–
di Giulia De Baudi
Si sa che la rimozione – oltre ad essere un gran cazzata dal punto di vista psicologico – è un concetto cardine del freudismo. Come ha spiegato più volte lo psichiatra Massimo Fagioli la rimozione, riferendosi a uno spostamento spaziale, non ha nessun nessun valore nelle interpretazione delle dinamiche psichiche. Tuttalpiù la parola si ci si può riferire alla rimozione di un oggetto da un luogo ad un altro, come quando i vigili urbani con l’ausilio di un carro-attrezzi rimuovono una vettura per portarla al deposito comunale.
Ma la il concetto di “rimozione”, che, secondo eminenti psichiatri, «quell’imbecille di Freud» ha usato a vanvera è entrato a pieno merito nel vocabolario della Chiesa cattolica che lo ha usato e ne ha abusato.
Parlo naturalmente della rimozione dei preti pedofili che una volta denunciati alla curia venivano “rimossi” da una parrocchia ad un’altra per evitare scandali. Basta spulciare le cronache giudiziarie sulla pedofilia ecclesiastica oppure i libri di Federico Tulli sui crimini consumati nelle parrocchie di mezzo mondo, per rendersi conto in che misura la tecnica della rimozione fu caldeggiata dalla gerarchia cattolica a suon di documenti ufficiali. Quando un prete si trovava in difficoltà perché le vittime del porco seriale lo denunciavano ai suoi superiori, il vescovo, o chi per lui, lo rimuoveva dalla sua parrocchia e lo destinava ad un’altra sede in modo che non sentendosi pressato dalle vittime potesse riaprire la sacrestia a vittime nuove. E così via ad libitum .
Bariloche, Argentina – 1936
Un gruppo di simpatizzanti nazisti
–
La “tecnica della rimozione” fu ampiamente usata anche nell’immediato dopoguerra quando il Vaticano divenne, per i criminali nazifascisti di provata fede cattolica, la sala d’aspetto in cui attendevano il loro trasferimento in luoghi sicuri come l’Argentina dove Perón e santa Evita – si proprio quella di Don’t cry for me Argentina – li attendevano a braccia aperte.
–
Come scrive nel suo libro Operazione Odessa, la fuga dei gerarchi nazisti verso l’Argentina di Perón, Uki Goñi «L’apertura dell’archivio postbellico della Croce rossa ha finalmente messo la parola fine all’annosa questione se i criminali nazisti furono o meno aiutati dalla chiesa cattolica nella loro fuga in Argentina. Il verdetto che emerge dall’analisi dei suoi documenti è inconfutabile: cardinali quali Montini, Tisserant e Caggiano organizzarono la fuga dei nazisti; vescovi e arcivescovi quali Hudal, Siri e Barrére attivarono le procedure necesssarie; prelati come Draganović, Heinemann e Dömöter firmarono le loro richieste di passaporto. Dinnanzi a prove così incontrovertibili la questione se Pio XII fosse pienamente informato è solo non solo irrilevante ma di una allarmante ingenuità».
Smessi i panni di cardinale Montini poi lo ritroveremo trent’anni dopo in Argentina con l’eteronimo di Paolo VI alle prese con un “nipotino” dei nazisti fuggiti con il suo aiuto: Emilio Massera uno dei responsabili del genocidio di trentamila giovani argentini. Il giornalista argentino Horacio Verbitsky aggiunge un dettaglio pesantissimo che inchioda Paolo VI alle sue responsabilità. In relazione alla strage di alcuni sacerdoti pallottiniani, Paolo VI disse ad un Massera “mortificato” per il loro assassinio ad opera dei suoi sgherri, di non preoccuparsi perché “si trattava di un episodio ormai superato” e augurò un “futuro di pace e prosperità per l’Argentina”.
Massera, il criminale argentino condannato in vari processi per delitti
contro l’umanità , si intrattiene cordialmente con papa Paolo VI
(foto archivio L’Unità)
–
Per il cardinale francese Tisserant invece quello dei desaparecidos sarebbe stato non un problema “ormai superato” ma assolutamente inesistente: «Il cardinale Tisserant – scrive nel libro sopra citato Uki Goñi – Pag. 137- era così visceralmente anticomunista da ritenere che i “rossi” non meritassero una sepoltura cristiana, una posizione sinistramente precorritrice della dottrina poi messa in atto dalla dittatura argentina del 1976-1983, che ricorse ad una politica di “sparizioni” anziché giustiziare e seppellire le sue vittime. I generali al potere scaraventarono migliaia di persone vive dagli aerei militari in volo sull’Atlantico, mettendo in pratica ciò che Tisserant aveva osato solo predicare in privato tra i suoi pari».
–
Il caso di rimozione di Erich Priebke dal campo di prigionia di Rimini a Buenos Aires è esemplare.
L’ex cameriere Erich Priebke che, grazie al suo essere considerato un «robot nazista», in soli sette anni divenne un importante membro della Gestapo fu il tramite dei nazisti con il Vaticano: «Il mio compito – rivelò il macellaio delle Fosse Ardeatine in un intervista del maggio 1996 al periodico Oggi – consisteva nel gestire i rapporti con il Vaticano. (…) Sono molto religioso. Nel 1942 fummo ricevuti in udienza privata da Pio XII».
Alla fine della guerra fu catturato, riconosciuto, ma “stranamente” non fu messo sotto stretta sorveglianza. A capodanno del 1946 fuggì con altri quattro commilitoni «Cinque di noi – riferì lo stesso Priebke in Argentina nel 1995 prima di essere estradato in Italia – riuscirono a fuggire (…) Andammo nel palazzo del vescovo e fu lì che la nostra vera fuga ebbe inizio.» Protetto dal vaticano Priebke rimase nascosto per più due anni con tutta la famiglia a Vipiteno. Poi, scrive Uki Goñi «Il 26 luglio 1948, la pontificia commissione di assistenza a Roma inviò a Priebke un documento d’identità del Vaticano (PCA 9538/99) con lo pseudonimo Pape». Il resto della storia è più o meno nota a tutti: Erich Priebke fu “rimosso” da Vipiteno e spedito a Buenos Aires dove, anche grazie “all’amnistia generale” che Perón nel 1949 concesse a tutti coloro che vivevano sotto falso nome in Argentina, visse indisturbato per cinquant’anni a Bariloche vantandosi del proprio passato di nazista. Quando venne arrestato il viceconsole italiano di Bariloche che sapeva benissimo chi fosse Priebke, forse andava nel suo negozio a fornirsi di carne fresca, « rassegnò le dimissioni travolto dalla vergona».
Erich Priebke fu estradato in Italia processato condannato all’ergastolo, pena da scontare comodamente agli arresti domiciliari. Durante tutta la fase processuale il macellaio delle Fosse Ardeatine fu amorevolmente accolto in seno alla chiesa cattolica al monastero di San Bonaventura fuori Roma … lo stesso luogo ameno in cui nel periodo postbellico erano stati cristianamente ospitati altri criminali del calibro di Adolf Eichmann prima di essere “rimossi” dall’Italia e traslocati in Argentina. Lì divennero i maître à penser dei nuovi nazisti che si misero al servizio delle corporation americane ed europee e della santa madre chiesa cattolica per creare in Argentina la «riserva morale del mondo occidentale». La patrona divina di questo “nuovo ordine cristiano militarizzato” a cui aspirava Videla, l’aveva creata Perón quando proclamò la Reverenda Signora della Misericordia «generale» dell’esercito argentino.
–
8 giugno 2015
–