• Heidegger, il Nulla e la Kabbalah

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    di Fabio Della Pergola

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    Dopo il furore iconoclasta che ha investito l’idolo Heidegger nel corso degli ultimi anni, in occasione della prima pubblicazione dei suoi Quaderni neri, da qualche tempo non ci sono che alcune sparute fiammate, perlopiù in difesa del filosofo tedesco, in attesa forse di un prossimo secondo round quando saranno pubblicati gli altri volumi.

     

    Nel frattempo vale forse la pena dare un’occhiata da vicino ad un particolare affermazione che la filosofa Donatella Di Cesare ha ritenuto di dover fare, e che appare piuttosto spericolata, sottolineando una “convergenza tra il pensiero di Heidegger e la mistica ebraica” a proposito del concetto di Nulla.

     

    La filosofa romana, a lungo vicepresidente della Martin Heidegger-Gesellschaft, società di studi intitolata al filosofo tedesco, a pagina 218 del suo Heidegger e gli ebrei scrive: «Lungi dall’essere un oggetto, o un ente qualsiasi, il niente è “ciò che rende possibile” l’ente per l’esserci umano. È dal niente che l’ente di volta in volta emerge (…) Ma non è incauto pensare un tale intreccio? A ben guardare, ancor più incauto è mettere per tal via in dubbio l’antico assioma metafisico ex nihili nihil fit, dal nulla non viene nulla».

     

    Ed è qui che, secondo Di Cesare, «Heidegger non esita a rovesciare addirittura questo assioma: dal nulla viene ogni ente».

     

    I greci in effetti non hanno mai accennato alla “creatio ex nihilo” che noi moderni diamo per scontata come indiscutibile pensiero dogmatico circa la creazione, che appartiene oggi alla tradizione religiosa di tutti e tre i monoteismi.

    Loro piuttosto, i greci, «hanno sempre immaginato un caos primordiale che viene ordinato in un kósmos, che prende dunque forma».

    Ma, aggiunge la filosofa con un sorprendente coup de théâtre, «l’eccezione è la Kabbalah. Sono stati i kabbalisti a scorgere tra le falde silenziose della creazione il baratro oscuro del nulla (…) Non si può, dunque, non constatare questa sorprendente convergenza, nel nulla, e nella creazione dal nulla, tra Heidegger e la Kabbalah». Cioè tra il filosofo nazista e la mistica dell’ebraismo spagnolo del XII-XIII secolo.

     

    E sono ancora i kabbalisti a ricordare come «Aìn [ciò che non è] si volge in Anì [ciò che è], dal nulla l’Io» e che, temerari, «spingono il nulla fino a Dio, il nulla è Dio stesso nel suo aspetto più nascosto». Con questa frase davvero apodittica si avvia a conclusione il terzo capitolo – “La questione dell’Essere e la questione ebraica” – che è il più corposo del suo libro.

    È però proprio il punto forte del ragionamento della filosofa romana – il pensiero greco sarebbe confutato in primis da quello kabbalista che introdurrebbe il Nulla nella storia del pensiero – che lascia perplessi.

     

    Perché ampiamente contraddetto dai tanti e articolati saggi “sul Nulla” oggi esistenti.

    Basta citarne un paio – Storia del nulla di Sergio Givone o Da zero a infinito. La grande storia del nulla di J. D. Barrow – per venire a sapere che la creatio ex nihilo, cioè l’idea di un Nulla originario da cui deriverebbe tutto il creato (e quindi l’essere) fu il parto delle infinite discussioni fra teologi e gnostici cristiani del II secolo e che questo stesso ambiente originò, un paio di secoli più tardi, quella particolare riflessione sull’essenza di Dio conosciuta come “teologia negativa” (Dio è ineffabile e non può quindi essere descritto per ciò che è, ma solo per ciò che non è). Qualche secolo dopo essa si concretizzò nella speculazione mistica che identificava Dio con il Nulla stesso, diffusa sia nel mondo cristiano che in quello islamico.

     

    Solo a partire dal X secolo l’idea di “creazione dal nulla” fu accolta nella teologia ebraica e solo con il XII secolo l’idea, effettivamente temeraria, che identificava Dio con il Nulla veniva fatta propria dalla Kabbalah.

    Il demerito (ma c’è il sospetto che per Di Cesare sia un merito) della mistica ebraica sarebbe quindi di aver veicolato nella cultura occidentale una sorta di vuoto originario, concetto che nasce invece altrove e da lì si dispiega poi in tutto il mondo allora conosciuto (eccezion fatta per l’Estremo Oriente che percorreva sentieri diversi, ma non così dissimili) grazie alle culture dominanti, non certo per uno sparuto gruppetto di mistici giudeo-spagnoli.

     

    La Kabbalah, se mai ha avuto quello che a noi appare realmente come un merito, è stato di rifiutare esplicitamente l’ascetismo tipico della mistica cristiana per proporre come elemento fondamentale della realizzazione umana il rapporto uomo-donna («Un uomo non può essere definito uomo fino a che non è “uno” con la donna»). Una particolarità messa in evidenza da tutti gli studiosi specialisti, che caratterizza quindi la Kabbalah per un aspetto, il rapporto uomo-donna nella sua realtà carnale, non allegorica, che ben difficilmente può aver a che fare con un “nulla” ontologico interpretabile come incolmabile mancanza originaria, una specie di “peccato originale” in salsa giudaica.

     

    Da qui la perplessità, come abbiamo detto, verso l’assunto della filosofa romana; ci si chiede perché abbia voluto tracciare una linea di connessione tra il filosofo tedesco, antisemita e nazista – lei stessa lo definisce così a chiare lettere – e la mistica ebraica e non, piuttosto, con la ben più diffusa tradizione islamica o con quella cristiana, cui accenna solo in una noterella a margine in cui ricorda il grande mistico tedesco del XIII secolo, Meister Eckhart, di cui Heidegger era appassionato studioso.

     

    È noto che la filosofa romana ha dato una controversa definizione del pensiero di Heidegger, riassumendo così il risultato della sua esplorazione dei Quaderni neri: «Il pensiero più elevato si è prestato all’orrore più abissale». Giustamente la filosofa Roberta De Monticelli  si è chiesta: «ma che cosa ci sarà di così “elevato”?».

    Finale caustico, ma condivisibile.

     

    Se per Donatella Di Cesare il pensiero di Heidegger è “il più elevato” viene il dubbio che lei abbia denunciato apertamente l’antisemitismo del Maestro in omaggio alle proprie origini ebraiche, ma che, nello stesso tempo, ne volesse in qualche modo salvaguardare la filosofia agli occhi del mondo ebraico stesso, nonostante gli strali, numerosi e parecchio pungenti, che le sono piovuti addosso proprio da quel mondo, allibito e forse intimamente ferito dalla sua sostanziale difesa del filosofo di punta del III Reich.

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    Pubblicato venerdì 29 aprile 2016 su AgoraVox-Italia

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