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a cura di Giovanni Dupin
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Con questo lungo articolo di John Mèrionés Shawi che narra, tra mito e realtà, la storia della più famosa coppia di criminali che sia mai esistita,incontrato negli archivi di una inverosimile quanto reale “Enciclopedia del crimine”, con un notevole sforzo di trascrizione, da parte delle redazione dei testi rosi dai tarli, I giorni e le notti, iniziano la pubblicazione di articoli che trattano di criminalità.
Questo non per oscure pulsioni inconsce, ma per scandagliare i pensieri che precedono il delitto. Porteremo su queste pagine serial killer famosi come Landru l’uccisore di molte donne e la Cianciulli che “saponificava” le sue vittime; parleremo anche della criminalità organizzata: come nasce e come si sviluppa; e poi dei famosi criminali sui quali si sono fatti decine di film come Jesse James o lo Jack lo squartatore.
Il motivo? Per dimostrare se ce ne fosse bisogno, che il criminale è sempre un malato di mente anche se ha un comportamento sociale ineccepibile
Le sottolineature che troverete sono mie e stanno a significare un disaccordo con alcune forzature interpretative dell’autore. Invece i neretti per far notare i passaggi in cui si può intravedere come la malattia mentale si nasconde in piccoli e quasi invisibili tic rivelatori.
In questo primo articolo ad esempio si parla di un “momento di non ritorno” in cui Clyde Barrow si rende conto che “si era liberato delle ultime resistenze interiori”. Come i nazisti legittimati dalla ‘filosofia’ di Heidegger egli decide di dare mano libera alla sua “autenticità” più vera: essere per la morte degli altri.
Ma poi ne riparleremo prima, dopo e durante l’esposizione di queste tragiche vicende. Ne riparleremo per capire …
Alcuni articoli molto lunghi, come questo, li pubblicheremo a puntate …
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Bonnie Parker e Clyde Barrow
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di John Mèrionés Shawi
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Prima parte
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Chi erano? Che cosa C’era dentro di loro?
La tragica vita della più celebre coppia di criminali americani
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Bonnie Parker nacque il 1° ottobre 1910 a Rowena nel Texas, secondogenita di una famiglia composta dai genitori e tre figli. I Parker non erano né ricchi né poveri, semplicemente gente modesta. Il padre faceva il muratore, e la famiglia se la cavava abbastanza bene.
Bonnie trascorse i primi quattro anni della sua vita a Rowena, fino alla morte del padre. Dopo, la famiglia andò ad abitare con i nonni materni a Cement City, vicino a Dallas. Non risulta che la morte improvvisa del padre e il conseguente cambiamento di residenza fossero stati per Bonnie dei traumi.
La ragazza si appoggiava alla madre, per la quale ebbe sempre molto affetto, al contrario di altri delinquenti. Nel 1916 Bonnie venne iscritta alla scuola elementare di Cement City. Si rivelò un’alunna eccellente, con un temperamento fantasioso. Meritò tutti i premi di recitazione, improvvisava recite per i compagni, sognava di diventare attrice, attrazione
di qualche circo o cantante di opera.
Già a quel tempo si vestiva con ricercatezza. Le dicevano spesso che era la più elegante e la più graziosa della classe. Quando le veniva scattata una fotografia, guardava fisso l’obiettivo, quasi con aria insolente.
Al liceo, al quale si iscrisse nel 1924, Bonnie rivelò una disposizione particolare per le materie letterarie. Era una ragazza un po’ ribelle ed esuberante che cominciava a sognare di vivere come una principessa delle favole.
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Un cattivo alunno
Figlio di un fattore analfabeta, Clyde Chestnut Barrow nacque a Teleco, nel Texas, il 21 marzo 1909. Dopo di lui, nacquero altri sette tra fratelli e sorelle. Clyde aveva anche due fratelli più vecchi; uno dei due, Buck, sarebbe diventato suo complice. Fino al L922, Clyde visse nella fattoria di famiglia. A scuola ci andava poco. Le testimonianze che si riferiscono a questo suo periodo della giovinezza sono contraddittorie. Per alcuni, Clyde era un ragazzo a cui piaceva giocare. Tra questi, c’è chi dice che i suoi divertimenti fossero quelli di un ragazzo della sua età – si divertiva con le pistole giocattolo, si interessava di auto e di meccanica. Alcuni affermano che esercitava un certo ascendente sui compagni, anche più vecchi di lui. Altri lo presentano come un ragazzaccio sfaticato e crudele: un giorno, avrebbe spezzato l’ala a un uccello e si sarebbe divertito ad assistere ai tentativi della bestiola che non riusciva più a volare… Altri, invece, affermano che fosse, semplicemente, un cattivo alunno.
La sua famiglia era molto povera. Il lavoro in fattoria offriva poco. Il padre di Clyde, Harry Barrow, lasciò Teleco e si trasferì a West Dallas, nel 1922. Ln città trovò un impiego in una stazione di rifornimento. Quello stesso anno, Clyde venne iscritto alla scuola di Cedar Valley; i risultati saranno sempre mediocri, come quelli ottenuti fino allora.
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(Ho un marito vagabondo con una mente vagabonda)
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Per Bonnie, all’improvviso, gli studi ebbero termine. Le letture, i sogni le avevano messo dentro una confusa impazienza. Conobbe Roy Thorton. A sedici anni, nel1926, lo sposò. Non sappiamo niente di suo marito, eccetto che non era mai vicino alla moglie.
Dopo il primo anno di matrimonio, scompariva regolarmente dalla circolazione per settimane intere. Bonnie nel suo diario scriveva: «Caro diario… voglio dirti che ho un marito vagabondo con una mente vagabonda. Siamo divisi di nuovo per la terza e ultima volta. La prima volta, dal 9 al 19 agosto 1927- La seconda volta, dal 1° al 19 ottobre 1927, e la terza, dal 5 dicembre 1927. Lo amo molto e sento terribilmente la sua mancanza. Ma ho deciso di far valere i miei diritti. Non gli permetterò di tornare indietro. Me ne vado in giro con Rosa Mary Judy, e lei mi consola un po’. Abbiamo deciso che con il nuovo anno non prenderemo più sul serio né gli uomini né il resto. Che gli uomini vadano all’inferno, tutti quanti! Ma non abbiamo nessuna intenzione di starcene tranquille, con le mani in mano».
Nel 1927, cominciò a lavorare comecameriera al caffè Marco, a East Dallas,ma nel 1929 il caffè venne chiuso. Bonnietrascorse le sue giornate tra un filme l’altro e tra le corse a Dallas, alla ricercadi un impiego. Si separò definitivamenteda Roy Thorton, ma non legalmente;non avrà mai il tempo di divorziare.
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Con una rivoltella fuori uso
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A sedici anni, Clyde lasciò la scuola. I primi datori di lavoro rimanevano soddisfatti delle sue prestazioni, ma Clyde non rimase a lungo fisso in un posto. Le automobili lo appassionavano sempre di più. Amava suonare il sassofono. Nel 1926, per la prima volta, la polizia s’interessò a lui. Venne sospettato di furto di automobili ma, dopo una breve inchiesta, fu rilasciato per mancanza di prove.
Con suo fratello Buck, Clyde faceva già parte del “Root Square”, una banda di ragazzi che rubavano gomme di automobili a Sant?ntonio e a Dallas. Per due anni, Clyde commise con la sua banda dei piccoli furti, continuando a lavorare di tanto in tanto. Nel 1928, lasciò la famiglia per andare a vivere con un amico. Venne interrogato dalla polizia perché sospettato di furto, ma se la cavò senza nemmeno mettere piede in tribunale.
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Qualche mese dopo, la piccola banda decise di organizzare qualche furto con scasso. Il primo vero colpo di Clyde ebbe luogo in una sala da gioco di Fort Ben County dove, con una rivoltella fuori uso, disarmò le due guardie e arraffò l’incasso. A quel tempo, fu coinvolto anche in una inchiesta per tutt’altro reato: un tentativo di furto con scasso che, una notte del 1929, era fallito. Benché fosse riuscito ancora una volta ad evitare la prigione, Clyde conservò sempre un cattivo ricordo di quell’impresa notturna. Da allora, commetterà i suoi delitti in pieno giorno.
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L’incontro
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Negli ultimi mesi del 1929 e nei primi del 1930, Clyde e il fratello vennero ricercati dalla polizia in numerose città del Texas e soprattutto a Dallas. Ma i due si nascondevano nel groviglio di viuzze del quartiere ovest, che conoscevano bene; non si preoccupavano nemmeno di nascondersi.
Clyde aveva vent’anni. Basso di statura, si pettinava con cura i capelli neri. Aveva uno sguardo dolce e malinconico, a volte perso nel vuoto; un mento sfuggente, ma la mascella volitiva che gli
dava un’aria decisa. Una faccia banale, come ce ne sono tante. Dovrà possedere uno spirito d’osservazione molto particolare il giornalista del New York Times per scoprire che Clyde aveva gli occhi da serpente “e una testa da assassino”.
In effetti, Clyde cerca di mascherare con una ostentata eleganza nel vestire la sua figura un po’ goffa. Il risultato è contrastante: lineamenti grossolani, ma un’andatura disinvolta, un comportamento quasi effeminato.
Conciato così, un giorno incrociò in una strada di West Dallas una sconosciuta dai capelli bellissimi, rossi, ondulati. Clyde lancia una lunga occhiata a quella donnina esile, che sembra fragile, ma non timida, con quegli occhi espressivi e le labbra sottili. Lei sorride. Bonnie Parker
e Clyde Barrow si erano incontrati.
Fu un colpo di fulmine che avrebbe fatto molto, molto rumore.
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Far quattrini
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Per la nazione americana era il momento di uno sconquasso storico. In borsa, le quotazioni non accennavano a diminuire. Seicentomila azionisti avevano comperato allo sbaraglio, presi dall’euforia di un rialzo che durava, incredibilmente, da due anni. Prendiamo uno dei tanti esempi, la società finanziaria creata da Goldman, Sachs & C.: la Trading Corporation. (era già famosa allora per la sua incapacità che scaricava alora come ora sul denaro pubblico N.d. R.).
Il 4 dicembre 1928, l’emissione iniziale fu di un milione di azioni da cento dollari l’una. Il 90% delle azioni vennero vendute al pubblico a 104 dollari. Il 2 febbraio 1929, l’azione venne quotata 136 dollari e 50. Cinque giorni dopo, il 7 febbraio, la quotazione era salita a 222 dollari e 50. In due mesi, aveva più che raddoppiato il suo valore.
Questa frenesia di speculazione aveva gettato il mercato finanziario in un’esaltazione pazzesca, e tutti gli azionisti, gli esperti, e perfino i professori d’economia di Harvard si erano persuasi che non ci sarebbe stato un limite al rialzo. I soldi, e solamente quelli, potevano far soldi. Era una formula nuova, e infallibile, applicando la quale, infatti, migliaia di persone si arricchivano.
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Ma, a cominciare dall’autunno 1929, Wall Street era in caduta libera. Le azioni avevano rotto e iniziava il ribasso che avrebbe continuato, giorno dopo giorno, per tre anni.
E, per il momento si trattava solo della rovina di banchieri, agenti di borsa, azionisti, tutti più o meno compromessi nella speculazione: il dissesto coinvolgerà un milione e mezzo di persone, su
una popolazione di centoventi milioni. In fondo, c’era anche una morale in quel disastro. Ma tra coloro che si erano rovinati in borsa, ci furono anche i trusts dell’industria, del commercio, della finanza, svelando così l’entità del disastro.
Wall Street rivela in quei giorni il vero ruolo che gioca nel paese: praticamente è al centro del ciclone. Come dice J. K. Galbraith, «nella speculazione in borsa del 1929, ciò che più colpisce non è tan- to il suo carattere massiccio, quanto il modo con cui tale speculazione era diventata il centro stesso della vita americana ».
La maggior parte dei lavoratori, degli agricoltori, degli impiegati, considerava la borsa come una cosa inaccessibile e un po’ inquietante’. All’improvviso, quella “cosa” mise sul lastrico milioni d’impiegati, di operai, di commercianti. Il 1929, l’anno più sfavorevole nella storia degli Stati Uniti, creò 13 milioni di disoccupati, un quarto della manodopera totale, e gettò l’economia in una stasi che doveva durare più di dodici anni.
Per anni, coloro che reggevano le sorti del paese promisero prosperità, ricchezza per tutti, a breve scadenza. Le moltitudini di disoccupati che si ammassavano nelle città, in tuguri miserabili, non potevano rinunciare alla grande speranza. E qualcuno finì col pensare che in un mondo dove la ragione – economica, scientifica, finanziaria, politica – aveva condotto sull’orlo del disastro, bisognava andare contro la ragione, tentare la sorte in modo azzardato e illegale.
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« Amore, se resterai in prigione altre due settimane, diventerò pazza da legare »
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A Henrietta, Texas, nel gennaio 1930, Clyde e Buck vennero sorpresi su un’automobile
rubata. In più, vennero imputati di altri quattro furti di automobile e di due rapine a mano armata. Questa volta la polizia non li lasciò andare. Processati rapidamente, Buck venne condannato a quattro anni di detenzione; Clyde, che si dichiarò colpevole, beccò due anni.
Entrambi furono rinchiusi nella prigione di Denton.
E fu un periodo molto duro. Per Bonnie non era ancora cominciata l’avventura, nemmeno in sogno, che giunsero di nuovo la solitudine, l’angoscia, l’isolamento. Nonostante le lunghe lettere che scriveva a Clyde e nonostante le pratiche, spesso vane, che intraprese per vederlo, Bonnie non riuscì a ingannare l’attesa.
Non c’è prigioniero peggiore di chi si sente in prigione. Bonnie scriveva:
«Tesoro, non so più nulla di interessante, solo che ti amo più della mia vita e che sono quasi pazza. Amore, se resterai in prigione altre due settimane, diventerò pazza da legare. La notte scorsa ho sognato che tu “uscivi” e io “entravo”. Magari io potessi scontare questi lunghi giorni al posto tuo, amore. Ma se io fossi dentro, tu probabilmente mi dimenticheresti.
Questa lettera è come tutte le altre. È abbastanza malinconica, ma, tesoro, sono così abbattuta, così scoraggiata e triste. Non puoi pretendere che sia felice e nep pure che ti scriva lettere allegre, perché questo, caro, mette più a dura prova i miei sentimenti che i tuoi ».
Nelle sue lettere Bonnie ripeteva allo infinito le stesse parole, esprimeva gli stessi sentimenti, le stesse sensazioni. Dietro l’apparenza sdolcinata e piagnucolosa delle frasi celava un intenso dolore: l’impossibilità di sopportare tutto ciò, e la necessità di doverlo sopportare. Sono le lettere in cui appare anche la coscienza (o l’illusione?) di vivere un amore fatale, degno di una tragedia greca…
L’8 marzo 1930, Buck Barrow, il cui comportamento doveva essere stato particolarmente esemplare, per beneficiare di un condono di pena così ampio, venne liberato sulla parola. Tre giorni dopo, Clyde evase con altri due detenuti. I particolari dell’operazione rimasero nebulosi, ma è probabile che la faccenda venne organizzata da Buck, mentre Bonnie era servita da intermediaria: durante una visita, era riuscita a far scivolare nelle mani del detenuto una rivoltella (o una lima?).
Clyde era libero, ma lo rimase solo per una settimana. Venne ripreso a Middletown, nell’Ohio. Nuovo processo, nuova condanna: 14 anni. Clyde venne trasferito a Huntsville, la prigione di Stato del Texas.
Nella corrispondenza dei due questo episodio e la nuova condanna vengono appenasfiorati. Le lettere erano aperte dalle guardie, e Bonnie e Clyde non volevano rischiare di dire troppo. Le visite erano regolate in maniera più elastica che a Denton, e Bonnie cercò lavoro a Huntsville, ma invano. Quanto a Clyde, soffriva per la chiassosa promiscuità che regnava nella sua cella. Ne parlò in una lettera datata 19 aprile 1930, riferendosi anche ai compagni; alcuni avevano fatto parte della sua banda, e Bonnie doveva conoscerli.
« Solo un minuto, amore. Lasciami vedere cosa sta succedendo qui. Tutto a posto, bimba, tutto okay. Per un momento, ho pensato che fossero tutti morti; era troppo tranquillo qui, ma Frank sta leggendo, e Pat non si sente bene; altri due stanno dormendo e Lee è seduto vicino alla finestra a guardare fuori, e immagina di essere dall’altra parte. È la prima volta da quando sono qui che questo posto è così silenzioso, e spero che gli altri se ne stiano tranquilli fino a che ho finito di scrivere.»
Dopo l’evasione non riuscita, Clyde si era inflitto una crudele mutilazione: per non essere forzato al lavoro, obbligatorio in prigione, si era tagliato con un’accetta due dita del piede destro. Un gesto più di disperazione che di rivolta, ma che non risolse certo i suoi guai. In effetti, solo una condotta irreprensibile, unita al pentimento delle sue azioni passate e ai buoni propositi per l’avvenire avrebbe potuto fargli avere un condono di pena, quello che la legge americana chiama “la libertà sulla parola”. Bonnie e la madre di Clyde cercarono di convincere ben presto il detenuto che quella era ormai la sua ultima possibilità.
Il 21 dicembre, Clyde annunciò la buona notizia a Bonnie:
«Tesoro, mia madre ha chiesto che la mia pena venga ridotta a due anni, e io sono già stato qui dentro otto mesi. Se riesce a ottenere la riduzione, non sarà molto duro sopportare il resto. Tu fai la brava e comportati meglio che puoi. Al resto ci penso io».
Nel 1931, Clyde venne a sapere che il fratello si era sposato con la figlia di un pastore, Blanche, la quale, non appena laprima notte di nozze era trascorsa, l’aveva convinto a presentarsi spontaneamente alla polizia. Nelle intenzioni della ragazza il gesto doveva servire a due scopi: riabilitare Buck agli occhi del giudice (naturalmente questo gli costò qualche anno di prigione), e soprattutto sottrarlo all’influenza di Clyde. Quando uscirà uno, l’altro dovrà ancora scontare un anno di prigione.
Blanche, è chiaro, non credeva che il cognato avesse realmente deciso di emendarsi e, fin d’allora, intuiva che lui sarebbe stato la rovina sua e di Buck.
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Il punto da cui non si torna indietro
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Il decreto con cui a Clyde Barrow veniva concessa la libertà condizionata venne firmato dal governatore del Texas il 2 febbraio 1932. Clyde aveva 23 anni, ma c’è da chiedersi se gli anni trascorsi in prigione valgono quanto gli anni trascorsi fuori. Non c’è dubbio che Clyde avesse appreso parecchie cose in prigione, soprattutto “particolari tecnici”: indirizzi di ricettatori, fornitori di notizie per ricatti, medici discreti, avvocati che si lasciano comprare, sarti specializzati in tasche per rivoltelle ecc. Ma, in fondo, non era cambiato.
Anche circondato da malfattori, da ladri o da assassini, Clyde non si era mai sentito a suo agio, era un emarginato in questa società, come nell’altra. Il giovanotto che Bonnie ritrovò era sempre infantile, senza la minima idea di ciò che è giusto e di ciò che non lo è, e il concetto di responsabilità gli era rimasto estraneo, sempre.
D’altronde, Clyde non fu capace nemmeno di una settimana di riflessione: l’impatto fisico con la libertà l’aveva reso come pazzo. Non era capace di starsene tranquillo. Un mese dopo la sua scarcerazione, Clyde venne identificato tra i membri di una banda che assaliva le stazioni di rifornimento (qualcuno fece notareche il padre di Clyde lavorava in una stazione di rifornimento : coincidenza?…).
La banda continuava a mettere a segno colpi senza importanza. I furti non fruttavano mai più di qualche centinaio di dollari a testa; il record fu di 350 dollari. Bonnie, che non partecipava a questi colpi e che li disapprovava, organizzò un incontro tra Clyde e un certo Raymond Hamilton. Benché Hamilton fosse stato l’amante della ragazza, e benché lo fosse ancora ogni tanto, i due uomini simpatizzarono. Clyde abbandonò la banda delle stazioni di rifornimento.
Il primo colpo che i due organizzarono insieme ebbe un esito catastrofico. Il 27 aprile 1932, a Hillsboro, nel Texas, Clyde e Hamilton penetrarono nel negozio di musica di John Bucher. Dopo aver chiesto delle corde da chitarra, si fecero consegnare la cassa. Il negoziante oppose resistenza, e i due rapinatori perdettero la testa e lo uccisero. La cassa conteneva quaranta dollari. Clyde aveva ormai raggiunto il punto dal quale non si torna più indietro. Assassino, nella sua logica, significava che non aveva più niente da perdere.
A Hillsboro, in quell’orribile colpo, aveva rotto ogni freno morale, si era liberato delle ultime resistenze interiori; l’assassinio era esploso in Clyde come una specie di rivelazione, e lui ci aveva preso gusto.
Cinque mesi dopo, ad Atoka, nell’ Oklahoma, in una sala da ballo, lo sceriffo C. G. Maxwell e il suo aiutante Eugene Moore scorsero due giovani forestieri mentre stavano vuotando una bottiglia di liquore. Si avvicinarono e – era l’epoca del proibizionismo – ordinarono di consegnare la bottiglia.
– I liquori sono proibiti, qui.
– Ma guarda!
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Alla fine del breve battibecco, Moore ricevette una pallottola nel cuore, e Maxwell venne gravemente ferito. Clyde e Hamilton saltarono su un’automobile rubata e scomparvero. Fu un crimine inutile che mobilitò tutte le forze di polizia dell’Oklahoma, ma gli assassini avevano già lasciato il paese.
Qualche giorno dopo, erano a Grand Prairie, nel Texas, dove organizzarono, con alcuni complici reclutati per l’occasione, una scorribanda sull’’Interurban Station’ della città. Il bottino fu di 3.500 dollari. I Rangers erano convinti di bloccarli intorno a Grand Prairie, invece Clyde e Hamilton erano a Sherman, nel Texàs. Di là, i due tornarono, l’11 ottobre, nell’insanguinato scenario di Hillsboro. Entrarono nella macelleria di Howard Hall, con le pistole in pugno. Hall accennò un gesto per respingere l’arma di Clyde. Due pallottole nel ventre lo uccisero. Gli aggressorise la diedero a gambe, risparmiando un cliente, Homer Glaze, impiegato presso un notaio. Dal loro punto di vista fu un errore, perché la testimonianza di Glaze farà scomparire ogni dubbio sull’identità e sull’aspetto fisico degli assassini.
È evidente che Ctyde e Hamilton non avevano esitazioni. Ciò che colpisce è il modo a casaccio con cui portavano a termine, almeno nel 1932, le loro imprese. Sembra che niente venisse organizzato in anticipo, che nessun colpo fosse frutto di una qualche riflessione. Quanto facevano non solo era bestialmente sanguinoso, ma sembrava addirittura l’operato di due pazzi.
Un giorno sventravano la cassaforte di una grande impresa industriale, il giorno dopo, magari, si accontentavano del magro incasso di un commerciante.
Tutto ciò disorientava la polizia, abituata ormai a delinquenti che si comportavano in modo più razionale.
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Continua …
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Le foto sono d’archivio e rappresentano alcuni momenti della vita dei due criminali americani.
Prima parte http://www.igiornielenotti.it/?p=2754
Seconda parte http://www.igiornielenotti.it/?p=2924
Terza parte http://www.igiornielenotti.it/?p=3098
Quarta parte http://www.igiornielenotti.it/?p=3353
MichaelPt
7 Marzo 2014 @ 02:46
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