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di Kamel Daoud
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La miseria sessuale del mondo arabo
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Oggi il sesso è un enorme paradosso in molti paesi arabi: ci si comporta come se non esistesse, ma allo stesso tempo determina tutto ciò che non viene detto.
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Dopo Tahrir, Colonia. Dopo la piazza, il sesso. Le rivoluzioni arabe del 2011 avevano entusiasmato i pensieri, ma ora la passione si è spenta. Si è finiti per scoprire in quei movimenti delle imperfezioni, delle brutture. Per esempio, hanno toccato poco le idee, la cultura, la religione o i codici sociali, soprattutto quelli che hanno a che vedere con la sessualità. Rivoluzione non vuol dire modernità.
Gli attacchi contro le donne occidentali da parte di migranti arabi a Colonia, in Germania, alla veglia del primo giorno dell’anno, hanno ricordato le molestie che altre donne avevano subito a Tahrir durante i bei giorni della rivoluzione. Un ricordo che a spinto l’Occidente a comprendere che una delle grandi miserie di buona parte del mondo definito “arabo”, e del mondo mussulmano in generale, è il rapporto patologico con la donna. Ci sono luoghi in cui la si violenta, la si lapida, la si uccide; o come minimo la si rimprovera di seminare disordine all’interno della società ideale. Per tutta risposta, alcuni paesi europei hanno prodotto delle linee guida di buona condotta per rifugiati e migranti.
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Il sesso è un tabù complesso. Nei paesi come Algeria, Tunisia, Siria o Yemen, la sessualità è il prodotto della cultura patriarcale del conservatorismo ambientale, dei nuovi rigorosi codici degli islamisti e dei discreti puritanesimi dei diversi gruppi sociali della regione. Un bel miscuglio per bloccare il desiderio, per colpevolizzarlo e spingerlo ai margini e alla clandestinità. Tutto ciò è ben lontano dalla deliziosa permissività evocata dagli scritti dell’era d’oro musulmana, come “Le Jardin Parfumé” de Cheikh Nefzaoui, che affronta il tema della sessualità senza problemi complessi di erotismo e di Kamasutra.
Oggi il sesso è un enorme paradosso in numerosi paesi arabi: ci si comporta come se non esistesse, ma condiziona tutto il “non detto”. Negato, fa sentire il peso del suo annullamento. La donna anche se viene velata, è al centro di tutti i nostri rapporti, di tutti i nostri scambi, di tutte le nostre preoccupazioni.
La donna ritorna continuamente nei discorsi quotidiani, come posta in gioco della virilità, dell’onore e dei valori familiari. In alcuni paesi la donna non ha accesso allo spazio pubblico a meno che non abdichi al suo corpo. Il suo svelarsi significherebbe svelare l’invidia che l’islamista, il conservatore, e il giovane vogliono negare.–
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In quanto fonte di disequilibrio, lei non viene rispettata se non quando si sia ben definita all’interno di un rapporto di proprietà: come moglie di X o figlia di Y.
Queste contraddizioni creano tensioni insopportabili: il desiderio non può realizzarsi; la coppia non è più uno spazio per l’intimità, ma una preoccupazione per il gruppo. Il risultato è una miseria sessuale che porta all’assurdo o all’isteria. Anche qui si spera di vivere una storia d’amore, ma viene ostacolata la dinamica dell’incontro, della seduzione e del flirt. Le donne vengono sorvegliate, la questione della verginità viene sovrastimata, si dà potere “à la police des moeurs” alla buoncostume. Si pagano persino i chirurghi di riparare l’imene.
In alcune terre d’Hallah, la guerra alla donna viene portata avanti come una vera e propria inquisizione.
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D’estate, in Algeria, brigate di salafiti e di giovani dei quartieri, arruolati grazie ai discorsi degli imam radicali o dalle televisioni islamiste, sorvegliano i corpi, in particolare quelli delle bagnanti in costume da bagno. Negli spazi pubblici, la polizia molesta le coppie, anche quelle sposate. I giardini sono interdetti alle passeggiate degli innamorati. Le panchine sono tagliate a metà al fine di impedire che ci si possa sedere fianco a fianco.
Risultato: si finisce per fantasticare o sulla spudoratezza o sulla lussuria dell’Occidente, o sul paradiso musulmano con le sue vergini.
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D’altra parte questa scelta perfettamente incarnata dall’offerta dei media mussulmani.
Alla televisione, mentre i teologi fanno furore, le cantanti e le ballerine libanesi della “Silicon Valley”, mantengono vivo il sogno di un corpo irraggiungibile e di una sessualità impossibile. Sul piano dell’abbigliamento, si va da un estremo all’altro: da un lato, il burqa, il velo integrale ortodosso; dall’altro, il velo moutabaraj (“il velo che rivela”), un foulard assortito sulla testa più jeans o pantaloni stretti. Sulle spiagge, la Burquini si oppone al bikini.
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I sessuologi sono rari in terra islamica, e il loro consigli non vengono ascoltati. Di colpo, sono gli islamisti ad avere il monopolio dei discorsi sul corpo, sul sesso e sull’amore. Con Internet e le teo-televisioni lo stato delle cose ha assunto forme mostruose – una sorta di porno-islamismo. Alcuni religiosi lanciano fatwa grottesche: è proibito fare l’amore nudi, , le donne non possono toccare le banane, un uomo non può restare solo con una collega donna a meno che non si tratti della propria madre di latte che lo ha allattato.
Il sesso è dappertutto.
E soprattutto dopo la morte.
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L’orgasmo non è accettato se non dopo il matrimonio – ma sottomesso a codici religiosi che lo svuotano dal desiderio – o dopo la morte. Il paradiso e le sue vergini sono un tema feticcio dei predicatori, che presentano le delizie d’oltre tomba come ricompensa agli abitanti delle terre della miseria sessuale. Il kamikaze lo sogna e si sottomette a un ragionamento terribile e surreale: l’orgasmo giunge attraverso la morte, non attraverso l’amore.
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L’Orientalismo mitiga le variazioni culturali e perdona le derive: Scheherazade, l’harem e la danza velo hanno dispensato di interrogarsi sui diritti della donna musulmana. Ma oggi, con il recente afflusso di migranti provenienti dal Medio Oriente e dall’Africa, il rapporto patologico che alcuni paesi arabi intrattengono con la donna ha fatto irruzione in Europa.
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Quello che era stato lo spettacolo spaesante di terre lontane prende le sembianze di uno scontro culturale anche sul suolo d’Occidente. Le differenze allora affievolite dalla distanza e da una errata percezione di superiorità sono diventate un’imminente minaccia. Il grande pubblico occidentale scopre, nella paura e nell’agitazione, che nel mondo islamico il sesso è malato e che questa malattia sta per conquistare le sue terre.
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Leggi qui l’articolo del The New York Times in lingua originale francese – in fondo all’articolo si trovano i lik per leggere l’articolo in inglese e in arabo
Traduzione dal francese Gian Carlo Zanon
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