• Comunione e Liberazione a Rimini: Le religioni monoteiste generano la violenza o possono fermarla?

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    di Giulia De Baudi

    “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”: questa frase la ascolto da quando sono nata. Sicuramente c’è un fondo di verità in questo proverbio. Sicuramente è vera al cento per cento se si parla di religione monoteista.

    Il proverbio che smaschera l’ipocrisia tra il dire e il fare, e che quindi marca la frontiera tra essere e apparire, è uno dei capisaldi delle religioni monoteiste che surrettiziamente insegnano, fin dall’infanzia, che la scissione tra il sentire del corpo e il pensiero della mente è cosa saggia e giusta.

    Ho appena letto che Comunione e Liberazione, che tra i movimenti cattolici è quello che ha portato questo modo di essere ai limiti del buon senso e della legalità, il 20 agosto riapre la sua tradizionale kermesse riminese all’insegna del proverbio sopra citato.
    Dico questo perché al meeting agostano di Comunione e Liberazione, che avrà come patrono il “filosofo paolino” Fausto Bertinotti, non saranno presenti alcuni mitici profeti del movimento che, pare, abbiano fatto esattamente il contrario di ciò che dice il settimo comandamento a cui essi dovrebbero aderire meticolosamente. Nei paesi occidentali, per chi viola questo paragrafo della legge mosaica, il taglio della mano viene sostituito dalla prigione. In Italia invece si preferisce chiedere a chi, tra il dire e il fare, ha un “tantino esagerato” di non partecipare agli eventi che li ebbero come protagonisti, perché questa volta sarà presente l’integerrimo Matteo Renzi il principe dell’incoerenza che ha portato la scissione tra il dire e il fare a livelli di genialità.

    Ma lasciamo perdere quella parte della casta della politica italiana che all’estero non ci invidiano, e vediamo i contenuti della sarabanda ciellina tutta improntata sul dialogo interreligioso tra i tre monoteismi e sul concetto di identità. Già in apertura, un cattolico, un musulmano e un ebreo, saranno insieme appassionatamente a testimoniare che le religioni monoteiste – quelle di un dio maggiore – sono per la pace e non per la guerra. Il meeting 2015 di Cl quindi si inaugura con un dialogo tra il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Azzedine Gaci, rettore della Moschea Othmane a Villeurbanne (Lione) e Haim Korsia, gran rabbino di Francia. Il titolo di questo incontro afferma che Le religioni sono parte della soluzione, non il problema.

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    Titolo quanto mai strano visto che la violenza sociale, politica e materiale agìta in nome di veri o presunti assunti religiosi presenti in veri o presunti passaggi dei libri sacri è in notevole aumento. Penso di potere affermare che le crociate e le “guerre di religione” – dal genocidio biblico dei cananei ai massacri dell’Isis, passando dall’Argentina (1976-1983), dal Ruanda (Leggi qui) e da Gaza – da una parte vengono fomentate per ragioni di interesse materiale e dall’altra hanno come base credenze radicate che servono all’uopo: terra promessa, guerra santa, divenire «riserva morale del mondo occidentale», ecc. ecc..

    Da quanto è emerso dallo studio, Barometro della coesione, svolto da un gruppo di sociologi dell’Università Jacobs di Brema la religione non genera coesione sociale ma conflitto. In Italia, Romania, Grecia, Polonia, paesi in cui la religione ha una notevole ingerenza politica, c’è un livello di coesione estremamente ridotto rispetto ad altri paesi come la Danimarca, la Norvegia, la Finlandia, la Svezia, la Francia, l’ Australia e gli Stati Uniti, che sono ai primi posti nella classifica degli stati in cui vi è più  coesione sociale.

    Perchè accade questo fenomeno? Semplice, basta mettere al centro del mondo non sé stessi come esseri umani con la propria identità relazionale in divenire e in dialettica “sostenibile” con l’altro da sé, ma come homo religiosus che intende la propria identità solo in termini di “identità” legata a doppio filo all’appartenenza religiosa e il gioco è fatto.

    Dico questo perché a Rimini si parlerà molto di identità: il programma dice che, sempre il 20 agosto, si parlerà di “Abramo. La nascita dell’io”; il 21 “Persona e Senso del Limite”; il 22 de “L’io espressione di autenticità”.

    Se è vero che i massacri in nome di un dio monoteista o comandati direttamente da un dio, come si legge per esempio nel Deuteronomio, sono senza alcun dubbio funzionali a gruppi di potere che si appropriano della religione e la usano per i propri fini, è pur vero che gli autori materiali dei massacri o delle “pulizie etniche” sono individui che credono in ciò che fanno. Certamente i confini tra utilitarismo personale e credenza religiosa sono dilatati e incerti, ma un fondo di credenza religiosa in chi commette violenza contro un essere umano in nome di un dio o di una ideologia deve necessariamente essere presente. Questo vale sia per i fondamentalisti dell’Isis, sia per i coloni ortodossi israeliani, sia per i seguaci di Salvini che non vogliono le moschee nelle loro zone e assaltano i centri accoglienza degli immigrati.

    Il monoteismo, i monoteismi, nascono e si diffondono mettendo al centro dell’universo la propria religione. Storicamente la diffusione e/o la supremazia della propria religione monoteista, costi quel che costi, è la condizione senza la quale i seguaci di una religione non possono prevalere sugli altri in termini di potere politico, territoriale, economico, culturale. E quindi le religioni monoteiste sono “parte del problema non la soluzione”. Lo sono perché storicamente finora sono state utilizzate, in modo più o meno palese, in modo più o meno occulto, come strumento di ammaestramento delle masse alle quali prima si nega l’identità umana individuale e poi le si lega assieme con il collante dell’identità religiosa di appartenenza.

    Le ritualità monoteiste servono proprio a questo: far eseguire supinamente a tutti e nello stesso modo degli atti assurdi che vengono resi congrui culturalmente dalla società alla quale, volenti o nolenti, si appartiene, per il semplice motivo che vengono eseguiti da tutti. L’assurdo collettivo annulla l’identità individuale e la sostituisce con un’identità collettiva più facile da gestire psicologicamente perché elimina l’affettività del corpo molto scomoda da portare in società. Si tratta solo di sacrificare come fa Abramo i propri affetti uccidendo ritualmente il proprio figlio.


    Poi, ovviamente, essendo per natura legati alla propria realtà umana e per malattia al proprio grado di alienazione religiosa, ogni individuo possiede un proprio pensiero/credenza che tiene per sé. (leggi qui) Il monoteismo crea un individuo scisso che in società dice di voler fare ciò che tutti insieme dicono di volere fare e che in privato non fa. Queste persone che vivono dualisticamente sono tutto sommato “le migliori” perché non perdono completamente il rapporto con il corpo.

    Colore che invece pedissequamente fondano la propria identità sulla religione monoteista non possono far altro che giungere a quell’”autenticità dell’essere” postulata da Heidegger: “essere per la morte dell’altro” figlio di un dio minore.

     

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