Ripubblichiamo questo articolo dopo la tragedia di Boston per ribadire che questi gesti criminali spessissimo sono eseguiti da individui malati di mente. E questa pazzia lucida non viene mai riconosciuta come tale. In calce all’articolo troverete alcuni appunti aggiunti oggi che chiariscono meglio anche ciò che è successo a Boston.
–
di Giulia De Baudi
BRINDISI – Due giorni fa un elastico sfilato da uno slip personale è stato trovato e sequestrato dagli agenti di custodia del carcere di Lecce nella cella di Giovanni Vantaggiato, il 68enne di Copertino (Lecce) detenuto dal 7 giugno scorso e reo confesso dell’attentato di Brindisi del 19 maggio dinanzi alla scuola Morvillo Falcone, che provocò la morte di una studentessa di 16 anni, Melissa Bassi, e il ferimento di altre cinque studentesse.
Non è ancora chiaro se l’assassino abbia voluto lanciare solo un messaggio agli inquirenti, o se volesse veramente compiere un atto autolesionistico.
Pare comunque che il Vantaggiato sia piuttosto ‘tranquillo’ e continua a trascorrere il tempo soprattutto compilando cruciverba.
Per la mattina di martedì 3 luglio è stata fissata l’udienza davanti ai giudici del tribunale del riesame di Lecce relativa al ricorso di Giovanni Vantaggiato contro la parte dell’ordinanza di custodia cautelare riguardante l’aggravante della finalità terroristica dell’attentato e che nella stessa ordinanza reca peraltro la dicitura “in concorso”.
A quanto pare gli inquirenti vogliono indagare ancora perché, secondo loro “manca il movente”. Probabilmente fanno fatica a pensare che un uomo, che, visibilmente, si comporta “con congruità” possa aver provocato volontariamente la morte di un ragazza e il ferimento di altre cinque solo per «Un colpo di testa».
In questo modo si è espresso il dinamitardo di Brindisi davanti ai giudici che gli chiedevano i motivi che lo avevano spinto a uccidere vigliaccamente: «Un colpo di testa. Ce l’ho con il mondo»
E tutti li a dire manca il movente. Come se Anders Breivik, l’estremista di destra norvegese autore delle stragi di Oslo e Utoya, che provocarono 77 vittime, avesse avuto un ‘movente’.
Mi rendo conto che con le leggi esistenti si debba fare un compromesso tra giudici e psichiatri per fare in modo che questi pericolosissimi schizofrenici non possano più nuocere. Nel senso che si debbono mettere in un luogo dove non possano dare forma alla loro pazzia. Ma la verità vera è che questi sono dei malati di mente gravi e le motivazioni dei loro delitti non hanno un movente come lo si intende in giurisprudenza. Essi hanno un’intenzionalità inconscia ammantata da “pensieri” che a noi appaiono assurdi. Proprio per questo sono ancor più pericolosi.
«Sì, quella bomba l’ho fatta io da solo. L’ho pensata e l’ho costruita». Poi confessa di aver colpito «in orario diurno e non in orario notturno perché di notte non c’era nessuno».
Poi finita la confessione le parole che non lasciano dubbi sulla sua malattia «Posso tornare a casa adesso? Quanto devo rimanere ancora?»
Lo psichiatra Massimo Fagioli sul settimanale left si è soffermato su questo efferato omicidio:
«I ricordi recenti del maggio di Brindisi, dicono che il gesto di una violenza inutile e perversa, parlava di pazzia. Ma tutti volevano parlare di mafia o terrorismo.
Passarono i giorni, si scoprì il colpevole. Descrisse il proprio comportamento e i motivi erano futili, contraddittori da apparire falsi. E le parole terribili dissero: senza motivo. “Ero arrabbiato con tutto il mondo”. Così disse, e lo psichiatra che pensa al latente, pensa non era arrabbiato con nessuno.
Aveva perduto il rapporto con il mondo e la vita, uccidere dieci, venti, ragazze belle era come dire una parolaccia. Tutto è uguale a tutto, non c’è più passione nella vita, non c’è amore né odio, né simpatia né antipatia.
Sono venute le parole: il comportamento di una vita era stato normale come tanti, ma lo psichiatra che vede il latente ripete, come centocinquanta anni fa: stolido, anaffettivo.»
Stolidità e anaffettività che fanno si che un essere umano possa uccidere senza movente. E stolido e anaffettivo è un essere umano che, perduta la vitalità nei rapporti umani patologici, si può definire schizofrenico.
24 aprile 2013: Pochi giorni fa Boston due fratelli hanno messo due bombe in mezzo alla folla che hanno causato tre morti e decine di feriti gravi. Alcuni di loro hanno subito amputazioni: Ecco cosa svrive lo psichiatra Domenico Fargnoli su Babylon Post:
I due fratelli si sono mossi come una “coppia criminale” condividendo deliri ed in base a ques’ultimi progettando crimini del tutto sprovvisti di un senso umano: fra loro, come di solito avviene nei casi di “folie à deux”, ci sarà stato sicuramente un incube ed un succube. La Folie à deux , descritta per la prima volta da Legrand De Saulle nel 1873. è una sindrome clinica caratterizzata da sintomi psicotici, principalmente da deliri condivisi da due o più persone che hanno una relazione intima. Nella maggioranza dei casi riportati dalla letteratura clinica, i soggetti coinvolti nella Folie à deux sono membri della stessa famiglia o della stessa coppia (marito e moglie) e c’è generalmente una relazione dominante-sottomesso, carnefice-vittima, Secondo Scipio Sighele autore nel 1892 de “La coppia criminale”
«(…) la follia a due non rappresenta soltanto la coesistenza parallella di due deliri, ma si costituisce una vera e propria società con uno scopo chiaro e dichiarato»
* * *
Nel gennaio del 2011 mi occupai di alcuni di questi fatti dove i moventi posseggono sempre il “nesso strano” attribuibile alla malattia mentale. Il mio lavoro sfociò in un articolo/intervista che aveva un titolo molto eloquente: Movente dell’omicidio? Futili motivi! L’articolo fu pubblicato su Dazebao News nella rubrica “Cronache dal sottosuolo”.
Ve lo ripropongo integralmente:
Movente dell’omicidio? “Futili motivi”!
Nel corso di una settimana, in Italia, sono morte ben otto persone assassinate per ‘futili motivi’. Questa è la formula usata dagli inquirenti per definire un movente tanto insignificante da apparire “senza senso”.
È chiaro che la formula investigativa non chiarisce le motivazioni e le intenzionalità inconsce che portano un essere umano, apparentemente ‘normale’, o che fino a quel momento è apparso tale, a compiere un delitto d’impulso per una piccola spinta, come è successo a Grottaferrata e a Ferrara, o per il possesso di un parcheggio come è successo a Cosenza.
Non mi basta neppure conoscere il movente apparentemente razionale che spinge a sopprimere toglier la vita ad un essere umano, per ragioni che sono incongrue in una società civile, come uccidere a coltellate un ventenne perché appartenente ad una banda metropolitana diversa, come è successo a Cinisello Balsamo, oppure ammazzare due uomini per motivi legati ad un debito di poche decine di euro come è accaduto a Crotone.
Mentre scrivo queste cose mi sembra impossibile che si possa fare un elenco tanto lungo di uccisioni scaturite da situazioni, verrebbe da dire improbabili, o ingiustificabili razionalmente, come tenta di fare, quantomeno nel titolo, Giuliano Aluffi, sulle pagine de Il Venerdì di Repubblica.
Per cercare di capire meglio cosa in realtà accade in queste ‘cronache del sottosuolo’, proviamo a fare qualche domanda alla dottoressa Gabriella Terenzi, Psicologa e Psicoterapeuta.
Parliamo prima di quegli omicidi, che si potrebbero definire d’impulso, come il caso di un barista di Ferrara che ha ucciso a pugni un uomo solo perché aveva urtato la sua fidanzata, o il caso di quel ventiduenne ucciso a coltellate in una rissa provocata da una spinta casuale. Perché tanta violenza fisica, e cosa c’è sotto tutto ciò? Chi uccide un essere umano deve essere in precedenza uscito dall’idea del riconoscimento dell’altro da sé come un uguale a sé stesso? E se la vittima non è più percepito come un uguale come viene ‘visto’ dall’aggressore?
Ogni caso andrebbe analizzato con più elementi ma, da quello che si evince dalla cronaca, ognuno di questi fatti ha un comune denominatore: un’assoluta carenza di rapporto con la realtà e specificatamente con la realtà umana. L’altro ha violato (più o meno volontariamente), l’intoccabilità del proprio territorio. La violazione è giudicata imperdonabile e presa a pretesto per attivare, con modalità pulsionali, l’azione violenta e omicida. L’invasione del nostro alone d’intoccabilità è più importante della vita dell’altro.
Nel caso invece di delitti per rubare poche cose o per fatti di piccola criminalità legata al controllo del territorio urbano, cioè in quei casi dove la soppressione dell’altro non può essere neppure legata a veri e propri moventi utilitaristici?
Ci riferiamo per questo ad una patologia che riguarda la perdita di senso. L’oggetto da possedere, il piccolo vantaggio materiale, conta più della vita di un uomo percepito come ‘cosa’ di non valore. Togliere l’umano che c’è nell’altro è una patologia caratterizzata dalla perdita della propria dimensione umana. Ancora oggi ci possiamo riferire a Dostoevkij in “Delitto e castigo”, il quale attraverso la figura di Raskolnikov descrive con chiarezza queste dinamiche. Nel Corso di Psicologia dinamica, presso l’Università di Chieti, lo psichiatra Massimo Fagioli ha più volte messo in evidenza la differenza che sussiste tra il delinquente ed il mafioso, i quali uccidono per una rapina o per un disegno criminale, ed il pazzo, che uccide senza motivo.
Secondo lei queste persone che uccidono in questo modo, e con questa violenza, lo fanno anche per cause che si possono definire sociali o l’uccisione dell’altro da sé deve avere delle motivazioni psicologiche più personali molto più profonde da ricercare, forse, nelle prime esperienze di vita?
Le prime esperienze di vita sono fondamentali nella formazione della personalità di ciascuno di noi. Alla nascita i bambini sono sani ma, se le prime esperienze di rapporto sono troppo violente e deludenti, il sano sviluppo si può compromettere. Certamente situazioni di emarginazione sociale e carenze affettive legate a condizioni di vita particolarmente dure, non aiutano a colmare eventuali fragilità e alterazioni dello sviluppo personale.
La cultura dell’apparire, l’assenza di una personale ricerca sull’essere, la cecità, come direbbe Saramago, su una possibile convivenza non violenta tra esseri umani, strutturano in modo definitivo, tali carenze.
Giuliano Aluffi sulle pagine di Il Venerdì di Repubblica di questa settimana, rispolverando un ammuffito Lombroso, fa affermazioni che ci sembrano, per usare un eufemismo, un tantino superficiali. In sintesi egli parla di “aree cerebrali predisposte all’autocontrollo” e di come eminenti neurologhi e genetisti italiani siano riusciti a dimostrare, ad una corte, la non responsabilità di un imputato per omicidio, dimostrando che “i geni dei trasmettitori cerebrali dell’imputato suggerivano impulsività”. Inoltra egli fa, parzialmente, sua una di distinzione tra ‘mad or bad’, vale a dire tra ‘malato e cattivo’ . Come viene sottolineato nell’articolo da Giuseppe Sartori: “Per le neuroscienze ogni nostro pensiero discenderebbe esclusivamente da reazioni chimiche che avvengono a nostra insaputa dal nostro cervello.”
Due domande: vi è una differenza, secondo lei, tra cattivo e matto, nell’azione omicida? Non le sembra che questo rispolvero del cadavere malconcio di Lombroso e delle neuroscienze che spiegherebbero i movimenti inconsci e le conseguenti azioni degli esseri umani, sia una cortina fumogena per coprire verità scomode come il fallimento di una parte del pensiero scientifico incapace di andare a vedere le vere dinamiche psichiche che portano all’annullamento, prima, e poi all’uccisione di un essere umano?
Nelle neuroscienze si scambia la causa con l’effetto per cui, quando si trovano alterazioni nelle scansioni della zona frontale del cervello (definita dell’autocontrollo) di un cocainomane, non si ipotizza che siano la conseguenza dell’uso di droghe e non la causa dei pensieri e del comportamento alterati.
Nello stesso modo, quando si rileva una riduzione dei neurotrasmettitori di schizofrenici cronici e la si interpreta come causa della malattia e non conseguenza dell’impoverimento ideativo e affettivo.
In questo articolo Giuseppe Sartori, docente di neuroscienze cognitive dell’Università di Padova, si chiede giustamente dove andrebbe a finire il libero arbitrio (caratteristica degli essere umani) se fosse vero, come affermano le neuroscienze, che ogni pensiero e azione dipendono da reazioni chimiche pre-determinate.
Sensatamente Giuliano Aluffi conclude l’articolo dicendo: «siamo uomini e non solo lampi di elettricità chimica che viaggiano nel silenzio del cervello. Checchè ne dica la tac.»
Lo psichiatra Massimo Fagioli nel suo libro “Teoria della nascita e castrazione umana” e nella rivista di psichiatria e psicoterapia “Il sogno della farfalla”, (L’Asino d’oro Editore, n.1 del 2010), ha ben illustrato sia come la pulsione di annullamento faccia sparire l’altro essere umano, sia il meccanismo patologico alla base di molti gesti, presunti imprevedibili, di pazzia.
In contrapposizione è descritto come la fantasia di sparizione rispetto a proprie dimensioni interiori, sia la base della possibilità di trasformazione di dimensioni malate. In termini scientifici, in opposizione alla patologia «La trasformazione è l’emergenza del pensiero dalla realtà biologica che, nell’invisibile, la fa diversa da quella del feto e, straordinario e perturbante, resta se stessa» cfr. Left n.2 del 14/1/2011, Aut. cit.
È assolutamente ovvio che senza teoria, propugnare la necessità di indagare tramite accertamento radiografico, nasconde un’assenza di pensiero sulla realtà psichica umana.
29 giugno 2012
Leggi qui anche l’articolo Pazzi si diventa di Gianfranco de Simone
–
nunzio scotto di covella
27 Aprile 2013 @ 08:25
…già la relazione con il fratello pazzo!
nunzio scotto di covella
1 Maggio 2013 @ 17:16
……………….