• Introduzione a “Lo straniero”di Roberto Saviano – Ma, siamo tutti anaffettivi e potenzialmente assassini come Meursault ???

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    Commenti a margine dell’introduzione al capolavoro di Camus di Roberto Saviano.  «Mi sembra che Saviano abbia quantomeno sintetizzato un po’ troppo. Inoltre mentre prima parla di un Camus che crede profondamente nella responsabilità degli esseri umani, poi si incarta su questo concetto e diventa fatalista»

    di Gian Carlo Zanon

    Ho letto su Repubblica del 7 febbraio l’articolo Quando Camus ci insegnò che siamo noi “Lo straniero” di Roberto Saviano. L’articolo, se ho ben capito, è uno stralcio dell’introduzione al romanzo di Albert Camus Lo straniero ristampato dall’editore Bompiani.

    Saviano nella sua introduzione, a lato di affermazioni condivisibili su Camus come quella sulla responsabilità umana e civile ben presente nella realtà identitaria dello scrittore algerino, fa alcune osservazioni inaccettabili nella forma e nei contenuti.

    Partiamo dalla “questione algerina”. Scrive Saviano: «A Stoccolma, nel 1957, in occasione della consegna del premio Nobel, Camus partecipò a un incontro con giovani studenti. In quell’occasione uno studente algerino lo aggredì verbalmente e lui pronunciò, in risposta, una frase per cui la stampa francese di sinistra letteralmente lo crocifisse: «Amo mia madre e la giustizia, ma fra mia madre e la giustizia scelgo mia madre». Quello che Camus voleva dire era: se credete sia ingiusto che mia madre, perché francese ma da sempre modesta e lavoratrice, viva laddove ha sputato sangue e sudore, allora io sto con mia madre e contro la vostra giustizia.»

    Una affermazione che parte male perché viene troncata una parte importantissima della frase di Camus. Una citazione monca non può che finire con un’interpretazione sbagliata. Camus al suo giovane connazionale che gli domandava cosa pensasse della guerra algerina contro i colonialisti francesi, rispose «Ho sempre condannato il terrore. Devo così condannare un terrorismo che viene esercitato in maniera cieca nelle strade di Algeri e che un giorno potrebbe uccidere mia madre e la mia famiglia. Io credo nella giustizia ma difenderei mia madre prima della giustizia.»

    Sembra che Saviano non conosca bene la storia della guerra di liberazione algerina che in quegli anni veniva portata avanti con il terrorismo che uccideva nella stragrande maggioranza dei casi civili inermi. È contro questa forma di lotta che si schiera Camus. Lo scrittore, che non si considerava francese ma algerino e mediterraneo, non poteva accettare né una posizione politica che voleva conservare uno status quo, e quindi l’oppressione dei nativi di origine araba, né quello del FLN per il quale la fine del colonialismo doveva finire in un bagno di sangue francese.
    In quegli anni l’opinione pubblica della sinistra francese, ovvero il Pcf, guidata da Sartre non ci prova nemmeno a capirlo. Per i più benevoli, egli è un inguaribile ottimista senza alcun rapporto con la realtà, in quanto non riesce a capire che i francesi d’Algeria sono al 99% «ferocemente attaccati ai loro privilegi» di “uomini bianchi”; per i più malevoli Camus è uno «schifoso fascista» neocolonialista.

    Saviano, che è un uomo d’onore, scrive «Camus nella sua vita si sentirà straniero sempre e per tutti. Straniero in Algeria perché privilegiato, straniero tra francesi. Ma straniero anche e soprattutto per la sua condizione di uomo; quindi, in definitiva, straniero tra stranieri.» Anche se è lo stesso Camus a definirsi, con un ossimoro, solitaire et solidaire, non sono d’accordo. Camus veniva percepito come uno “straniero” e come tale trattato degli ideologi pronti a sacrificare gli esseri umani in ragione di un ideale. Egli sapeva che la propria esistenza era legata indissolubilmente al genere umano e lottava perché gli esseri umani conservassero l’umanità avuta in dono dalla nascita. «Mi rivolto dunque siamo» è una sua frase emblematica che rappresenta bene questo suo sentirsi parte della comunità umana. Inoltre “La sua condizione di uomo” egli non la vive da esistenzialista, etichetta fasulla che tutti, anche Saviano, gli appiccano addosso.

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    Se sulla “questione algerina” e sul suo sentirsi straniero potremmo anche discutere, non lo possiamo più fare sulla interpretazione che Saviano fa de Lo straniero, perché è pericolosamente fuorviante.
    Anche qui Saviano commette degli errori di lettura. Meursault, il protagonista «mentre cammina, sulla spiaggia, – scrive Saviano – sole negli occhi, ha uno scontro con un arabo e nella colluttazione gli spara, uccidendolo.» Questa è una lettura quantomeno superficiale. Forse Saviano non ha letto il testo. Forse lo ha letto ma non se lo ricorda. Infatti scrive « Lo straniero l’ho letto da adolescente».

    Forse vale la pena leggere insieme il passaggio in cui il protagonista uccide il ragazzo arabo con cui, prima, solo qualche ora prima, aveva avuto una colluttazione «E questa volta, senza alzarsi, l’arabo ha estratto il coltello e me l’ha presentato nel sole. La luce ha balenato sull’acciaio e fu come una lunga lama scintillante che mi colpisse alla fronte. In quello stesso momento, il sudore delle mie sopracciglia è colato di colpo giù dalle palpebre e le ha ricoperte di un velo tepido e denso. Non sentivo più altro che il risuonar del sole sulla mia fronte e, indistintamente, la sciabola sfolgorante sprizzata dal coltello che mi era sempre di fronte. Quella spada ardente mi corrodeva le ciglia e frugava nei miei occhi doloranti. È allora che tutto ha vacillato. Dal mare è rimontato un soffio denso e brucante. Mi è parso che il cielo si aprisse in tutta la sua larghezza per lasciar piovere fuoco. Tutta la mia persona si è tesa e ho contratto la mano sulla rivoltella. Il grilletto ha ceduto, ho toccato il ventre liscio dell’impugnatura ed è là, in quel rumore secco e insieme assordante, che tutto è cominciato. Mi sono scrollato via il sudore e il sole. Ho capito che avevo distrutto l’equilibrio del giorno, lo straordinario silenzio di una spiaggia dove ero stato felice. Allora ho sparato quattro volte su un corpo inerte dove i proiettili si insaccavano senza lasciare traccia. E furono come quattro colpi secchi che battevo sulla porta della sventura”.»

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    Mi sembra che Saviano abbia quantomeno sintetizzato un po’ troppo. Inoltre mentre prima parla di un Camus che crede profondamente nella responsabilità degli esseri umani, poi si incarta su questo concetto, diventa fatalista, «quando leggi del suo protagonista che per puro caso ammazza un arabo, quando leggi come tutto avvenga per fatalità, ti accorgi che Camus è riuscito in un’impresa impossibile: quella di descrivere l’esistenza come qualcosa che accade. E l’ha fatto non da uomo rinchiuso nei suoi demoni, non da uomo separato dal suo mondo, ma da uomo che vive pienamente la sua vita, e nonostante ciò ha compreso che la vita in fondo capita, senza ragione, senza colpa, semplicemente capita.»

    Albert Camus che ha fatto della ribellione a “ciò che capita” la propria cifra esistenziale «ha compreso che la vita in fondo capita, senza ragione, senza colpa, semplicemente capita.»???? E allora perché ribellarsi se la vita “capita”?

    Come ho già scritto, Meursault non siamo noi. Meursault come direbbe il nazista Heidegger, ha un ‘progetto di esistenza’: essere per l’assenza. L’assassinio del ragazzo sulla spiaggia assolata, lo sparo, quel «rumore secco e insieme assordante» rompe l’equilibrio precario di un border line, ovvero di un malato di mente sempre in equilibrio precario tra “l’autenticità dell’essere”  e l’assenza di sintomatologia visibile : «Ho capito che avevo distrutto l’equilibrio del giorno». Equilibrio che il protagonista del romanzo si era costruito pezzo per pezzo come una muraglia: ogni pulsione di annullamento è un brick in the wall, una ‘muraglia assurda’ ed invisibile che lo separa dagli altri donandogli quella parvenza di pace, quell’atarassia tanto agognata, che lo rendeva “straniero”, estraneo al mondo degli esseri umani. Meursault, dopo il primo sparo, con rabbia scarica l’arma addosso al “nemico” colpevole di avergli fatto fallire il suo progetto di esistenza. Esistenza nel senso etimologico: ex-sisto, star fuori, essere straniero nel mondo. E quando il giudice gli chiede perché lo aveva ucciso, gli risponde con una bella frase schizofrenica: «Ho detto molto in fretta , confondendo un po’ le parole rendendomi conto di quanto ero ridicolo, che era stato a causa del sole».

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    E secondo Saviano il personaggio di Camus siamo tutti noi !!! Forse pensa con Heidegger che la condizione umana sia quella di nascere come un animale e che l’essere umano si realizzi solo per la morte degli altri.

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    Camus, lo scrive Jean Daniel nel suo libro Resistere all’aria del tempo, ha sempre fatto una lotta accanita contro «il nichilismo matrice dell’assurdo». Nel romanzo Camus affronta, a suo modo, da artista, ‘l’assurdo’. Il protagonista, del suo romanzo, Meursault, è la rappresentazione dell’anaffettività che porta all’assenza di rapporto profondo con l’altro da sé. Per sua stessa affermazione i personaggi di Camus sono miti incarnati, sono immagini/pensieri che vengono rappresentati: Meursault non è dichiaratamente un esistenzialista, egli è la rappresentazione dell’esistenzialismo.
    Per Camus Meursault è uno schermo dove le immagini, che si snodano nel racconto del protagonista, vanno man mano accampandosi mostrando tutta l’assurdità dell’esistere senza essere, senza identità umana, escludendo gli affetti, anche il senso dell’amore per una donna: «Un momento dopo (Maria) mi ha domandato se l’amavo. Le ho risposto che era una cosa che non significava nulla». Il protagonista, narrando di sé, ci fa vedere ciò che accade intorno a lui, come su uno schermo piatto … staccato da sé stesso; in lui non c’è mai qualcosa di umano. Mai un rifiuto, una scintilla di passione che riverberi un’essenza interna; ci sono solo accadimenti, proiettati sul nulla, come seguendo un copione già scritto, un teatro mundi personale che nega la possibilità di un rapporto profondo con gli esseri umani.


    Solo nel finale Meursault esce dall’assenza, quando pone un rifiuto fermo al prete che vorrebbe salvargli l’anima; ma probabilmente è Camus, con la sua passione, che è voluto entrare per un attimo nel personaggio, forse per affermare l’impossibilità umana ad essere completamente anaffettivo e quindi pazzo. E, solo in quel momento, si vorrebbe stare accanto a lui e sbattere contro il muro quel prete, scisso fino al manierismo – splendido il resoconto delle azioni innaturali del sacerdote – , e urlare no alle sue false verità. Ma in quel rifiuto il Meursault del romanzo non c’è quasi più, lì c’è Camus.
    Dice bene Saviano quando scrive «Ne Lo straniero Meursault non è Camus» Infatti non lo è … anche se da grande conoscitore d’arte qual era inserisce, come nei dipinti rinascimentali, qua e là se stesso nella cornice del romanzo, come quando scrive che il protagonista, tra i giornalisti accorsi numerosi al processo, ne scorge uno «molto più giovane degli altri (…) E ho avuto l’impressione strana di essere guardato da me stesso.» Questo per sottolineare la complessità del romanzo, e forse anche qualche ambivalenza dell’autore, che non si può certo liquidare con troppa disinvolta superficialità.


    Mi è piaciuto invece il finale di Saviano, specialmente quando scrive che «nella Peste esiste una risposta a Lo straniero , una risposta che chi ama Camus voleva, si aspettava. Una risposta che non consola ma spiega. Puoi fermare la malattia, ma non risolvi il problema. Nel mondo si muore lo stesso, si soffrirà lo stesso. Ma chi lavora e agisce per salvare, per pulire, per guarire forse non costruirà un mondo migliore, ma migliorerà il mondo in cui vive.» … si questo mi piace perché è esattamente il pensiero di Camus: ribellarsi a ciò che i conservatori dello status quo chiamano destino o disegno divino.

    9 febbraio 2015

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    • l’affermazione di saviano sul fatto che camus fosse un privilegiato in algeria, denota la scarsa conoscenza che ha dello scrittore ,della sua poverissima e umile famiglia, consiglierei a saviano la letture del “primo uomo”
      camus era uno “straniero “in un mondo alienato………..come lo sono tutti gli uomini, e le donne degni/e di questo nome………in tutte le latitudini.

      ciao

      • Giusta osservazione e ne Il primo uomo, come scrivi tu, è ben chiaro questa sua uguaglianza soprattutto mentale con i suoi compagni algerini. Ti ricordi la dialettica col compagno di banco arabo alle elementari?. Tra L’altro Camus esce dal Pcf quando i comunisti francesi , su “suggerimento” di Stalin, buttano fuori dal partito i compagni arabi. Per assurdo erano proprio i comunisti ad essere settari nei confronti dei nativi arabi.

        GCZ

    • Ho molto apprezzato questo articolo, caro Gian Carlo Zanon. La sua lettura de “Lo Straniero” mi convince molto di più di quella di Saviano.
      Ritengo che ognuno di noi dovrebbe fare ciò che è in grado, non qualcosa che si ha in mente ma che non possiede fondamento.
      Dirigo su facebook un gruppo di lettori consapevoli e, da questo momento in poi, i suoi articoli saranno presenti e presi a pretesto per iniziare delle disquisizioni intorno a questioni letterarie.
      La ringrazio e le auguro un buon lavoro.
      A.D.L.

      • Ti ringrazio A.D.L (scusa ma preferisco il tu) per questo tuo commento. Camus è un mio oggetto di studio trentennale e continua ad appassionarmi. E quando mi accorgo che la sua opera non viene intesa come si dovrebbe ci sto male e reagisco come posso.

        Se mi mandi il nome del FaceBook citato lo vengo a visitare volentieri. Non mandare link perché altrimenti il commento viene spammato. Puoi usare se vuoi il nostro indirizzo email igiornielenotti@yahoo.it .
        Tra l’altro partecipo a due gruppi di lettura (Upsilamba/letterario e Gruppo Storia Amore e Psiche storico) e con il gruppo letterario stiamo facendo una ricerca sul senso di colpa/castigo, passando da Delitto e castigo-Il Processo (Kafka) -Lo straniero-La neve era sporca” (George Simenon) e Maledetto Dostoevskij di Atiq Rahimi … ma ci vorranno mesi … insomma cibo per la mente.
        Grazie ancora e a presto

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