passo del presidente americano nei confronti della guerra: secondo le dichiarazioni dell’allora Segretario della Difesa, Robert McNamara, Kennedy non aveva nessuna intenzione di impegnarsi in un conflitto in Vietnam e, nel memorandum datato 11 ottobre 1963, ordinava il ritiro di mille uomini; decisione annullata da Johnson appena divenuto presidente.
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Come non stimare un uomo capace di dichiarazioni e scelte politiche come quelle sopra citate? Kennedy fu assassinato nel novembre del 1963. Fu una perdita tremenda, devastante; da quel momento in Scarpetta si insinuò il dubbio che ogni anelito di uguaglianza e giustizia è costantemente tenuto sotto tiro da chi detiene il potere economico, e non ha nessuna intenzione di condividerlo. Comprò un libro fotografico in cui la tribù Kennedy figurava tutta; decisamente una gran bella famiglia: allegra, sportiva, elegante, fotogenica e, proprio come una famiglia normale, incline a nascondere tradimenti e debolezze. Alla luce delle inchieste fatte, oggigiorno ci è rimasto da chiederci se può essere definito democratico un Paese in cui, attraverso tiri incrociati di fucile, viene spappolato il cervello di un presidente democraticamente eletto per impedirgli di portare a termine mandato e programma politico.
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Se l’elettricista comunale doveva prestare servizio a teatro, per Scarpetta l’evento diveniva mondano. Sovrastante quello delle autorità, prendeva posto nel palco in cui suo padre armeggiava con fari, luci e riflettori. Da quella strategica posizione centrale assistette ad alcune opere. Una ricerca storico-bibliografica precedette l’ascolto del Nabucco, che piacque molto ed emozionò la giovane. Lesse che il melodramma aveva risvegliato il patriottismo degli italiani, che “Viva VERDI” era l’acronimo di “Viva Vittorio Emanuele Re D’Italia”, che il coro “Va pensiero” era divenuto un inno contro l’occupante austriaco, che l’esecuzione fuori programma del brano a teatro era stato il segnale annunciante la vittoria sull’invasore.
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* Il brano “Nuova frontiera” è uno dei capitoli dell’inedito Romanzo indigenista.
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** Loretta Emiri è nata in Umbria nel 1947. Nel 1977 si è stabilita in Roraima (Brasile) dove ha vissuto per anni con gli indios Yanomami. In seguito, organizzando corsi e incontri per maestri indigeni, ha avuto contatti con varie etnie e i loro leader. Ha pubblicato il Dicionário Yãnomamè-Português, il libro etno-fotografico Yanomami para brasileiro ver, la raccolta poetica Mulher entre três culturas, i libri di racconti Amazzonia portatile, Amazzone in tempo reale (premio speciale della giuria per la Saggistica, del Premio Franz Kafka Italia 2013) e A passo di tartaruga – Storie di una latinoamericana per scelta, il romanzo breve Quando le amazzoni diventano nonne. È anche autrice dell’inedito Romanzo indigenista, mentre del libro Se si riesce a sopravvivere a questa guerra non si muore più, anch’esso inedito, è la curatrice. Suoi testi appaiono in blogs e riviste on-line, tra cui Sagarana, La macchina sognante, Fili d’aquilone, El ghibli, I giorni e le notti.