di Gian Carlo Zanon
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Ho letto un libro molto interessante: Il capo dei capi – Vita e carriera criminale di Totò Riina. Gli autori, i giornalisti Attilio Bolzoni e Giuseppe D’Avanzo, hanno attinto il loro materiale dalle testimonianze dirette di magistrati, di carabinieri, di funzionari del Ministero degli Interni e di persone che hanno conosciuto personalmente il “capo dei capi”. Gli autori hanno scritto dopo aver studiato verbali della polizia e dei servizi segreti, atti parlamentari, fascicoli processuali, dopo aver ascoltato centinaia di intercettazioni telefoniche, per costruire la storia documentata del capo di Cosa Nostra corleonese.
Un lavoro di ottima fattura, indispensabile per conoscere i rapporti fraterni tra Cosa Nostra e moltissimi uomini dello Stato tra cui Andreotti, Salvo Lima, Vito Ciancimino, Cuffaro, ecc.; un testo che scava non solo nel vissuto di Riina ma anche nella storia politica e sociale della Sicilia e dell’Italia dal secondo dopoguerra a oggi.
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Il racconto parte dal giorno in cui il padre del boss corleonese, tentando maldestramente di disinnescare una bomba trovata sulla via di ritorno dai campi, la fece esplodere causando la propria morte e il destino del figlio. Solo Totò, anch’egli presente al momento dell’esplosione rimane illeso. Il fratello Francesco morì e, Gaetano, il secondogenito, rimase gravemente ferito.
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Penso che questo evento tragico abbia segnato il pensiero di Totò Riina: nel senso di aver fatto nascere in lui la paranoia dell’invulnerabilità. Penso che dal quel momento il contadino corleonese abbia creduto che il mondo ruotasse attorni a lui. Si trattava solo di fare in modo che la sua paranoia combaciasse con la realtà. Si calcola che la paranoia di diventare “capo dei capi” sia costata circa duemila orribili morti – tra cui quella dei giudici Falcone e Borsellino – molti dei quali assolutamente innocenti, nel senso che alcune persone stavano accidentalmente dove non dovevano stare in un certo giorno e una certa ora.
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Ciò che però che mi ha colpito particolarmente sono alcune somiglianze tra Totò Riina e Matteo Renzi: lucidità politica, ossessioni, modalità di comportamento, linguaggio gergale, fatte le dovute e ovvie differenze formali, sono molto simili tra loro.
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La sindrome del tiranno è già stata notata da «Un renziano critico – che, scriveva il 12 settembre Wanda Marra su Il Fatto – commenta così la situazione: “Renzi rischia di avere la sindrome di Caligola: posso nominare senatore il mio cavallo”».
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Renzi, continuando la metafora, come Riina si attornia di equini fedelissimi, meglio se cresciuti della sua stessa scuderia, meglio se toscani. Bardotti e cavalle più o meno di razza che ripetono il refrain del Bardo tanto caro ai megalomani « Salve Renzi! Salute a te signore di Firenze! Salve Renzi! salute a te Segretario del Pd e Presidente dl consiglio! Salve Renzi che un giorno sarai Re come Re Giorgio.»
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Come Macbeth e come molti capomandamento di Cosa Nostra, Renzi, dorme poco. Lo può provare il suo amico intimo Chicco Testa, l’ex talebano ambientalista trasformatosi poi in uno spietato fautore del nucleare: «Qualche mattina, molto presto perché noi anziani dormiamo poco, diciamo tra le 5 e le 6, gli mando un sms per vari motivi. Dopo un minuto arriva la risposta. Mi sono segnato le ore: 5,15 – 6:01. 5:49…».
L’ex sindaco di Firenze, come Macbeth, dopo aver assassinato Re Duncan/Letta, con le mani ancora lorde di sangue, può dire «Ho ucciso il sonno».
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L’esponente di Cosa Nostra Giuseppe Genco Russo (in piedi) pranza con il Prefetto di Caltanissetta e il sindaco di Acquaviva Platani e l’onorevole Nino Gullotti, segretario regionale della DC nel 1954 e poi, nel 1975 e nel 1979, rispettivamente ministro della Sanità e vicesegretario nazionale
della stessa Democrazia Cristiana.
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Come suggerisce il titolo che ho scelto per questo articolo, vezzi e tic renziani possono venir interpretati e decodificati leggendo i drammi di Shakespeare, (Macbeth e Riccardo III), oppure Caligola di Albert Camus … ma anche scorrendo la storia di Totò Riina:
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«In questa Cosa Nostra – s’era lamentato Totò Riina con il boss Michele Greco – qualsiasi minchia di capomandamento che si sveglia la mattina convoca la commissione … si perdono giorni anche per decidere di rompere le corna a un ricottaro … e che, è Cosa Nostra questa, questa è una fottuta democrazia! Trapani la vuole cotta, Mazara la vuole cruda. A San Cataldo dicono bianco, a Caltanissetta nero. E i palermitani? Che ne parliamo a fare! Ventiquattro famiglie a Palermo sono troppe, lo dico da anni. Ne sarebbero sufficienti quattro, al massimo cinque. (…) Il capomandamento non deve essere scelto dalle famiglie, ma dalla commissione, che con meno mandamenti sarà più ristretta. Questo, io penso, deve essere Cosa Nostra. Oggi, invece, i palermitani scisciano sciusciano , si riempiono la bocca di regole, di tradizioni, di valori … ognuno pensa al suo portafoglio … i capi fanno i soldi a palate e i picciotti fanno la fame.
E poi cos’è questa pupiata delle elezioni? Quel gran Cornuto di Michele Navarra, forse, si fece eleggere da qualcuno? (…) Eravamo forti e ci prendemmo tutto. Naturale, come il vento e la pioggia.
Questa Cosa Nostra va cambiata come si cambia una casa vecchia. Deve essere una cosa di poche famiglie che tengono tutto in mano, che decidono chi deve essere il capofamiglia ad Altarello e chi il capomandamento a Resuttana.»
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È impossibile non trovare somiglianze tra il linguaggio lucidamente criminale del boss corleonese e quello usato da Renzi. L’ex sindaco di Firenze usa gli stessi toni e contenuti e usa un proprio gergo: come lui e il suo entourage “rottamano” e “asfaltano” quelli che gli impediscono l’ascesa politica, gli uomini di Rina “ammuccano” gli uomini d’onore che gli impediscono la scalata al gota di Cosa Nostra. Per Riina i vecchi capi mafia «si riempiono la bocca di regole, di tradizioni, di valori» così come, secondo Renzi, la vecchia segreteria del Pd che egli ha “ammuccato”, cioè ha fatto sparire.
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A Renzi lo hanno “combinato” i poteri forti con qualche forma di “pinciata”, come sono usi fare i capi mafiosi con i nuovi affiliati al Cosa Nostra e lui capisce molto bene il senso di ciò gridò Gaspare Pisciotta ai giudici della Corte di Assise di Viterbo prima di essere avvelenato in carcere: «Siamo tutti una cosa, siamo un solo corpo, banditi, mafia e polizia, come il Figlio, il Padre e lo Spirito Santo».
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Salvo Lima con Andreotti
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Al fianco di Renzi c’è un Ministro degli Interni siciliano che lo protegge nella sua scalata alla “Cosa Sua”. L’agrigentino gli servirà come un altro Ministro degli Interni siciliano. Mario Scelba, servì alla Dc:. Come accadde con Scelba, i politici mafiosi chiederanno aiuto alla criminalità organizzata che aiuterà volentieri i satrapi dell’ultima generazione a far tacere i ribelli e a spegnere le ribellioni … vedi l’omicidio di Mino Pecorelli ordinato da “un’Entità” che gli autori individuano in Giulio Andreotti.
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2 ottobre 2014
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