–
I sarti dello Stato islamico
–
Il sequestro di 20.000 uniformi nel porto di Valencia mette in evidenza la rete di appoggio logistico all’ISIS
–
di Miguel González e Patricia Ortega Dolz. El País
(11/04/2016)
Traduzione di Gian Carlo Zanon
–
Daesh (ISIS) non è solo un gruppo terrorista, è un proto-stato, come lo ha definito il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuer García-Margallo. Per questo motivo, oltre a reclutare combattenti stranieri, occorre armarlo, equipaggiarlo, vestirlo, per fare in modo che possa sembrare un vero esercito.
Ma da dove vengono qui fiammanti Suv che circolano in carovana per sentieri polverosi che vediamo nei video dello Stato islamico? Chi gli fornisce i fucili e le mitragliatrici che i terroristi alzano al cielo? Come ottengono le uniformi che indossano? Chi gli fornisce tutto ciò e come lo pagano?
Lo scorso 15 marzo la polizia ha sequestrato un container nel porto di Algeciras (Cadiz) e altri due in quello di Valencia. Mentre il primo conteneva abiti usati, come dichiarato alla dogana, negli altri due c’erano un’imballatrice e, occultate sotto mucchi di roba usata, 5 tonnellate di balle di vestiario, perfettamente impacchettate e griffate, composte da 20 mila uniformi militari nuove di zecca.
Gli invii avvenivano per mezzo di navi verso la Turchia e poi su strada fino alla Siria.
–
L’impresa di esportazione tessile Tigre Negro S. L. era la copertura.
L’operazione di polizia ordinata dal giudice della Audiencia Nacional Eloy Velasco completava quella realizzata il 7 febbraio scorso, quando sette immigrati furono arrestati per presunta appartenenza a una rete di appoggio allo Stato islamico, a Ontinyent (Valencia), a Ceuta, vicino a Crevillent, a L’Alqueria d’Asnar, a Muro d’Alcoi e Alicante.
–
Si presume che il capo dell’organizzazione fosse Ammar Termanini, nato ad Aleppo (Siria) nel 1972 e sbarcato nella penisola iberica nel 2012, dopo aver vissuto in Olanda, Belgio e Regno Unito. In Spagna, ha creato l’azienda Tigre Negro S.L., di cui era amministratore unico, specializzata nell’import/export di prodotti tessili. Sotto la copertura dell’invio di aiuti umanitari, Termanini ha realizzato diverse spedizioni in Siria, dove si recava spesso.
–
Termanini non aveva problemi a mostrare da che parte stesse: sul suo profilo Facebook aveva postato delle sue foto, in cui indossava armi automatiche, nel passo di Bad al Hawa e nella città siriana di Idlib, sotto controllo di Al Nusra.. Le intercettazioni telefoniche hanno rivelato in che modo era passato dal prediligere la filiale siriana di Al-Qaeda a servire il Califfato.
–
Il finanziatore delle operazioni di Termanini era, presumibilmente, affidata a Mohamed Abu El Rub Karima, nato in Giordania nel 1960 che abitava vicino a Ontinyent. Nella sua nave, ormeggiata, nella zona industriale di L’Atet, sono state trovate lo stesso tipo di uniformi sequestrate poi nel contenitore di Valencia. Per reperire i fondi ed effettuare pagamenti , si serviva della hawala, il tradizionale sistema islamico basato sulla fiducia che permette di far girare denaro in diversi paesi senza lasciare traccia di transizioni bancarie. L’ideologo del gruppo, probabilmente, era Nourdine Chikar Allal, imprenditore marocchino residente a Muro d’Alcoi e presidente della Moschea di Cocentaina. Grazie ai suoi contatti in Turchia, si occupava di rimuovere tutti gli eventuali ostacoli fino alla destinazione finale.
–
Come in molte altre occasioni, alcuni degli implicati erano vecchie conoscenze dei servizi segreti spagnoli: Hitham Sakka Al-Kasim, nato ad Homs (Siria) e detenuto a Ceuta, fu investigato da parte della Audiencia Nacional in relazione ai gruppi vincolati all’11 Settembre; mentre suo fratello lo fu per gli attentati dell’11 Marzo.
–
Altri due detenuti, un marocchino e un siriano, erano impiegati confidenziali di Termanini nell’azienda Tigre Negro, Tra i presunti implicati c’è anche uno spagnolo: Simón Richart Lucas, nato a Muro d’Alcoi e residente a L’Alqueria. Non si tratterebbe di un convertito né di un fanatico jihadista, ma di un imprenditore senza scrupoli disposto a non disprezzare alcun tipo di affare, secondo quanto riferito da chi lo conosce.
–
La rete non solo inviava uniformi allo Stato Islamico, ma gestiva qualsiasi tipo di richiesta. Ad esempio, un tipo di fertilizzante non commercializzato in Spagna e che serviva per fabbricare esplosivi.
–
Il bandolo della matassa del sostegno a Daesh è molto complessa ed è ramificata in molti paesi. Gli investigatori stanno iniziando solo ora a sbrogliarla, ma sono sicuri che – come successe anni fa per L’ETA – per vincerlo non basta arrestare i combattenti: bisogna tagliare i finanziamenti e bloccare le rotte di approvvigionamento logistico.
–
Vedi qui il video del sequestro
–
Postato il 17 aprile 2017
–