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di Francesco Troccoli
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Il lettore italiano ha ascoltato per la prima volta la voce narrante di Marcelo Figueras ai tempi di Kamchatka, uno di quei libri che, quando li hai finiti, sai che la tua visione del mondo non sarà più la stessa. È uno specialista di “dolceamaro”, Figueras. I suoi personaggi si muovono all’interno di labirinti asfissianti, eppure in quei labirinti, con ostinazione, cercano la strada verso brandelli di felicità. O ciò che più le rassomiglia. Se Kamchatka era il diario di un ragazzino obbligato dalle circostanze a sviluppare un’identità di adulto, Aquarium è l’odissea di un adulto invischiato nell’affannoso tentativo di ritrovare la sua identità di ragazzo. Dal labirinto della dittatura argentina a quello dell’occupazione della Palestina il passo è breve.
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Nelle prime pagine si resta subito colpiti dall’idea geniale che il protagonista, Ulises, ricorda di aver avuto da piccolo: le chiese, con le loro assurde architetture, altro non sono che astronavi aliene, pronte a spiccare il decollo verso l’infinito (è un appassionato del genere fantastico, Figueras, e anche per questo chi scrive non può non amare la sua voce, capace di affabulare persino con il realismo più crudo). Ma un giorno, l’ansia del prete (che “aveva lo stesso odore di un frigorifero dopo un’interruzione di corrente”) che nel buio del confessionale vuol sapere se lui “si è toccato lì”, gli fa capire che nella religione cattolica non c’è nessuna tensione verso l’Alto, ma solo un’insopprimibile bramosia del Basso, in ogni sua forma. È il peso insopportabile del peccato originale, con cui la fantasia del ragazzo e quella del narratore devono fare subito i conti, per prendere una decisione: sottrarsi alla condanna. Quello di spogliarsi di una tara così mortifera e auto-distruttiva è un tentativo, non possiamo dire se e quanto fruttuoso perché anticiperemmo troppo, che segna tutta la narrazione, nel profondo.
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Forse è anche per questo che Ulises, argentino, psicologo carcerario, sempre a contatto con un’umanità variamente peccatrice (che, forse non a torto, trova più gradita della media borghesia del suo paese), ha sposato Gaby, che è ebrea. Assieme ai due figli, Alicia e Tadeo, è nata da quest’unione anche la speranza di placare la rabbia incontenibile che mina le fondamenta della vita del protagonista. Ma non è così semplice. Il vissuto di inadeguatezza cronica, l’incapacità di rifiuto intelligente, continuano a giocargli brutti scherzi, fra freddi sfoggi di asocialità e grottesche manifestazioni di pura misantropia, finché un giorno Gaby lo lascia.
La donna trova rifugio in Israele portandosi dietro i ragazzi e aprendo una voragine nell’humus già assai friabile di Ulises. Ed è proprio in Israele, e nei territori occupati, che si svolge gran parte della storia, con l’uomo sempre in bilico fra la disperata ricerca dei figli e l’effetto inebriante, gioioso, del colpo di fulmine che esplode sul ciglio di una strada, mentre un autobus galeotto si allontana.
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–Questo è forse il fulcro del romanzo. Il rapporto intenso, passionale, spontaneo, immediato, fra una donna e un uomo che hanno in comune solo qualche parola d’inglese (Ulises non parla altro che spagnolo) e sono perciò costretti, sin dal primo incontro sull’autobus, a conoscersi esclusivamente attraverso il linguaggio dei corpi. “Lo psichiatra Massimo Fagioli sostiene che quando t’innamori, nel rapporto con l’amante puoi ricreare il primo anno di vita (…), prima ancora di aver imparato a parlare” spiega l’autore in una bella intervista pubblicata sul settimanale Left, in occasione del recente tour italiano. Artista, donna tenace, vitale nonostante la cardiopatia congenita, capace di plasmare la materia inerte ma anche e soprattutto quella umana, come quella degli orfani di cui pure si occupa, Irit dà tutta se stessa perché Ulises porti a compimento il proposito di salvarsi dallo stramaledetto peccato originale, che sembra sconfitto ma è sempre dietro l’angolo, pronto a chiedergli conto della sua vita. Come un daìmon. Un diavolo che chiede il rispetto di un antico patto.
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Il resto, dovrete leggerlo.
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Ma come nasce questo strano titolo, vi chiederete. L“acquario” di Tel Aviv (immaginario, precisa l’autore) è lo sfondo silenzioso, forse il solo elemento immobile della storia, di cui ospita uno dei personaggi più affascinanti. È un grande cetaceo, un narvalo, ma lo scoprirete da soli, così come scoprirete i commoventi soliloqui di un vecchio vedovo che avrete voglia di abbracciare, e i silenzi di un ragazzo palestinese che ha smesso di parlare da tanto tempo e non si sa da dove venga.
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È un libro traboccante di citazioni, questo. Di citazioni intelligenti e non soltanto colte. Borges, Carroll, Conrad, Murakami, Kundera, Omero, Shakespeare, Salinger, Erodoto, Platone. Di citazioni musicali, pop e non soltanto letterarie. Hugo Pratt, Oliver Sacks, Freddy Mercury, Whitney Houston, Julio Iglesias, i Beatles. E Jacques Brel. Soprattutto Jacques Brel. Una delle prime citazioni in cui ci s’imbatte, nella misura in cui il romanzo risale al 2009, ha quasi il sapore di una profezia: si tratta infatti de L’Asino d’Oro, di Apuleio.
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Per i pochi che ancora lo ignorassero, è anche il nome dell’editore che ci ha regalato entrambi i romanzi di Figueras, e che ci porterà anche il prossimo: El Rey de Los Espinos, un grosso tomo che speriamo cartonato come l’originale in spagnolo già in commercio. Ci auguriamo inoltre che sarà ancora Gina Maneri a tradurre anche questa storia, che nella miglior tradizione del genere fantastico all’interno della quale (orgogliosamente) si colloca, è un non dichiarato omaggio a una delle più celebri vittime della dittatura argentina, Héctor Oesterheld, l’ideatore del fumetto-capolavoro fantascientifico L’Eternauta, che gli attirò la mortale ira dei militari al potere.
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Così questo bel cerchio, iniziato con la storia del gioco da tavolo di un bimbo contro la dittatura, si chiuderà. E a quel punto cercheremo, tutti insieme, incantati dalla voce di Marcelo Figueras, di aprirne un altro.
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Scheda
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Titolo: Aquarium
Autore : Marcelo Figueras
Editore : L’Asino d’Oro
14 ottobre 2015