di Marina Mancini
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Nel suo libro, La madre dell’uovo, Giulio Laurenti racconta la storia di due omicidi ancora avvolti dal mistero puntando il dito sugli stessi killer di stato
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Come in un opera di Escher la vita, avvolte, ti si intreccia addosso, rimandando e restituendo gli stessi infiniti orditi e trame inaspettate.
Immagini che si ripetono, volti e nomi che confermano, che reiterano o che semplicemente raccontano o scelgono di rimanere in silenzio.
Come in questa serata di luglio, davvero calda, se non fosse per una tiepida e intransigente brezza che cade sulla pelle. Sono di nuovo seduta davanti ad un tavolino giallo, e ascolto, di nuovo, un autore. Sembra che non sia passato molto, in realtà sono scivolati tre anni, da quel primo incontro con Giulio Laurenti, anche quello in una calda serata di luglio.
Una mano rassegnata che apre lenta la caffettiera per un altro interminabile caffè è l’immagine che ritrovo di quel primo, coinvolgente libro da prima raccontato. La mano di Ilan Fernandez, in quel gesto che diventa la memoria cosciente dei suoi lontani giorni in un carcere. L’incontro con Suerte mi ha lasciato il colore e l’odore forte del sangue e della rivincita, accomodata, intorno alla violenza.
Questa sera altre immagini si mescolano, troppe, mentre scivolano le parole appassionate di chi questa storia non l’ha solo scritta ma anche cercata, voluta, scoperta. Due anni di indagini, incontri, interrogativi. Uno scrittore lanciato all’inseguimento di una verità, prima intuita e poi trovata, mettendo insieme pezzetti dopo pezzetti di un puzzle diabolico.
Come entrare in questa tragedia?
Perché le storie che si raccontano stasera sono soprattutto pezzi atroci di episodi di cronaca italiana, frammenti di rabbia che sono patrimonio anche dei miei ricordi angosciati di ragazzina incredula e atterrita di fronte ad immagini sconvolgenti e violente.
Torniamo, allora, in questa storia questa sera, a cui io, in tutta sincerità, non avevo voglia di concedere più nulla, per orrore, per rancore e per stanchezza, ma, facendomi accompagnare da questo scrittore, accetto di gettare via la cenere accumulata dagli anni, dal silenzio e dall’oblio, accordando, a questa memoria, nuova verità e più giusta identità.
E così ricompaiono quelle assurde e inaccettabili immagini di guerra, di cittadini inermi massacrati da uomini in divisa, di una città sconvolta. Di prove tecniche di dittatura vera, fatta da chi indossa la libera licenza di ammazzare. E, soprattutto, le immagini dolorose di un ragazzo minuto con una canottiera bianca, un passamontagna e un anello di scotch intorno al braccio.
Quello che l’autore inizia a raccontare questa sera è la fine di questo ragazzo, vent’anni appena, ferito da un proiettile e poi finito con una sassata sulla fronte dagli uomini in divisa. Dolore e nausea. La storia di Carlo Giuliani. Di quel 20 luglio 2001 nel cuore di piazza Alimonda, centro del mondo.
Un ragazzo morto per uno sciagurato sincronismo, il posto sbagliato, nel momento sbagliato a ricevere un colpo di proiettile, forse, non destinato a lui.
Ma è seguendo le tracce del fotografo che documenta quell’assassinio, in mezzo a quei carabinieri che, lo scrittore ci dice, si ritrova tra le mani una trama assurda e reale che lo porta ad un’altra morte, lontana sette anni, quella della giornalista Ilaria Alpi. “Mai avrei pensato ed immaginato”
Questo filo nero lungo sette anni che si attorciglia intorno alla vita della giornalista in missione in Somalia e che si lega e infuria poi sui tetti di Genova.
Apparentemente distanti, atrocemente vicini.
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Nella ricerca ostinata e caparbia del “senso” e delle ragioni di quelle apparenti coincidenze, di queste corrispondenze di indizi che legano due morti violente, prende avvio la storia. Che non è cronaca giornalistica degli eventi accaduti e meno che mai romanzo giallo di pura fantasia, sottolinea puntigliosamente lo scrittore. Perché la realizzazione dell’arte in questo libro si muove per dare un senso e significato ai fatti veri, raccolti da più fonti, ricollegandoli tra loro e restituendogli una trama intessuta con fili decenti, sensata e dignitosa, riconsegnando ciò che di umano in tutto questo dolore si era perso.
Mi vengono in mente quattro madri. Accanto alle mamme di Carlo e di Ilaria mi sento di avvicinare anche le altre, quella di Federico Aldovrandi, più volte citata questa sera, e quella di Vittorio Arrigoni. Giganti nella mia fantasia tra le scale significative degli esseri umani, loro che più di altri hanno chiarito di quante sfumature e possibilità è fatta la strada della tenacia e del coraggio, della dignità, nel raccontare, preservare e difendere le memorie di figli violentemente portati via. Meravigliose donne. Smisurati cuori.
In questa storia, tra queste righe, il punto di convergenza trova la sua essenza in quegli stessi uomini, gli stessi nomi, numeri uno dei servizi segreti italiani e in quel fotografo che per primo ha visto Carlo morto o che ha, probabilmente, fotografato l’istante del suo ultimo respiro, temerarietà o semplicemente sventura che gli costarono il volto, braccia, gambe e la sua Leica mandati in frantumi, lo stesso uomo presente anche in Somalia a seguire le missioni degli italiani.
Somalia 1994, Genova 2001.
Ilaria Alpi la giornalista morta nel pieno svolgimento del suo dovere. Le cronache di allora ce la diedero spacciata per un infame agguato a Mogadiscio, però mai, quegli sbiaditi “perché” e “per come” delle cronache nostrane hanno potuto ergersi a dignità di verità.
Piano, vent’anni di oblio, il tempo esatto dell’assuefazione e dell’adattamento e la realtà comincia, oggi, a far cedere quei muri di omertà e di vergogna. La linea della verità sulla sua morte diventa sempre più netta e delineata. Morta per essere venuta a conoscenza degli stupri, delle torture e degli omicidi sulla popolazione civile, morta per avere scoperto il traffico di armi, di rifiuti tossici e radiativi. Morta per onorare la dignità del suo mestiere insieme al cameramen Mirian Hrovatin. E intorno a questo orrore, scopre Laurenti, sempre quei nomi e quelle stesse divise, quei corpi speciali dei servizi segreti italiani, responsabili e criminali.
Continua l’autore, in un déjà-vu infinito, a raccontare frammenti del suo lavoro di indagine e codificazione di quello che è Stato o non è Stato, smontando e ricostruendo i pezzi di queste storie Italiane, non tralasciando le pieghe più rarefatte alla ricerca di ogni singola risposta. E l’area si fa sempre più densa e più spessa tra noi che ascoltiamo.
Intorno alle sue parole si muovono vecchi fantasmi rimessi a nuovo, Gladio, Cossiga, Sismi…. Alcuni rivestiti di abiti cangianti e resi presentabili da nomi appena, appena accettabili “gendarmeria europea”, corpi scelti, “d’eccellenza” , immunità estraterritoriali. Che vuol dire? Chi sono e cosa possono fare? Quanto entrano nelle morti raccontate prima, ma anche nelle nostre vite e nella nostra sicurezza?
L’autore non svela tutto e rimanda alle pagine del suo libro.
Perché ognuno, attraverso la lettura di ciò che accadde, in questa forma originale e nuova, tra narrazione e cronaca, nell’incontro personale e privato con la propria memoria, possa restituire a questa storia un suo significato e respirare una sua trama.
Perché ognuno, leggendo, possa trovare il suo modo di indignarsi e di reagire.
“Io ho cercato di dare e lasciare sparse tra le parole una possibilità di speranza e di affrancamento da tutto questo”. Scoprirò se è possibile alla fine di questo viaggio narrativo appena intrapreso e girando l’ultima pagina saprò se l’autore avrà mantenuto la sua promessa di poter lasciare queste vergognose vicende italiane con un pensiero di resistenza e di fiducia.
Mia figlia, nove anni, accanto a me mi chiede come sia possibile che la verità di quello che è accaduto venga fuori dopo tanti anni. Forse troverò leggendo anche questa risposta, ovvero: Sulle ragioni imprescindibili e imperative degli infiniti anni di decantazione necessari a far digerire agli italiani le più tremende tragedie.
La madre dell’uovo. “La madre = Ilaria, l’uovo = Carlo, mancava il pulcino in questa sequenza”.
Ma il pulcino, che lega le due morti, si è alla fine rivelato in tutta la sua degenerazione e indecenza.
13 luglio 2015
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Scheda
Giulio Laurenti
La madre dell’uovo
Effigie edizioni
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Malizioso Troll
13 Luglio 2015 @ 19:08
Partiamo bene, con Miran ribattezzato Miriam. Spero che sia un refuso dell’autore della pagina web, altrimenti è davvero preoccupante.
Dalla Redazione
13 Luglio 2015 @ 21:19
Grazie Malizioso Troll per aver scoperto il refuso; le personalità oligofreniche, come le donne delle pulizie ossessive, sono sempre molto utili. Ancora grazie e se ti capitasse di incontrare altri errori di battitura segnalacelo, te ne saremo grati.
Jeanne P. (per la Redazione di G&N)